SIAMO SICURI CHE PER UN MILITARE LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO CON MESSA ALLA PROVA (EX ART. 168 BIS C.P.) SIA SEMPRE UNA SCELTA VINCENTE?

La richiesta di sospensione del procedimento penale con messa alla prova è la scelta giusta da fare per un militare? Beh, dipende … ecco perché tale richiesta deve essere sempre avanzata in modo cosciente ed informato dato che, in alcuni casi, potrebbe addirittura risultare più appropriato difendersi in giudizio puntando all’assoluzione!

Facciamo però un veloce passo indietro e iniziamo a vedere in cosa consista la messa alla prova. Ebbene, in estrema sintesi, l’articolo 168 bis [1] del codice penale prevede al riguardo che “nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo [2] con messa alla prova […]”. Per chi si avvale del beneficio della messa alla prova, questa:

  • comporta “la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato” (articolo 168 bis del codice penale);
  • viene subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità che “consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato” (articolo 168 bis del codice penale);
  • non può essere concessa più di una volta ed è preclusa a delinquenti abituali, professionali e per tendenza (articolo 168 bis del codice penale);
  • qualora si concluda con esito positivo, “estingue il reato per cui si procede” senza però pregiudicare l’eventuale “applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge[3] (articolo 168 ter del codice penale). Ovviamente se la prova da esito negativo, il reato non si estingue affatto ed il procedimento riprende esattamente dal punto in cui era stato sospeso.

Fatta questa doverosa premessa, immaginate di aver superato positivamente la prova, di poter vedere finalmente estinto il reato commesso e, conseguentemente, di esser tornati al lavoro. Fantastico, tutto sommato è stato semplice! Ma non avete dimenticato nulla? Mi spiego meglio: avete considerato i risvolti disciplinari della questione? Avete insomma capito che non è ancora finita? Ebbene sì, anche se il reato è estinto ciò non incide minimamente sui possibili profili disciplinari della vicenda (per approfondire leggi qui!): il vostro Comando dovrà infatti procedere d’ufficio all’esame del giudicato penale (che è un obbligo e non una facoltà – per approfondire leggi qui!). Non è infatti scritto da nessuna parte che i fatti oggetto dell’accertamento penale debbano necessariamente coincidere con quelli oggetto dell’azione disciplinare. L’ho evidenziato in neretto perché troppo spesso tale aspetto viene inspiegabilmente tralasciato … eppure l’esame del giudicato penale è una certezza anche in caso di esito positivo della messa alla prova che, dunque, va richiesta tenendo bene in considerazione il rischio (tutt’altro che trascurabile) che il tutto possa concludersi con l’irrogazione nei vostri confronti di una sanzione disciplinare di stato (per approfondire leggi qui!). Vi consiglio quindi di non avere remore nell’approfondire la questione con il vostro Avvocato di fiducia, sia dal punto di vista penale che (soprattutto) da quello disciplinare … sono convinto che ne beneficerà tutta la vostra strategia difensiva.

Tanto detto non mi resta che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 168 bis del codice penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato:“nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.

La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.

La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.

La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108”.

[2]: art. 464 quater del codice di procedura penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato: “[…] 5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo:

a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;

b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria […]”.

[3]: ciò significa che se, ad esempio, un soggetto viene perseguito per il reato di guida in stato di ebbrezza, anche se la prova si conclude con esito positivo con conseguente estinzione del reato, permangono comunque le sanzioni amministrative della sospensione o revoca della patente.

IL REATO MILITARE DI DISOBBEDIENZA (ART. 173 CPMP)

Un mio Comandante, nel sottolineare “crisi” della disciplina militare, una volta mi disse:“caro, ormai ordina chi capita ed esegue chi vuole!”. Credo che però non sia proprio ancora così, quantomeno a livello giuridico: la disciplina è infatti connaturata all’esistenza stessa di ogni organizzazione gerarchica, poiché mira a preservarne l’ordine interno, il rispetto dell’autorità e l’obbedienza, ovverosia concetti che, in ambito militare, sono veri e propri valori da tutelare e proteggere. La disciplina militare va ben oltre la semplice tutela della figura e dell’autorità del superiore di grado: essa rappresenta infatti la vera e propria “spina dorsale” di ogni unità combattente, attraverso la quale è possibile raggiungere quell’efficienza e quella rapidità di azione cui deve naturalmente tendere lo strumento militare (per approfondire leggi qui!). In tal senso, il Decreto legislativo n. 66 del 2010 “Codice dell’ordinamento militare” (cosiddetto COM) che definisce:

– la disciplina militare come “[…] l’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano […]” (articolo 1346 [1] del COM);

– l’obbedienza come l’“[…] esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al giuramento prestato” (articolo 1347 [2] del COM).

La disciplina viene tutelata dall’ordinamento giuridico militare (per approfondire leggi qui!) in via crescente in relazione al livello di dannosità che la relativa violazione può comportare per il corretto funzionamento dell’apparato militare: ecco perché può essere sanzionata con una semplice sanzione disciplinare di corpo (per approfondire leggi qui!), ovvero con una sanzione penale vera e propria com’è, appunto, quella prevista dall’articolo 173 del codice penale militare di pace (CPMP).Tralasciando per ora i profili disciplinari della questione, andiamo a vedere cosa prevede la legge penale militare in tema di disobbedienza. Ebbene, l’articolo 173 del CPMP stabilisce al riguardo che “il militare, che rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore, è punito con la reclusione militare fino a un anno […]” [3]. Appare evidente che tale reato tutela il rapporto gerarchico e la sua tipica manifestazione, cioè l’ordine dato dal superiore all’inferiore di grado (da non confondere con la consegna [4] – per approfondire leggi qui!).Tenete bene a mente che affinché possa integrarsi il reato di disobbedienza:

–  è necessaria l’esistenza di un rapporto di subordinazione, cioè di una relazione disciplinare giuridicamente rilevante tra superiore e inferiore di grado. Non è difatti sufficiente la mera differenza di grado, serve invece che si verifichi almeno una delle condizioni previste dall’articolo 1350 del COM:“le disposizioni in materia di disciplina militare, si applicano nei confronti dei militari che si trovino in una delle seguenti condizioni:

  1. svolgono attività di servizio;
  2. sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
  3. indossano l’uniforme;
  4. si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”;

– l’ordine che deve essere eseguito è solo quello “attinente al servizio o alla disciplina (articolo 173 del CPMP). In tale contesto, dato che “gli ordini devono, conformemente alle norme in vigore, attenere alla disciplina, riguardare le modalità di svolgimento del servizio e non eccedere i compiti di istituto” (articolo 1349 del COM), ogni militare mantiene il potere di controllarne la legittimità: l’obbedienza non è infatti cieca o assoluta [5]! L’articolo 729 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare” (cosiddetto TUOM) prevede al riguardo che “il militare al quale è impartito un ordine che non ritiene conforme alle norme in vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo presente a chi lo ha impartito dichiarandone le ragioni, ed è tenuto a eseguirlo se l’ordine è confermato”.Questo è sostanzialmente il nocciolo della questione, ma prima di concludere è doveroso un breve accenno ai rapporti tra articolo 729 del TUOM (o articolo 751, comma 1, let. a, n. 22 del TUOM per la consegna di rigore – per approfondire leggi qui!) e l’articolo 173 del CPMP … detto altrimenti, come facciamo a distinguere la disobbedienza “penale” da quella che presenta invece meri risvolti disciplinari? La questione è tutt’altro che banale perché, in tema di disobbedienza, non è assolutamente agevole individuare il confine tra l’ambito penale e quello disciplinare. Proviamo a fare un paio di considerazioni che possano magari farci orientare meglio:

1. ai sensi dell’articolo 729 del TUOM “il militare deve eseguire gli ordini ricevuti con prontezza, senso di responsabilità ed esattezza, nei limiti stabiliti dal codice e dal regolamento, nonché osservando scrupolosamente le specifiche consegne e le disposizioni di servizio”. Potrà quindi essere punito con una sanzione disciplinare di corpo (diversa dalla consegna di rigore) il militare che, ad esempio, esegue l’ordine:

– senza la necessaria prontezza, lasciando cioè passare un eccessivo lasso di tempo nella relativa attuazione;

– dimostrando mancanza di senso di responsabilità, come potrebbe essere in caso di esecuzione pigra, svogliata o indolente;

– in modo inesatto, vale a dire non adottando le cautele essenziali al corretto adempimento di quanto dovuto;

2. ai sensi dell’articolo 751, comma 1, let. a, n. 22 del TUOM è sanzionabile con la consegna di rigore (per approfondire leggi qui!) il militare che manifesta “negligenza o imprudenza o ritardo nell’esecuzione di un ordine o nell’espletamento di un servizio secondo le modalità prescritte”. Appare evidente che le parole “negligenza”, “imprudenza” o “ritardo” usate all’articolo 751 del TUOM presentano, rispetto a quelle utilizzate all’articolo 729 del TUOM di cui al precedente punto 1., un disvalore maggiore nel comportamento tenuto dal militare e, conseguentemente, comportano un aggravamento della risposta sanzionatoria;

3. anche se senza “prontezza, senso di responsabilità ed esattezza” ovvero con “negligenza o imprudenza o ritardo” l’ordine, fino a questo punto, dovrebbe essere stato sostanzialmente eseguito, senza alcuna particolare lesione al corretto funzionamento della macchina militare nel perseguimento dei propri fini istituzionali. Conseguentemente, in tali casi, la risposta penale potrebbe essere eccessiva, risultando quindi sufficiente quella disciplinare.So benissimo che, anche con le considerazioni che precedono, il confine tra penale e disciplinare resta ancora molto incerto e scivoloso (basti pensare al “ritardo” che può essere sanzionato sia con la consegna di rigore che con la sanzione penale). La qualificazione giuridica dei fatti, soprattutto quando si è in presenza di reati che presentano deficit in termini di “tassatività”, non può però essere fatta in astratto ma deve essere necessariamente effettuata in concreto … caso per caso … avuto conto di tutte le circostanze. Il diritto non è la matematica: non è infatti detto che 1 + 1 sia uguale a 2, anzi 1 + 1 spesso non fa 2 proprio per niente. Al contrario, è necessario che si proceda ad interpretare il fatto, si arrivi a qualificarlo giuridicamente in modo da individuare la disciplina applicabile al caso concreto, cosa che nel nostro caso significa capire se il militare debba essere sottoposto a procedimento disciplinare di corpo oppure portato a processo per disobbedienza.

Prima di concludere penso sia opportuno chiarire un’ultima cosa. Da alcune e-mail mi sono infatti accorto che serpeggia tra alcuni di voi una stranissima convinzione. Lo dico chiaro: non è necessario che l’ordine venga ribadito dal superiore di grado perché si possa parlare di disobbedienza! Mi spiego meglio, se ad esempio ci viene impartito un ordine e, dopo aver chiesto al superiore di grado che lo ha impartito di rivederlo perché non lo riteniamo “conforme alle norme in vigore” (articolo 729 del TUOM), decidiamo autonomamente di non eseguirlo, ci sono gli estremi per essere denunciati per disobbedienza. Certo è che, in assenza di conferma, il vostro eventuale Avvocato avrebbe qualche cartuccia in più da sparare in vostra difesa:

– sostenendo che tale “conferma” era necessaria, avendo voi evidenziato profili di illegittimità dell’ordine che avrebbero dovuto ragionevolmente portare il superiore a rivedere la propria decisione originaria;

– argomentando che, essendo la disobbedienza un reato doloso – e, cioè, intenzionale –, l’incertezza creatasi a seguito della mancata “conferma” dell’ordine vi ha portato a disobbedire colposamente (mancando cioè di dolo, cioè dell’intenzione di disobbedire), ed ecco che il reato cadrebbe perché la disobbedienza non è punibile a titolo di colpa;

– arrivando a dimostrare che, dalla valutazione complessiva dei fatti, non emerge alcuna chiara coscienza e volontà di disobbedire o di contrapporsi al superiore che ha impartito l’ordine,

eccetera, eccetera, eccetera … ma … come abbiamo detto poco sopra ogni caso giuridico è a sé e come tale va trattato, perché in diritto non esiste alcuna equazione che possa risolvere il problema una volta per tutte.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma preferisco fermarmi qui … ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 1346 del COM – Disciplina militare:“1. La disciplina del militare è l’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano. Essa è regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza. 2. Per il conseguimento e il mantenimento della disciplina sono determinate le posizioni reciproche del superiore e dell’inferiore, le loro funzioni, i loro compiti e le loro responsabilità. Da ciò discendono il principio di gerarchia e quindi il rapporto di subordinazione e il dovere dell’obbedienza. 3. Il militare osserva con senso di responsabilità e consapevole partecipazione tutte le norme attinenti alla disciplina e ai rapporti gerarchici. Nella disciplina tutti sono uguali di fronte al dovere e al pericolo”.

[2]: art. 1347 del COM – Obbedienza:“1. L’obbedienza consiste nella esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al giuramento prestato. 2. Il dovere dell’obbedienza è assoluto, salvo i limiti posti dall’articolo 1349, comma 2 e dall’articolo 729 del regolamento”.

[3]: art. 173 del CPMP – Nozione del reato e circostanza aggravante:“Il militare, che rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore, è punito con la reclusione militare fino a un anno. Se il fatto è commesso in servizio, ovvero a bordo di una nave o di un aeromobile, la reclusione militare è da sei mesi a un anno; e può estendersi fino a cinque anni, se il fatto è commesso in occasione d’incendio o epidemia o in altra circostanza di grave pericolo”.

[4]: la consegna viene peraltro tutelata differentemente. Essendo un “servizio dentro il servizio”, caratterizzato dall’inserimento del militare in un turno con precise prescrizioni, i reati contro la consegna vengono collocati nel codice penale militare di pace tra i “reati contro il servizio militare” mentre la disobbedienza, al contrario, è collocata tra i “reati contro la disciplina militare” (per approfondire leggi qui!).

[5]: anzi, esiste addirittura un dovere di disobbedienza e di immediata informazione dei superiori che scatta in presenza di un ordine “manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato”, cioè di un ordine eversivo o criminoso (articoli 729 del TUOM e 1349 del COM).

I REATI MILITARI DI INSUBORDINAZIONE E DI VIOLENZA, INGIURIA E MINACCIA A INFERIORE

Il diritto penale militare dedica ai reati contro il rapporto gerarchico una posizione di primissimo piano in ragione del fatto che la disciplina è uno degli aspetti fondamentali di ogni organizzazione militare che possa definirsi tale. Tanto premesso, sappiate che:

  • gli articoli 186 [1] e 195 [2] del codice penale militare di pace (CPMP) trattano rispettivamente dei reati militari di “insubordinazione con violenza” e di “violenza contro un inferiore” (vi ho integralmente postato il testo di tali articoli in nota);
  • gli articoli 189 [3] e 196 [4] del CPMP trattano invece dei reati di “insubordinazione con minaccia o ingiuria” e di “minaccia o ingiuria a inferiore” (troverete anche per questi reati il testo integralmente postato in nota!).

Come avete intuito, esiste un evidente parallelismo tra i reati militari che l’inferiore può compiere a danno del superiore (i reati di insubordinazione, appunto!) ed i reati che il superiore può compiere a danno dell’inferiore di grado (quelli che, per intendersi, si realizzano invece con abuso di autorità), al punto che le condotte punibili e le sanzioni applicabili sono sostanzialmente [5] speculari!

I reati contro il rapporto gerarchico non presentano particolari “criticità” dal punto di vista interpretativo e quindi, essendo inutile appesantire troppo il discorso, credo sia opportuno fermarmi qui. Ovviamente, qualora siate interessati a capire cosa di intenda nel codice penale militare di pace per:

Prima di lasciarci, ritengo però opportuno evidenziarvi che:

  • l’articolo 190 del CPMP prevede alcune aggravanti al reato di “insubordinazione con minaccia e ingiuria”. Tale articolo prevede infatti che “le pene stabilite dall’articolo precedente [cioè il 189 del CPMP sull’“insubordinazione con minaccia o ingiuria”] sono aumentate: 1) se la minaccia è usata per costringere il superiore a compiere un atto contrario ai propri doveri, ovvero a compiere o ad omettere un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero per influire comunque sul superiore; 2) se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto; 3) se la minaccia è grave o ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell’articolo 339 [6] del codice penale. Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre anni a quindici anni”;
  • l’articolo 198 del CPMP prevede l’attenuante della “provocazione”. Difatti, “se alcuno dei reati preveduti dai capi terzo e quarto [che trattano appunto dell’“insubordinazione” e della “violenza, minaccia o ingiuria a un inferiore”] è commesso nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto del superiore o dell’inferiore, e subito dopo di esso o subito dopo che il colpevole ne ha avuta notizia, alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione non inferiore a quindici anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà”;
  • l’articolo 199 del CPMP, prevede infine l’“inapplicabilità” dei reati contro il rapporto gerarchico nel caso in cui le condotte siano state tenute per cause estranee al servizio o alla disciplina militare:“le disposizioni dei capi terzo e quarto [che trattano appunto dell’“insubordinazione” e della “violenza, minaccia o ingiuria a un inferiore”] non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare”. Ovviamente, in tal caso quel che è successo tra superiore e inferiore di grado verrà “derubricato” a semplici percosse o lesioni (per approfondire leggi qui!) ovvero a mera minaccia (per approfondire leggi qui!) o ingiuria (per approfondire leggi qui!).

Penso di aver detto tutto ciò che volevo, non mi resta quindi che salutarvi … ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 186 del CPMP – Insubordinazione con violenza:“Il militare che usa violenza contro un superiore è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale ovvero in una lesione personale grave, o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

[2]: art. 195 del CPMP – Violenza contro un inferiore:“Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

[3]: art. 189 del CPMP – Insubordinazione con minaccia o ingiuria:“Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. Il militare, che offende il prestigio, l’onore, o la dignità di un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni. Le stesse pene si applicano al militare, che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti al superiore”.

[4]: art. 196 del CPMP – Minaccia o ingiuria a un inferiore:“Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. Il militare, che offende il prestigio, l’onore o la dignità di un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni. Le stesse pene si applicano al militare che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti all’inferiore. La pena è aumentata se la minaccia è grave o se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell’articolo 339 del codice penale. Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre a quindici anni”.

[5]: una evidente differenza si riscontra solo nel quarto comma dell’art. 196 del CPMP sulla “minaccia o ingiuria a inferiore” che non trova riscontro nel corrispondente art. 189 sull’“insubordinazione con minaccia o ingiuria” ma nel successivo art. 190 del CPMP.

[6]: art. 339 del c.p.:“Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone”.

L’INGIURIA E LA DIFFAMAZIONE MILITARE AI TEMPI DI FACEBOOK E WHATSAPP

Come ben tutti sappiamo, negli ultimi anni i social network e le applicazioni di messaggistica istantanea hanno avuto una diffusione enorme, al punto che praticamente ognuno di noi ne possiede uno o più account. Conseguentemente, la portata lesiva di un post su facebook, di un messaggio su whatsapp o di un video su tik tok è oggi di molto amplificata rispetto a quanto non fosse nel passato! Ecco, quindi, che i contenuti pubblicati on line possano facilmente sfociare nell’“abuso” del diritto di libera manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione – per approfondire leggi qui!), esponendo l’autore a responsabilità disciplinare [1] se non, addirittura, ad un vero e proprio processo penale per ingiuria, diffamazione (per approfondire leggi qui!) o vilipendio (per approfondire leggi qui!).

Tanto premesso, la domanda che mi viene spesso fatta è la seguente: come è possibile che adesso debba trovarmi un Avvocato e andare a processo? Ho fatto tutto on line! Non pensavo che …

Ebbene, iniziamo subito col dire che i reati militari di ingiuria e diffamazione si consumano nel mondo virtuale esattamente come nel mondo reale! Non c’è proprio alcuna differenza … anzi, a dire il vero, per il solo fatto di aver diffamato un collega su un social network o all’interno di una chat potreste andare incontro ad una responsabilità penale “aggravata”: difatti, per quanto attiene specificamente al reato militare di diffamazione, “se l’offesa […] è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, [… come viene oggi pacificamente considerato l’utilizzo dello strumento telematico …] la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni” che, come vedete, è ben più della “reclusione militare fino ai sei mesi” prevista per l’ipotesi base di cui al primo comma dell’articolo 227 [2] del codice penale militare di pace (CPMP) [3]!

A questo punto che dire … usate il buon senso e, soprattutto quando siete on line, non permettetevi leggerezze che potrebbero costarvi molto caro! Lo ripeto per esser ancora più chiaro: USATE IL BUON SENSO ANCHE QUANDO SIETE ON LINE E NON PERMETTETEVI LEGGEREZZE CHE POTREBBERO COSTARVI MOLTO CARO!

Senza appesantire troppo il discorso (potete infatti trovare on line una miriade di articoli sull’argomento estremamente dettagliati che, sono sicuro, possono togliervi ogni possibile dubbio [4]), cercherò ora di darvi qualche semplicissima indicazione finale per meglio orientarvi su internet. Dato che l’ingiuria on line è di facile comprensione … basta difatti che il messaggio offensivo venga direttamente indirizzato alla vittima con qualsiasi mezzo tecnologico, sia esso una e-mail, una PEC, un messaggio privato, uno “stato” eccetera … mi concentrerò solo su alcune peculiarità del reato di diffamazione per come sono state prese in considerazione dai Giudici: è stata infatti la giurisprudenza … sentenza dopo sentenza … a tracciarne i confini nella rete. Ebbene, considerate che il reato di diffamazione on line può realizzarsi anche:

  • con la mera pubblicazione di foto, video, illustrazioni o fotomontaggi;
  • con l’invio di una e-mail o di una PEC (per approfondire leggi qui!) a più destinatari, anche in copia nascosta, ovvero ad una sola casella di posta elettronica che sia però condivisa da più soggetti … ricordiamo che perché possa parlarsi di diffamazione è sempre necessaria la presenza di “più persone” (cioè almeno due – per approfondire leggi qui!);
  • quando il messaggio diffamatorio sia stato postato in un gruppo “chiuso” di facebook o in una chat di whatsapp. In tal senso, ad esempio, i Giudici amministrativi nel rigettare la domanda di annullamento di un provvedimento disciplinare hanno difatti rilevato che “i social network in particolare Facebook non possono essere considerati come siti privati, in quanto non solo accessibili ai soggetti non noti cui il titolare del sito consente l’accesso, ma altresì suscettibili di divulgazione dei contenuti anche in altri siti. In sostanza, la collocazione di una fotografia o di un testo su Facebook implica una sua possibile diffusione a un numero imprecisato e non prevedibile di soggetti e quindi va considerato, sia pure con alcuni limiti, come un sito pubblico” (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 562 del 2016);
  • a carico del titolare di un blog [5] che non elimina i contenuti diffamatori pubblicati da altri e di cui è venuto a conoscenza;
  • attraverso l’apposizione di un mero emoticon (cioè una di quelle “faccine” che esprimono un sentimento e che spopolano on line!) o di un semplice “mi piace” al messaggio diffamatorio pubblicato da altri … beh … a dire il vero tale ultimo punto è abbastanza controverso ma sappiate che non mancano casi in cui è stato contestato il concorso nel reato di diffamazione a chi ha apposto un emoticon o un like ad un messaggio dal contenuto diffamatorio o denigratorio.

Un’ultima cosa prima di concludere: che strumenti ha la vittima di ingiuria o diffamazione militare on line per difendersi? Beh, non essendo prevista dal codice penale militare di pace la possibilità per il militare di presentare querela (per approfondire leggi qui!), il militare vittima di diffamazione on line che ritiene di esser stato ingiuriato o diffamato da altro militare (non dimentichiamo infatti che nei reati militari di ingiuria e diffamazione militare sia chi offende che chi viene offeso deve essere un militare [6] – per approfondire leggi qui!) non resta che relazionare l’evento ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza o – meglio – al proprio Comandante di corpo affinché, in qualità di Ufficiale di polizia giudiziaria militare, effettui gli adempimenti di competenza (per approfondire leggi qui!) in modo che venga perseguito l’autore del reato militare … anche al fine di veder riconosciute le proprie eventuali pretese risarcitorie! Ovviamente, perché possa essere accordato un risarcimento alla vittima è necessario:

  • costituirsi parte civile nel processo penale militare per il tramite di un Avvocato di fiducia (che costa e che è a carico della vittima);
  • dimostrare di aver subito un danno dal messaggio diffamatorio;
  • attendere la condanna del colpevole che ovviamente avviene solo al termine del processo penale militare (che ha una durata non trascurabile!).

Non bisogna poi dimenticare che:

  • il procedimento non di rado viene purtroppo archiviato stante l’impossibilità di risalire al nominativo dell’autore del reato … accade infatti frequentemente che non si riesca a risalire all’IP (Internet Protocol) da cui è partito il messaggio diffamatorio;
  • il Giudice penale militare non si pronuncia sempre sul risarcimento nella sentenza di condanna, rendendo conseguentemente necessario andare anche dal Giudice civile per avere il dovuto risarcimento (cioè partendo con una autonoma causa civile, sempre a spese della vittima e che dilata ulteriormente i tempi!)

Che dire, le cose funzionano a grandi linee così … non mi resta dunque che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: sia di corpo che, eventualmente, di stato (per approfondire leggi qui!). In questi casi la responsabilità disciplinare scaturisce di solito dalla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare(cosiddetto TUOM), con particolare riguardo agli articoli:

712 TUOM – Doveri attinenti al giuramento:“1. Con il giuramento di cui all’articolo 621, comma 6, del codice il militare di ogni grado s’impegna solennemente a operare per l’assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate con assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane, con disciplina e onore, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione, senza risparmio di energie fisiche, morali e intellettuali affrontando, se necessario, anche il rischio di sacrificare la vita. 2. L’assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane è il fondamento dei doveri del militare”;

713 TUOM – Doveri attinenti al grado:“1. Il grado corrisponde alla posizione che il militare occupa nella scala gerarchica. 2. Egli deve astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possono comunque condizionare l’esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell’istituzione cui appartiene e pregiudicare l’estraneità delle Forze armate come tali alle competizioni politiche, fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 1483 del codice. 3. Il militare investito di un grado deve essere di esempio nel compimento dei doveri, poiché l’esempio agevola l’azione e suscita lo spirito di emulazione”;

717 TUOM – Senso di responsabilità:“1. Il senso di responsabilità consiste nella convinzione della necessità di adempiere integralmente ai doveri che derivano dalla condizione di militare per la realizzazione dei fini istituzionali delle Forze armate”;

719 TUOM – Spirito di corpo:“1. Lo spirito di corpo è il sentimento di solidarietà che, fondato sulle tradizioni etiche e storiche del corpo, deve unire i membri di una stessa unità al fine di mantenere elevato e accrescere il prestigio del corpo cui appartengono. 2. Particolare impegno deve essere posto nell’illustrare la storia e le tradizioni del corpo ai militari che ne entrano a far parte. 3. Lo spirito di corpo, pur essendo fonte di emulazione tra le unità, non deve però intaccare lo spirito di solidarietà tra tutti i componenti delle Forze armate”;

720 TUOM – Uniforme:“[…] 5. L’uso dell’uniforme è vietato al militare: a) quando è sospeso dall’impiego, dal servizio o dalle funzioni del grado; b) nello svolgimento delle attività private e pubbliche consentite”;

721 TUOM – Dignità e decoro del militare:“1. L’aspetto esteriore del militare deve essere decoroso, come richiede la dignità della sua condizione e deve comunque essere tale da consentire il corretto uso dei capi di equipaggiamento previsti”;

722 TUOM – Doveri attinenti alla tutela del segreto e al riserbo sulle questioni militari:“1. Il militare, oltre a osservare scrupolosamente le norme in materia di tutela del segreto, deve:

a) acquisire e mantenere l’abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, escludendo dalle conversazioni private, anche se hanno luogo con familiari, qualsiasi riferimento ai suddetti argomenti o notizie;

b) evitare la divulgazione di notizie attinenti al servizio che, anche se insignificanti, possono costituire materiale informativo;

c) riferire sollecitamente ai superiori ogni informazione di cui è venuto a conoscenza e che può interessare la sicurezza dello Stato e delle istituzioni repubblicane, o la salvaguardia delle armi, dei mezzi, dei materiali e delle installazioni militari”;

732 TUOM – Contegno del militare:“1. Il militare deve in ogni circostanza tenere condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze armate. 2. Egli ha il dovere di improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza. In particolare deve: a) astenersi dal compiere azioni e dal pronunciare imprecazioni, parole e discorsi non confacenti alla dignità e al decoro; b) prestare soccorso a chiunque versi in pericolo o abbisogni di aiuto; c) consegnare prontamente al superiore o alle autorità competenti denaro o cosa che ha trovato o che gli sono pervenuti per errore; d) astenersi dagli eccessi nell’uso di bevande alcoliche ed evitare l’uso di sostanze che possono alterare l’equilibrio psichico; e) rispettare le religioni, i ministri del culto, le cose e i simboli sacri e astenersi, nei luoghi dedicati al culto, da azioni che possono costituire offesa al senso religioso dei partecipanti […]”;

733 TUOM – Norme di tratto:“1. La correttezza nel tratto costituisce preciso dovere del militare. 2. Nei rapporti, orali o scritti, di servizio tra militari di grado diverso deve essere usata la terza persona […]”;

746 TUOM – Uso dell’abito civile: “[…] 3. Il militare in abito civile non deve indossare alcun distintivo o indumento caratteristico dell’uniforme”.

[2]: art. 227 CPMP – Diffamazione:il militare, che, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni. Se l’offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate”.

[3]: ovviamente, il solo fatto che la pena vada dai sei mesi ai tre anni di reclusione militare preclude al Comandante di corpo di poter eventualmente richiedere (o meno) il procedimento ai sensi dell’art. 260 CPMP (per approfondire leggi qui!). Ciò significa, in poche parole, che al 100% dovrete affrontare un procedimento penale!

[4]: peraltro gli Stati Maggiori/Comandi Generali hanno pubblicato negli ultimi anni numerose direttive sull’argomento. In tale contesto, degna di menzione è a mio parere la pubblicazione “Linee guida per l’uso consapevole dei social network e trattazione sul web di materie istituzionali” (SMD – UGAG – 003/2019) dello Stato Maggiore della Difesa che è facile da reperire in rete ed offre un buon inquadramento generale della materia.

[5]: fermo restando che il titolare di un blog non è equiparato al Direttore di un giornale!

[6]: ovviamente, se l’autore del reato di ingiuria o diffamazione non è un militare, il militare-vittima potrà presentare una comune denuncia-querela (come un qualsiasi altro cittadino – per approfondire leggi qui!) all’Autorità giudiziaria ordinaria (ovvero alla Polizia giudiziaria) affinché si proceda ai sensi degli articoli 594 e 595 del codice penale “comune”.

I REATI MILITARI DI INGIURIA E DIFFAMAZIONE (ARTT. 226 E 227 CPMP)

Ho notato dalle vostre e-mail che i termini ingiuria e diffamazione vengano troppo spesso scambiati … utilizzati cioè l’uno al posto dell’altro [1]. Credo quindi necessario un piccolo … quanto doveroso … ripassino sull’argomento. Iniziamo subito col dire che i reati militari di ingiuria e diffamazione sono sostanzialmente speculari ai corrispondenti reati previsti agli articoli 594 [2] e 595 [3] dal codice penale comune. Ovviamente, affinché ci sia ingiuria o diffamazione militare (e si applichi cioè il codice penale militare di pace) è necessario che sia il soggetto attivo del reato (chi offende per intenderci) che quello passivo del reato (cioè chi viene offeso) siano militari [4]. Il codice penale militare di pace (CPMP) disciplina tali reati come segue:

  • ingiuria militare:“il militare, che offende l’onore o il decoro di altro militare presente, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a quattro mesi. Alla stessa pena soggiace il militare, che commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione militare fino a sei mesi, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato” (articolo 226 del CPMP);
  • diffamazione militare:“il militare, che, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni. Se l’offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate(articolo 227 del CPMP).

Tanto premesso, senza addentrarci nel significato da dare alle parole “onore”, “decoro” e “reputazione” che mi appaiono abbastanza chiare e intuitive da comprendere [5], balza subito agli occhi la fondamentale differenza che esiste tra ingiuria e diffamazione, ovverosia:

  • la presenza della vittima nell’ingiuria;
  • l’assenza della vittima nella diffamazione ma … badate bene … con la contestuale previsione che l’offesa venga fatta alla presenza di più persone (cioè almeno due!).

Senza appesantire troppo il discorso (potete infatti trovare on line una miriade di articoli sull’argomento estremamente dettagliati e che, sono sicuro, possono togliervi ogni possibile dubbio!), cercherò ora di dare una risposta alle domande più frequenti che mi vengono rivolte sull’argomento. Ebbene:

  • considerato che l’oggetto di entrambi i reati è sostanzialmente un’offesa, perché ingiuria e diffamazione vengono punite in modo differente? Beh … a pensarci bene … non potrete che concordare con me sul fatto che l’assenza della vittima nella diffamazione renda tale reato più “insidioso” perché elimina alla radice ogni possibilità che la vittima possa ribattere e difendersi cioè da sola … ecco quindi che la diffamazione “aggredisce” la reputazione della vittima in modo maggiormente invasivo rispetto alla semplice ingiuria e da qui ne deriva il più severo regime sanzionatorio;
  • non rileva la verità del fatto … tali reati cioè si realizzano anche se si attribuisce alla vittima un fatto vero. Anzi, a dirla tutta, attribuire alla vittima un “fatto determinato” [6] inasprisce addirittura il regime sanzionatorio! Mi spiego meglio, se un nostro collega è stato condannato per furto con una sentenza passata in giudicato (per approfondire leggi qui!) e tutti sanno di tale condanna, ciò non ci autorizza comunque a dargli del ladro e anzi, se lo facciamo, rispondiamo ovviamente di ciò che abbiamo detto, perché la verità dell’affermazione non esclude il reato!
  • il codice penale militare di pace prevede dei “temperamenti”. L’articolo 228 del CPMP stabilisce infatti che “nei casi preveduti dall’articolo 226 [cioè in caso di ingiuria], se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 226 e 227 [cioè in caso di ingiuria e diffamazione] nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”;
  • è effettivamente vero che, nonostante la “depenalizzazione” del reato ordinario di ingiuria (articolo 594 [7] del codice penale che è stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016), la Corte costituzionale abbia comunque mantenuto in vita il reato militare di ingiuria [8] [9] valorizzando quella “specialità” che è l’elemento caratterizzante di tutto l’ordinamento giuridico militare (per approfondire leggi qui!). Oggi funziona quindi grossomodo come segue: il comune cittadino che ingiuria rischia solo una mera sanzione pecuniaria da illecito civile, mentre il militare che ingiuria un altro militare continua invece a rischiare una sanzione penale detentiva che, nel massimo, può arrivare a diversi mesi di reclusione militare (per approfondire leggi qui!);
  • l’ingiuria può realizzarsi non solo attraverso espressioni verbali ma anche attraverso azioni che ledano il decoro della vittima (mi riferisco qui alla cosiddetta ingiuria reale). Non sono difatti mancati casi in cui i Giudici militari hanno ritenuto che, ad esempio, fare gesti sconci, sputare, emettere suoni oltraggiosi o anche solo cospargere il corpo di un collega con del lucido da scarpe, ledendone quindi materialmente il decoro, possano integrare il reato militare di ingiuria. Occhio quindi a fare “scherzi da caserma”: le conseguenze potrebbero essere molto molto serie e sgradevoli!

Un paio di cose prima di concludere:

  • essendo i reati militari di ingiuria (quantomeno nel primo e secondo comma dell’articolo 226 del CPMP) e di diffamazione (per l’ipotesi base prevista al primo comma dell’articolo 227 del CPMP) punibili con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, affinché ne possa scaturire un procedimento penale è necessaria la richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!);
  • dato che la gran parte dei procedimenti penali militari per ingiuria o diffamazione hanno oggi a che fare con fatti occorsi su social network (facebook, instagram, twitter eccetera) o servizi di messaggistica istantanea (tipo whatsapp per intenderci), ho ritenuto utile trattare l’argomento in uno specifico post (per approfondire leggi qui!).

Detto ciò, non mi resta che salutarvi … ad maiora!

TCGC

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[1]: a dire il vero, spesso si abusa anche dei termini di “vilipendio” e “calunnia”. Dato che per il vilipendio troverete su www.avvocatomilitare.com uno specifico post a cui ad ogni buon conto vi rimando (per approfondire leggi qui!), mi concentrerò qui sulla “calunnia”. Ebbene, con tale termine il codice penale “ordinario” punisce la condotta di “chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo” (art. 368 c.p.). Abbiamo quindi a che fare con un reato molto grave che riguarda sostanzialmente chi denuncia una persona (alla Procura o alla Polizia Giudiziaria, come i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia di Stato o anche al Comandante di corpo/Ufficiale di Polizia Giudiziaria Militare – per approfondire leggi qui!) che sa essere innocente ovvero la “incastra” simulando a suo carico le tracce di un reato … ben diverso quindi dall’ingiuria e dalla diffamazione e del quale non vi è alcuna traccia nel codice penale militare di pace.

[2]: art. 594 c.p. – Ingiuria:“Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”. Tale articolo è stato però abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016 che lo ha depenalizzato. Ciò significa che l’ingiuria non è più un reato ma è diventato un mero illecito civile (detto altrimenti il colpevole non andrà più davanti a un giudice penale!) con sanzioni pecuniarie che vanno oggi dai 100 euro a salire.

[3]: art. 595 c.p.: Diffamazione:“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

[4]: a dire il vero, il reato militare di ingiuria viene comunemente integrato tra parigrado. Eccezionalmente, può essere integrato tra militari di grado diverso (quindi tra superiore e inferiore di grado) solo nel caso in cui, per cause estranee al servizio e alla disciplina (di cui all’articolo 199 CPMP), un determinato comportamento non possa essere sanzionabile a titolo di insubordinazione con ingiuria (articolo 189 CPMP – per approfondire leggi qui!) oppure di ingiuria a inferiore (articolo 196 CPMP– per approfondire leggi qui!) … ma preferisco sorvolare sulla questione dato che ci perderemmo in problemi troppo complessi avuto conto del taglio pratico che ho deciso di dare anche a questo post.

[5]: l’“onore”, il “decoro” e la “reputazione” vanno sostanzialmente intesi come valori sociali e morali della persona, propri della dignità dell’uomo (e a maggior ragione del militare!), avuto conto dell’ambiente sociale e del momento storico. Secondo la legge tali valori devono essere preservati da attacchi e aggressioni antisociali anche perché, per quanto di interesse, vanno a ledere (anche solo indirettamente) le esigenze di servizio e di disciplina che sono alla base dell’efficienza dello strumento militare.

[6]: l’art. 596 c.p. prevede al riguardo che “il colpevole del delitto previsto dall’articolo precedente [cioè la diffamazione «ordinaria»] non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa”. Peraltro, tale articolo prevede altresì che:“[…] quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:

  1. se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni;
  2. se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;
  3. se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito.

Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è [per esso] condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabile la disposizione dell’articolo 595, comma 1” del codice penale. Preciso che tale ultima previsione:

  • è caduta in quasi totale disuso soprattutto con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (e, in particolare, dell’articolo 21 sulla libera manifestazione del pensiero) che ne ha praticamente eliminato ogni utile margine di operatività;
  • secondo autorevole dottrina sarebbe comunque astrattamente applicabile anche al reato militare di diffamazione di cui all’art. 227 CPMP, sebbene la cosa non sia espressamente prevista per legge.

[7]: art. 594 c.p. – Ingiuria:“Chiunque offende l’onore o il decoro di una p ersona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”. Tale articolo è stato però abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016 che lo ha depenalizzato. Ciò significa che l’ingiuria non è più un reato ma è diventato un mero illecito civile (detto altrimenti il colpevole non andrà più davanti a un giudice penale!) con sanzioni pecuniarie che vanno oggi dai 100 euro a salire.

[8]: la ragione di tale presa di posizione della Corte costituzionale risiede nelle peculiarità proprie dell’Organizzazione militare. In tale contesto, i Giudici costituzionali hanno difatti giustificato la permanenza dell’ingiuria militare nell’area penalmente rilevante (anche se motivata da cause estranee al servizio e alla disciplina militare), in considerazione della necessità di coesione delle Unità militari che è il primo presupposto della funzionalità e dell’efficienza dello strumento militare.

[9]: Corte costituzionale, sentenza 215/2017 – Pres. GROSSI, Red. ZANON.

IL REATO MILITARE DI MINACCIA (ART. 229 CPMP)

Un giovane collega mi ha chiesto dei chiarimenti in merito al reato militare di minaccia. In particolare, mi chiede cosa si intenda per “ingiusto danno” e se possa considerarsi minaccia solo la prospettazione di un futuro danno fisico (siano queste percosse o lesioni non importa – per approfondire leggi qui!) oppure ci possa essere dell’altro. Allora … iniziamo col dire che l’articolo 229 del codice penale militare di pace (CPMP) prevede che “Il militare, che minaccia ad altro militare un ingiusto danno, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a due mesi. Se la minaccia è grave, si applica la reclusione militare fino a sei mesi. Se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339 [1] del codice penale, la pena è della reclusione militare fino a un anno”. Che dire, gli elementi costitutivi del reato militare di minaccia coincidono esattamente con quelli del corrispondente reato comune di cui all’articolo 612 [2] del codice penale. La principale differenza è che per poter parlare di minaccia “militare” è necessario che sia il soggetto attivo (il minacciante, per intendersi!) che il soggetto passivo (cioè il minacciato) siano militari e parigrado. A dire il vero, il reato di minaccia militare potrebbe essere astrattamente integrato anche tra militari di grado diverso quando, per cause estranee al servizio e alla disciplina [3], un determinato comportamento non possa essere sanzionabile a titolo di “insubordinazione con minaccia” (articolo 189 CPMP – per approfondire leggi qui!) oppure di “minaccia a inferiore” (articolo 196 CPMP– per approfondire leggi qui!) … ma preferisco sorvolare sulla questione dato che ci perderemmo in problemi troppo complessi avuto conto del taglio pratico che ho deciso di dare anche a questo post.

Tanto premesso, cerchiamo di procedere ad una rapidissima disamina di alcuni elementi del reato militare di minaccia in modo da potervi offrire alcuni chiarimenti sull’argomento. Ebbene:

  • l’“ingiusto danno” di cui parla il codice altro non è se non l’intimidazione che il minacciante fa al minacciato di un male futuro (contro la legge e cioè non ammesso dall’ordinamento giuridico – per approfondire leggi qui!) per lui stesso o per una persona a questo legata (come, ad esempio, la moglie, il figlio eccetera). L’“ingiusto danno” prospettato deve poi ovviamente poter dipendere, direttamente o indirettamente, dalla volontà del minacciante (pensateci, non è possibile minacciare un collega di qualcosa che non si può fare come, ad esempio, di farlo condannare a morte!) e non è necessariamente “fisico” … come ipotizzava il nostro collega … e mi riferisco, in questo caso, a minacce che qui nella Capitale potrebbero suonare come: “aho, te spacco, te rompo! Te faccio vede io, se vedemo fori!!!”, eccetera. Difatti, la minaccia è penalmente rilevante anche allorquando il minacciante prospetti al minacciato la volontà di lederlo in meri interessi giuridici (quelli cioè ammessi e tutelati dall’ordinamento giuridico – per approfondire leggi qui!) anche diversi dalle mere percosse o lesioni fisiche (per approfondire leggi qui!) … mi spiego meglio, minacciare ad esempio qualcuno di rovinargli la carriera (o di farlo alla relativa moglie, figlio eccetera), di creargli dei problemi … di “fargliela pagare” insomma … può ben integrare il reato militare di minaccia, se questa è ragionevolmente credibile;
  • la “gravità” della minaccia non dipende esclusivamente dal tipo di intimidazione (come può essere ad esempio una minaccia di morte!), ma scaturisce anche dal “turbamento” che determina sul soggetto minacciato, avuto conto anche delle circostanze in cui il reato è stato commesso, nonché dalle qualità dei soggetti coinvolti … deve essere quindi seria, credibile e ragionevolmente verosimile, anche in considerazione di chi la effettua: una cosa è infatti che la minaccia sia di un collega notoriamente “calmo” che ha solo perso le staffe, una cosa ben diversa è invece che la minaccia provenga da un collega notoriamente “attaccabrighe”, che abbia magari scontato pene per reati violenti eccetera. Conseguentemente, durante il processo si terrà conto non solo del tipo di minaccia che è stata fatta, ma anche dei soggetti coinvolti e delle circostanze di tempo e luogo in cui è stata fatta.

Un paio di cosette prima di concludere:

  • la minaccia è di solito verbale ma nulla toglie che possa essere scritta (ad esempio in un messaggio, in una lettera se non sulla parete della casa della vittima) oppure consistere in un gesto (intimidatorio ovviamente!);
  • i meri insulti non sono di per sé minaccia ma rappresentano, qualora ne ricorrano i presupposti, un’ingiuria o una diffamazione (per approfondire leggi qui!);
  • non è necessario che il minacciato sia presente, essendo sufficiente che la minaccia gli pervenga in qualche modo;
  • la giurisprudenza appare orientata e ritenere che il “minacciare” un collega di far valere le proprie ragioni dinnanzi all’Autorità Giudiziaria (cioè, ad esempio, minacciando di denunciarlo!) non sia di norma penalmente rilevante;
  • essendo il reato militare di minaccia normalmente punibile con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi (quantomeno nei primi due commi), affinché ne possa scaturire un procedimento penale è necessaria la richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!).

Detto ciò, non mi resta che salutarvi … ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 339 c.p. – Circostanze aggravanti:“Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi [anche se scariche aggiungerei io!], la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone”.

[2]: art. 612 c.p. – Minaccia:“Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro. Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno. Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339”.

[3]: art. 199 CPMP – Cause estranee al servizio o alla disciplina militare:“Le disposizioni dei capi terzo e quarto non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare”.

I REATI MILITARI DI PERCOSSE E DI LESIONE PERSONALE (ARTT. 222 E 223 CPMP)

Un collega mi ha chiesto di chiarirgli un dubbio: perché il codice penale militare di pace (CPMP) sanziona le percosse e le lesioni … non basta difatti il codice penale “comune” dato che prevede espressamente [1] tali reati? Beh, a prescindere dal fatto che il discorso che sto per fare potrebbe essere allargato anche ad altri reati militari come, ad esempio, quelli di minaccia (per approfondire leggi qui!), di ingiuria o di diffamazione (per approfondire leggi qui!) … possiamo dire che la principale ragione di tale “duplicazione” è la seguente:

  • il codice penale “comune” prevede tali reati a tutela degli interessi “personali” della vittima … detto altrimenti, a tutela di un interesse privato della persona (sono difatti molto spesso perseguibili a querela della persona offesa – per approfondire leggi qui!);
  • il codice penale militare di pace prevede invece tali reati a tutela della compagine militare: la “persona” viene infatti tutelata dal CPMP non in quanto tale ma perché strumento attraverso il quale l’Organizzazione militare persegue i propri fini e interessi … in questo caso la tutela penale viene quindi accordata a tutela di un interesse essenzialmente pubblico! Da qui trova giustificazione anche il fatto che tali reati non sono perseguibili a querela della persona offesa (per approfondire leggi qui!) ma semmai, quando ne ricorrano i presupposti, su richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!).

Tanto premesso, non essendo tali reati particolarmente complessi da comprendere, mi limito a postare integralmente gli articoli di interesse:

  • articolo 222 del CPMP – Percosse:“Il militare, che percuote altro militare, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione militare fino a sei mesi. Tale disposizione non si applica, quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato”;
  • articolo 223 del CPMP – Lesione personale:“Il militare che, cagiona ad altro militare una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare da due mesi a due anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai dieci giorni, e non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dagli articoli 583 [2] e 585 [3] del codice penale, si applica la reclusione militare fino a sei mesi[4].

Un’ultima cosa prima di concludere: cos’è una “percossa” e in cosa si differenzia da una “lesione”? Percuotere significa colpire, esercitare violenza fisica … detto altrimenti “far male” fisicamente a una persona ma senza provocare alcuna lesione, cioè senza determinare quella che il codice penale definisce una “malattia nel corpo o nella mente”, ovverosia una menomazione funzionale del corpo che possa essere rilevabile com’è ad esempio, nei casi meno gravi, un livido, una contusione, un’ecchimosi eccetera … cose insomma che se andate al pronto soccorso potrebbero giustificare qualche giorno di prognosi (preciso che la “prognosi” altro non è se non una previsione che il medico fa sul decorso/esito della malattia). Ecco quindi che il tirare i capelli, lo schiaffeggiare (anche piano, magari solo per umiliare!) o il “prendere per il collo” in modo tale da causare dolore, sono di solito percosse e non lesioni … in via di estrema approssimazione, possiamo dire che la percossa è dunque una violenza fisica meno grave di una lesione!

Penso di avervi detto quanto basta per inquadrare a grandi linee il problema … non mi resta che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 581 del codice penale – Percosse:“Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente è punito, a querela della persona offesa, salvo che ricorra la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, numero 11-octies), con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 309 […]”;

art. 582 del codice penale – Lesione personale:“Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente , è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa”;

art. 583 del codice penale – Circostanze aggravanti:“La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo; […]. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; […]”;

art. 585 del codice penale – Circostanze aggravanti:“Nei casi previsti dagli articoli 582, 583, 583 bis, 583 quinquies e 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576, ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite. Agli effetti della legge penale per armi s’intendono: 1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona; 2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo. Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti”.

[2]: art. 583 del codice penale – Circostanze aggravanti:“La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o unincapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo; […]. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda larto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; […]”.

[3]: art. 585 del codice penale – Circostanze aggravanti:“Nei casi previsti dagli articoli 582, 583, 583 bis, 583 quinquies e 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576, ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite. Agli effetti della legge penale per armi s’intendono: 1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona; 2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo. Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti”.

[4]: articolo 224 del CPMP – Lesione personale grave o gravissima:“Se la lesione personale, commessa dal militare a danno di altro militare, è grave, si applica la reclusione da due a sette anni. Se la lesione personale è gravissima, si applica la reclusione da cinque a dodici anni”.

L’USO DI STUPEFACENTI DA PARTE DEL MILITARE: POSSIBILI PROFILI DISCIPLINARI

Un collega mi ha chiesto chiarimenti in merito alle conseguenze disciplinari cui va incontro il militare che faccia uso di droga. Premesso che parlerò solo di uso e non di spaccio, traffico o produzione di sostanze stupefacenti, perché in tal caso l’interessato ha già un Avvocato che lo assiste a cui lascio volentieri la sgradevole incombenza!

Ebbene, a prescindere dai risvolti medico legali (eventuale sospensione dal servizio per convalescenza eccetera) e amministrativi (sospensione della patente militare, comunicazione al Prefetto [1] [2], affidamento al SERD o SERT [3] dell’ASL, sospensione/revoca del NOS, possibile trasferimento per “incompatibilità ambientale” eccetera) sappiate che l’Amministrazione della Difesa non è assolutamente “tenera” con chi fa uso di droghe, fermo restando l’avvio del soggetto ad un percorso di recupero [4].

Tanto premesso, nel caso in cui:

  • non siate in servizio permanente, è altamente presumibile che possiate cessare dalla vostra ferma (o rafferma) [5] e dire praticamente addio alla vostra carriera militare [6];
  • siate invece in servizio permanente, è quasi sicuro che verrete sottoposti ad un procedimento militare di stato (per approfondire leggi qui!), rischiando tra l’altro di poter esser rimossi dal grado per grave mancanza disciplinare. Non potete che concordare con me sul fatto che il militare non può far uso di sostanze stupefacenti, avuto conto della “delicatezza” del compito che è chiamato a svolgere che presuppone, tra l’altro, l’uso di armi, la guida di veicoli (molto costosi come può essere un aereo, un elicottero o un carro armato, ma pensiamo pure … e soprattutto direi … a chi da “allegrotto” si mette alla guida di un mezzo pieno di colleghi!), la trattazione di documenti classificati eccetera.

Cercherò ora di dare una risposta a una domanda cruciale: sulla base di quale normativa il militare che fa uso di droghe viene sanzionato disciplinarmente, eventualmente anche con il congedo?

Beh … premesso che l’ordinamento giuridico militare (per approfondire leggi qui!) considera l’uso di droga sostanzialmente incompatibile con il possesso dello status militare … la risposta ad ogni dubbio è come al solito contenuta nel Codice dell’ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010 – cosiddetto COM) e, soprattutto, nel Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 – cosiddetto TUOM). Difatti, il militare che fa uso di droghe viola, tra l’altro:

  • i doveri attinenti al giuramento:“1. Con il giuramento di cui all’articolo 621, comma 6, del codice il militare di ogni grado s’impegna solennemente a operare per l’assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate con assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane, con disciplina e onore, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione, senza risparmio di energie fisiche, morali e intellettuali affrontando, se necessario, anche il rischio di sacrificare la vita. 2. L’assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane è il fondamento dei doveri del militare” (articolo del 712 TUOM);
  • i doveri attinenti al grado:“1. Il grado corrisponde alla posizione che il militare occupa nella scala gerarchica. 2. Egli deve astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possono comunque condizionare l’esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell’istituzione cui appartiene e pregiudicare l’estraneità delle Forze armate come tali alle competizioni politiche, fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 1483 del codice. 3. Il militare investito di un grado deve essere di esempio nel compimento dei doveri, poiché l’esempio agevola l’azione e suscita lo spirito di emulazione” (articolo 713 del TUOM);
  • il senso di responsabilità:“1. Il senso di responsabilità consiste nella convinzione della necessità di adempiere integralmente ai doveri che derivano dalla condizione di militare per la realizzazione dei fini istituzionali delle Forze armate” (articolo 717 del TUOM);
  • i doveri in materia di formazione militare:“1. Il militare ha il dovere di conservare e migliorare le proprie conoscenze e le capacità psicofisiche […] per poter disimpegnare con competenza ed efficacia l’incarico ricevuto e per far appropriato uso delle armi e dei mezzi affidatigli […]” (articolo 718 del TUOM);
  • le norme di contegno del militare:“ Il militare deve in ogni circostanza tenere condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze armate. 2. Egli ha il dovere di improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza. In particolare deve: a) astenersi dal compiere azioni e dal pronunciare imprecazioni, parole e discorsi non confacenti alla dignità e al decoro; b) prestare soccorso a chiunque versi in pericolo o abbisogni di aiuto; c) consegnare prontamente al superiore o alle autorità competenti denaro o cosa che ha trovato o che gli sono pervenuti per errore; d) astenersi dagli eccessi nell’uso di bevande alcoliche ed evitare l’uso di sostanze che possono alterare l’equilibrio psichico; e) rispettare le religioni, i ministri del culto, le cose e i simboli sacri e astenersi, nei luoghi dedicati al culto, da azioni che possono costituire offesa al senso religioso dei partecipanti […]” (articolo 732 del TUOM).

Sappiate infine che i Giudici amministrativi (TAR e Consiglio di Stato – per approfondire leggi qui!), chiamati a giudicare sulla correttezza delle sanzioni disciplinari di corpo e di stato (per approfondire leggi qui!) comminate ai militari colpevoli di aver fatto uso di droghe, hanno sostanzialmente approcciato alla problematica in due modi:

  • in un primo, che possiamo definire “duro”, ritenendo corretto comminare al militare una sanzione disciplinare di stato, ma sempre nel rispetto dei cosiddetti principi di proporzionalità e di ragionevolezza. Detto altrimenti, alcuni Giudici amministrativi hanno ritenuto che l’uso meramente “occasionale” di droga non costituisca, di per sé, presupposto sufficiente per l’adozione della sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione (cioè il congedamento ed il conseguente licenziamento!);
  • in un secondo modo, “durissimo” direi, considerando sempre legittima la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione … quindi anche in caso di mera occasionalità nell’uso di sostanze stupefacenti.

Un’ultima cosa prima di concludere, se durante il servizio (o ancora peggio, durante lo svolgimento di un servizio regolato da consegna – per approfondire leggi qui!) siete colti in stato di ubriachezza, sapete bene che avete commesso il reato di “ubriachezza in servizio” di cui all’articolo 139 [7] del codice penale militare di pace (CPMP). La cosa che però molto spesso viene sottovalutata è che tale articolo si conclude con le seguenti parole “[…] le stesse disposizioni si applicano, quando la capacità di prestare il servizio sia esclusa o menomata dall’azione di sostanze stupefacenti”. Ecco quindi che il reato di ubriachezza in servizio si realizza anche nel caso in cui il militare, durante il servizio, venga trovato positivo al drug-test! Tenetelo bene a mente e, soprattutto, evitate “leggerezze” che possono costarvi molto molto caro … ovviamente, essendo il reato militare di ubriachezza in servizio normalmente punibile con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi (quantomeno nell’ipotesi base di cui al primo comma), affinché possa dar vita ad un procedimento penale è necessaria la richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!).

Detto ciò, non mi resta che salutarvi … ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 75 del D.P.R. 309 del 1990Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” – Condotte integranti illeciti amministrativi:“1. Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto […] a una o più delle seguenti sanzioni amministrative: a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni ; b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla; c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli; d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario […]”.

[2]: art. 1064 del COM – Disciplina:“1. In relazione alla rilevante finalità di interesse pubblico di gestione del rapporto di impiego o di servizio, ai sensi dell’articolo 112 del decreto n. 196, il trattamento dei dati sensibili e giudiziari, in materia di disciplina del personale militare, avviene nell’ambito dei seguenti procedimenti e attività: a) procedimento disciplinare per l’irrogazione di una sanzione disciplinare di corpo; b) cessazione degli effetti delle sanzioni disciplinari di corpo; c) controllo di legittimità in materia di sanzioni disciplinari di corpo; d) esame di provvedimenti giurisdizionale a fini disciplinari; e) procedimenti per l’applicazione delle sanzioni disciplinari di stato; f) reintegrazione nel grado a seguito di perdita del grado quale sanzione di stato; g) applicazione, cessazione degli effetti e revoca di misure disciplinari precauzionali; h) trattazione delle istanze per conferire con le autorità centrali e periferiche; i) comunicazione al prefetto dei casi di tossicodipendenza. 2. In relazione alla rilevante finalità di interesse pubblico di gestione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo 112 del decreto n. 196, il trattamento dei dati sensibili e giudiziari, in materia di disciplina del personale civile della Difesa, avviene esclusivamente nell’ambito dei procedimenti disciplinari. 3. Il trattamento dei dati sensibili e giudiziari è effettuato ai sensi dei libri IV e V del codice e della normativa sul rapporto di lavoro del personale civile. 4. I tipi di dati trattati in relazioni a quanto indicato nei commi 1 e 2 sono i seguenti: a) stato di salute: 1) patologie attuali; 2) patologie pregresse; 3) terapie in corso; b) dati di carattere giudiziario. 5. Le particolari forme di elaborazione dei dati, per le finalità di seguito indicate, sono le seguenti: a) comunicazione al Prefetto ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 75, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di tossicodipendenza; b) comunicazione prevista dall’articolo 929 del codice di sottoporsi agli accertamenti sanitari”.

[3]: il SERvizio per le Dipendenze e il SERvizio per le Tossicodipendenze sono servizi pubblici del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

[4]: art. 202 del COM – Centri di formazione e di informazione in materia di tossicodipendenze, alcoldipendenze e uso di sostanze dopanti:“1. Il Ministero della difesa promuove: a) corsi formativi di psicologia e sociologia per tutti gli ufficiali medici e per gli allievi delle scuole infermieri, nonché per ufficiali e sottufficiali di arma finalizzati ad addestrare personale esperto preposto alla tutela della salute fisica e psichica dei giovani alle armi; b) sessioni di studio sulla psicologia di gruppo e su temi specifici di sociologia; c) seminari sul disadattamento giovanile, sulle tossicodipendenze, le alcoldipendenze e l’uso di sostanze dopanti, da svolgersi periodicamente per la continua formazione e aggiornamento dei quadri permanenti. 2. Il Ministero della difesa: a) organizza presso accademie, scuole militari, scuole di sanità militare, comandi ed enti militari, corsi di informazione sui danni derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti, psicotrope, alcoliche, tabacco e sostanze dopanti, inserendoli nel più ampio contesto dell’azione di educazione civica e sanitaria che è svolta nei confronti dei giovani arruolati e dei militari di leva, in caso di ripristino della stessa; b) da’ informazioni complessive sul fenomeno criminoso del traffico di sostanze stupefacenti, psicotrope e dopanti; tali informazioni sono attuate anche mediante periodiche campagne basate su conferenze di ufficiali medici al personale militare, con il supporto di mezzi audiovisivi e opuscoli”;

art. 203 del COM – Azione di prevenzione e accertamenti sanitari:“Il Ministero della difesa tramite i consultori e i servizi di psicologia delle Forze armate svolge azione di prevenzione contro le tossicodipendenze, le alcoldipendenze e l’uso di sostanze dopanti. 2. In occasione delle operazioni di arruolamento dei volontari e di selezione per la leva, in caso di ripristino della stessa, se è individuato un caso di tossicodipendenza, tossicofilia, alcoldipendenza o doping, l’autorità militare, che presiede alla visita medica e alle prove psicoattitudinali, dispone l’invio dell’interessato all’ospedale militare per gli opportuni accertamenti. 3. Analogamente provvede l’autorità sanitaria militare nel corso delle visite mediche previste dall’articolo 929”;

art. 204 del COM – Rapporti con le strutture socio-sanitarie civili: “1. I rapporti di collaborazione tra struttura sanitaria militare e strutture sanitarie civili impegnate nel settore delle tossicodipendenze, alcoldipendenze e contrasto dell’uso di sostanze dopanti, sono volti ad assicurare, in ogni caso, la continuità dell’assistenza e a favorire il recupero socio-sanitario dell’interessato. 2. I dati statistici relativi all’andamento del fenomeno della tossicodipendenza, alcoldipendenza e uso di sostanze dopanti, rilevati nell’ambito militare, sono trasmessi ogni dodici mesi ai Ministeri della salute e dell’interno”.

[5]: in tal senso l’art. 957 del COM, titolato “Casi di proscioglimento dalla ferma o dalla rafferma”, che prevede espressamente al secondo comma che “[…] il proscioglimento per esito positivo degli accertamenti diagnostici per l’abuso di alcool, per l’uso, anche saltuario od occasionale, di sostanze stupefacenti, nonché per l’utilizzo di sostanze psicotrope a scopo non terapeutico, è disposto sulla base della documentazione attestante gli accertamenti diagnostici effettuati”.

[6]: ricordiamo peraltro che un requisito per il reclutamento è proprio l’“esito negativo agli accertamenti diagnostici per l’abuso di alcool, per l’uso, anche saltuario od occasionale, di sostanze stupefacenti, nonché’ per l’utilizzo di sostanze psicotrope a scopo non terapeutico(art. 635 del COM – per approfondire leggi qui!).

[7]: art. 139 CPMP:“Il militare, che, in servizio, ovvero dopo di essere stato comandato per il servizio, è colto in stato di ubriachezza, volontaria o colposa, tale da escludere o menomare la sua capacità di prestarlo, è punito con la reclusione militare fino a sei mesi. Se il fatto è commesso dal comandante del reparto o da un militare preposto al servizio o capo di posto, la pena è della reclusione militare fino a un anno. Le stesse disposizioni si applicano, quando la capacità di prestare il servizio sia esclusa o menomata dall’azione di sostanze stupefacenti”.

LE INCHIESTE MILITARI PER EVENTI DI PARTICOLARE GRAVITÀ O RISONANZA: L’INCHIESTA SOMMARIA E L’INCHIESTA FORMALE

Con le inchieste sommarie e le inchieste formali vengono accertate le cause che hanno determinato eventi di particolare gravità o risonanza in modo che l’Amministrazione possa adottare le contromisure idonee ad evitare il ripetersi di tali accadimenti e sanzionare gli eventuali responsabili. In tal senso, l’articolo 530 del Decreto legislativo n. 66 del 2010 “Codice dell’ordinamento militare” (cosiddetto COM) che prevede infatti che “il Ministero della difesa dispone le inchieste sommarie e formali volte ad accertare le cause soggettive e oggettive che hanno determinato eventi di particolare gravità o risonanza nell’ambito dell’Amministrazione della difesa, allo scopo di valutare l’opportunità di adottare le misure correttive di carattere organizzativo o tecnico necessarie a evitare il ripetersi degli eventi dannosi e di dare l’avvio ai procedimenti rivolti a individuare eventuali responsabilità penali, disciplinari, amministrative, in merito alla causazione dell’evento”.

Tanto premesso, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare(cosiddetto TUOM) chiarisce alcuni aspetti fondamentali della questione e, in particolare:

1. la differenza tra inchiesta sommaria e inchiesta formale, rilevando che “si intendono per:

  • inchieste sommarie quelle disposte nell’immediatezza dell’evento e condotte secondo modalità semplificate, anche allo scopo di evitare la dispersione degli elementi utili per gli eventuali ulteriori accertamenti [1];
  • inchieste formali quelle disposte quando la gravità dell’evento richiede nell’immediato un approfondito esame, ovvero sia necessario, sulla base dei risultati dell’inchiesta sommaria, esperire indagini più articolate e complesse, al fine di accertare le cause dell’evento” (articolo 552 TUOM);

2. la nozione di evento di particolare gravità o risonanza, chiarendo che tali sono da considerarsi:

  • gli avvenimenti dannosi che interessano personale, mezzi o beni del Ministero della difesa, quali, a titolo esemplificativo, incidenti e infortuni rilevanti connessi all’impiego operativo, all’attività addestrativa e comunque al servizio, furti, smarrimenti o danneggiamenti di materiali e apparati particolarmente delicati e importanti, come a esempio armi e munizionamenti, ed eventi relativi alla situazione sanitaria nei reparti;
  • gli accadimenti che potrebbero avere riflessi negativi sull’opinione pubblica per la loro delicatezza o per il numero di persone coinvolte;
  • i sinistri marittimi, intesi come qualsiasi evento dannoso accaduto, in navigazione o in porto, a unità navali appartenenti all’Amministrazione della difesa o a persone o beni a bordo (articolo 553 TUOM) [2] ”.

A) L’INCHIESTA SOMMARIA

Ai sensi dell’articolo 557 del TUOM, l’Autorità competente ad ordinare l’inchiesta sommaria [3]nomina, entro quindici giorni dal ricevimento della notizia dell’evento, un ufficiale inquirente per l’esecuzione dell’inchiesta”. Il successivo articolo 559 del TUOM ci chiarisce poi a cosa consista tale inchiesta, ovverosia:“a) nell’acquisizione della relazione del comandante di corpo, ovvero del titolare del comando, ente, unità o ufficio interessati all’evento; b) nella raccolta di tutte le notizie relative all’evento quali: località, data, ora, circostanze, generalità del personale coinvolto, beni della difesa interessati dall’evento, dinamica e probabili cause, provvedimenti adottati, eventuali interventi dell’autorità giudiziaria, documenti o altri mezzi di prova, nonché ogni altro elemento di informazione utile; c) nella raccolta di dichiarazioni testimoniali di personale militare e civile della Difesa, nonché di persone estranee all’Amministrazione della difesa in grado di fornire notizie utili ai fini dell’inchiesta, le cui attestazioni sono verbalizzate a cura dell’ufficiale inquirente e sottoscritte dal dichiarante; d) nella compilazione di un rapporto riassuntivo dell’evento, recante i risultati delle indagini e le considerazioni sulle cause dell’evento”. Tale “rapporto riassuntivo dell’evento” deve essere inviato, entro 90 giorni, all’Autorità che ha ordinato l’esecuzione dell’inchiesta sommaria che a sua volta lo trasmetterà nei successivi 30 giorni, corredato di un proprio motivato parere e l’indicazione degli eventuali provvedimenti adottati, allo Stato Maggiore della Difesa, al Segretariato Generale della Difesa, allo Stato Maggiore di Forza Armata ovvero al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri a seconda dell’area di appartenenza dell’Ente coinvolto nell’evento negativo (articolo 560 [4] TUOM).

B) L’INCHIESTA FORMALE

Ai sensi dell’articolo 561 del TUOM, successivamente all’inchiesta sommaria (ovvero a volte anche a prescindere da questa), può essere disposta una inchiesta formale qualora [5]:

  • dall’inchiesta sommaria non siano emerse le cause dell’evento;
  • si sia verificato un evento grave o gravissimo che abbia determinato la morte, lesioni gravi o gravissime a persone ovvero la perdita o il grave danneggiamento di beni di rilevante valore o particolare importanza [6] ;
  • venga ritenuto opportuno procedere ad una inchiesta formale in ragione della rilevanza degli eventi (e questo, quindi, anche in assenza di una preventiva inchiesta sommaria!).

A differenza di quanto avviene per le inchieste sommarie, l’inchiesta formale non viene eseguita da un singolo Ufficiale inquirente, bensì da una Commissione d’inchiesta formale che, ai sensi dell’articolo 563 del TUOM:

  • è costituita da “a) un presidente di grado superiore o, se pari grado, più anziano del comandante di corpo o titolare del comando, ente, unità o ufficio presso cui si è verificato l’evento; b) due o quattro membri di grado superiore o, se pari grado, più anziani del comandante di corpo o del titolare del comando, ente, unità o ufficio presso cui si è verificato l’evento, di cui uno con funzioni di segretario”;
  • ha facoltà di avvalersi, qualora ritenuto utile ai fini dell’inchiesta, di personale appartenente all’Amministrazione della difesa, ovvero di consulenti tecnici esterni […]”;
  • procede: a) all’esame degli atti dell’inchiesta sommaria, ove precedentemente effettuata; b) all’esecuzione di accertamenti, rilievi e sopralluoghi, qualora necessari anche esterni rispetto all’ente o al reparto presso cui si è verificato l’evento; c) all’acquisizione di eventuali ulteriori documenti e dichiarazioni testimoniali di personale militare e civile della Difesa, nonché di persone estranee all’Amministrazione della difesa; d) all’esame delle relazioni dei consulenti, qualora nominati; e) all’effettuazione di ogni altra attività ritenuta utile ai fini dell’inchiesta”;
  • conclude i propri lavori con “con un rapporto finale, corredato di tutta la documentazione acquisita agli atti, contenente: a) una circostanziata ricostruzione dell’evento; b) deduzioni, considerazioni di ordine giuridico e tecnico; motivazioni; c) il parere chiaro ed esplicito sulle cause che hanno provocato l’evento; d) data e sottoscrizione di tutti i componenti della commissione”.

Infine, ai sensi del successivo articolo 564 [7] del TUOM, entro 120 giorni la Commissione “rimette all’autorità che ha ordinato l’inchiesta gli atti conclusivi dell’inchiesta formale, la quale adotta, entro 180 giorni (badate bene … decorrenti dal momento in cui l’inchiesta formale è stata disposta), “con decisione motivata, i provvedimenti ritenuti necessari”.

Se siete arrivati a leggere fino a questo punto, credo che abbiate inquadrato l’argomento in modo sufficientemente chiaro … non mi resta quindi che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: per quanto attiene specificamente alle inchieste sommarie, l’articolo 555 TUOM stabilisce inoltre che, nell’immediatezza dell’evento, “i comandanti di corpo, i titolari di comandi, enti, unità o uffici nel cui ambito si è verificato l’evento di particolare gravità o risonanza, provvedono a:

a) impedire la dispersione o alterazione di cose, documenti e in genere di tutti gli elementi utili per i successivi adempimenti;

b) dare tempestiva comunicazione dell’evento, attraverso la linea gerarchica, all’autorità competente a disporre l’inchiesta sommaria, ai sensi dell’articolo 556, comma 1, nonché allo Stato maggiore della difesa, per gli eventi occorsi nell’area tecnico-operativa, o al Segretariato generale della difesa, per gli eventi verificatisi nell’area tecnico-amministrativa e tecnico-industriale;

c) redigere una relazione tecnica, recante l’indicazione delle circostanze in cui si è verificato l’evento, della dinamica di svolgimento dei fatti, dei provvedimenti adottati, nonché le eventuali valutazioni, trasmettendola, entro cinque giorni, all’autorità competente a disporre l’inchiesta sommaria, di cui alla lettera b), per la medesima via gerarchica, ovvero entro dieci giorni per gli eventi verificatisi nel corso di operazioni all’estero;

d) inoltrare, se l’evento si è verificato nell’ambito di operazioni o esercitazioni internazionali, multinazionali o NATO a carattere interforze, la comunicazione di cui alla lettera b) anche allo Stato maggiore della Forza armata o al Comando generale dell’Arma di carabinieri a cui appartengono il personale, i beni o i mezzi coinvolti”.

[2]: non sono considerati eventi di particolare gravità e risonanzagli incidenti automobilistici, nei quali sono rimasti coinvolti automezzi isolati e che non hanno comportato gravi lesioni fisiche o perdite di vite umane” (art. 530, comma 3, del COM).

[3]: ai sensi dell’articolo 556 del TUOM, sono competenti ad ordinare l’inchiesta sommaria:

a) il Capo di stato maggiore della difesa quando: 1) gli eventi sono avvenuti nell’ambito di enti e organismi, in Italia o all’estero, dipendenti direttamente dalla predetta autorità o dal Sottocapo di stato maggiore della difesa o dal Comandante del Comando operativo di vertice interforze; 2) gli eventi sono avvenuti nell’ambito di operazioni, missioni o esercitazioni per le quali tale autorità esercita o ha delegato le funzioni di comando e controllo;

b) il Segretario generale della difesa, quando gli eventi sono avvenuti nell’ambito del Segretariato generale;

c) i superiori gerarchici del comando, ente, unità e ufficio coinvolti nell’evento, il cui livello ordinativo è individuato, in via generale, con decreto del Ministro della difesa, in base all’assetto organizzativo delle aree tecnico-operativa, tecnico-amministrativa e tecnico-industriale del Ministero della difesa, nonché alla capacità ad acquisire, con la necessaria tempestività, gli elementi necessari per valutare l’opportunità di disporre l’inchiesta sommaria e ad adottare o proporre le misure correttive, sulla base dei risultati dell’indagine, fermo restando quanto disposto dal codice della navigazione in materia di sinistri marittimi […]” (art. 556 del TUOM).

[4]: art. 560 del TUOM – Invio degli atti dell’inchiesta sommaria:

1. Gli atti dell’inchiesta sommaria sono inviati, al più presto e comunque entro novanta giorni dalla data in cui è stata disposta, all’autorità che ne ha ordinato l’esecuzione e da questa trasmessi, nei successivi trenta giorni, con motivato parere e con l’indicazione degli eventuali provvedimenti adottati, allo Stato maggiore della difesa, al Segretariato generale della difesa, agli Stati maggiori di Forza armata, ovvero al Comando generale dell’Arma dei carabinieri, in relazione all’area di appartenenza del Comando, ente, unità o ufficio presso i quali si è verificato l’evento.

2. Lo Stato maggiore della difesa, il Segretariato generale, gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri, ricevuti gli atti dell’inchiesta sommaria, procedono al loro esame da concludersi, con decisione motivata dell’autorità di vertice dei predetti organismi, entro centocinquanta giorni dalla data in cui essa è stata disposta. Tale autorità di vertice può ordinare, se ritenuto necessario, l’esecuzione di ulteriori indagini, i cui risultati sono valutati entro i successivi trenta giorni.

3. Una sintetica scheda informativa sugli esiti dell’inchiesta sommaria è inviata, senza ritardo, a cura dei citati Stati maggiori o del Segretariato generale o del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, al Ministro della difesa. Gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri informano, altresì, degli esiti dell’inchiesta lo Stato maggiore della difesa”.

[5]: art. 561 del TUOM – Autorità competenti a ordinare l’inchiesta formale:

1. Sulla base delle risultanze dell’inchiesta sommaria, il Capo di stato maggiore della difesa, il Segretario generale della difesa, i Capi di stato maggiore di Forza armata e, per l’Arma dei carabinieri, il Comandante generale, se lo ritengono necessario ai fini dell’accertamento delle cause dell’evento, dispongono con provvedimento motivato la nomina della commissione d’inchiesta formale.

2. L’inchiesta formale è sempre disposta nel caso di evento grave che abbia comportato la perdita di vite umane o lesioni gravi o gravissime a una o più persone, ovvero perdite o grave danneggiamento di beni di rilevante valore o di particolare importanza, salvo il caso in cui appaia evidente, dall’esito dell’inchiesta sommaria, che l’evento si è verificato in conseguenza di caso fortuito o di forza maggiore, ovvero che l’autorità competente a ordinare l’inchiesta formale abbia verificato che l’inchiesta sommaria svolta ha compiutamente esaurito ogni possibile accertamento.

3. L’inchiesta formale può essere disposta anche in mancanza di una precedente inchiesta sommaria, se le autorità di cui al comma 1, valutano opportuno, in relazione alla natura e alla gravità dei fatti da accertare, avvalersi della commissione di inchiesta formale. Tale facoltà può essere esercitata esclusivamente dal Capo di stato maggiore della difesa quando gli eventi sono avvenuti nell’ambito di operazioni, missioni o esercitazioni per le quali esercita o ha delegato le funzioni di comando e controllo.

4. L’autorità che dispone l’inchiesta fissa il termine, non superiore a centoventi giorni, per la conclusione dei lavori della commissione. Il termine di conclusione dell’inchiesta formale è di centottanta giorni, a decorrere dalla data in cui è disposta”.

[6]: tranne ovviamente nel caso in cui, a seguito dell’inchiesta sommaria, non risulti possibile esperire alcun ulteriore accertamento/verifica ovvero sia stato dimostrato che l’evento si è verificato per caso fortuito o forza maggiore.

[7]: art. 564 del TUOM – Invio degli atti dell’inchiesta formale:

1. Nei termini di cui all’articolo 561, comma 4, la commissione rimette all’autorità che ha ordinato l’inchiesta gli atti conclusivi dell’inchiesta formale, la quale adotta, con decisione motivata, i provvedimenti ritenuti necessari.

2. Una dettagliata scheda informativa sugli esiti dell’inchiesta formale è inviata, senza ritardo, a cura degli Stati maggiori o del Segretariato generale o del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, al Ministro della difesa. Gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri informano, altresì, degli esiti dell’inchiesta lo Stato maggiore della difesa”.

I RAPPORTI TRA IL PROCEDIMENTO PENALE E QUELLO DISCIPLINARE: IL RINVIO E LA SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE MILITARE (LA C.D. PREGIUDIZIALE PENALE)

Si può aprire un procedimento disciplinare (per approfondire leggi qui!) nei confronti di un militare che è contemporaneamente sottoposto a procedimento penale? La risposta è si, quantomeno a partire dal 2015 [1]! L’articolo 1393 del Decreto legislativo n. 66 del 2010 “Codice dell’ordinamento militare(cosiddetto COM) stabilisce oggi infatti che “il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al militare, ovvero qualora, all’esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio […]”.

Per quanto precede, a differenza di quanto avveniva passato [2], la regola generale da seguire oggi è quindi che il procedimento disciplinare che abbia a oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’Autorità giudiziaria, venga proseguito e concluso anche in pendenza di procedimento penale. È cioè venuta meno la cosiddetta “pregiudiziale [3] penale”!

Tale regola generale conosce, però, due rilevanti eccezioni che hanno come presupposto:

  1. le infrazioni di “maggiore gravità” (quelle che possono cioè teoricamente portare all’irrogazione di una sanzione di stato o della consegna di rigore – per approfondire leggi qui!) per le quali sia particolarmente complesso l’accertamento dei fatti e delle responsabilità ovvero quando l’Amministrazione versi nell’indisponibilità di elementi conoscitivi;
  2. gli atti e comportamenti compiuti dal militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio.

Da quanto detto sino ad ora emerge chiaramente che per le infrazioni di minore gravità (quelle cioè che possono in teoria portare all’irrogazione di una mera sanzione di corpo diversa dalla consegna di rigore) o per quelle estranee al rapporto di servizio, non è ammessa alcuna sospensione o rinvio del procedimento disciplinare!

La procedura da seguire è abbastanza semplice e, quantomeno per Esercito, Marina Militare e Aeronautica Militare, prevede che il Comandante di corpo che vuole rinviare o sospendere il procedimento disciplinare rediga una relazione sui fatti con proposta motivata di rinvio dell’esame disciplinare che trasmette all’Autorità competente ai sensi dell’art. 1378 COM [4] [5]. È poi quest’ultima che dispone il rinvio del procedimento disciplinare ovvero, se questo ha già avuto inizio, ne ordina la sospensione.

Un’ultima cosa prima di concludere e se poi il militare viene assolto? Beh, questi potrà proporre istanza di riapertura del procedimento disciplinare, entro il termine di decadenza di 6 mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale [6] e, a questo punto, l’Autorità competente a riaprire il procedimento disciplinare potrà, in relazione all’esito del giudizio penale, modificarne o confermarne l’atto conclusivo (cioè il provvedimento disciplinare).

TCGC

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[1]: difatti la legge n. 124 del 7 agosto 2015 e, successivamente, il Decreto Legislativo n. 91 del 26 aprile 2016, riformando l’art. 1393 del COM, hanno modificato anche nell’Ordinamento militare il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale.

[2]: il “vecchio” art. 1393 prevedeva difatti che: “se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale […] il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale […] e, se già iniziato, deve essere sospeso”.

[3]: il termine “pregiudiziale” significa infatti, secondo il vocabolario Treccani, quella questione che deve essere trattata, esaminata, decisa prima di deliberare intorno a qualsiasi altra azione o decisione (per approfondire leggi qui!).

[4]: l’Autorità competente ai sensi dell’art. 1378 COM, quella cioè che ha il potere di rinviare o sospendere il procedimento, è quella competente a ordinare l’inchiesta formale che, per quanto di interesse, si identifica nella stragrande maggioranza dei casi nel Comandante “di Forza Armata, di livello gerarchico pari a generale di Corpo d’Armata o gradi corrispondenti”.

[5]: per gli appuntati e carabinieri in servizio le cose sono leggermente differenti. La competenza a rinviare/sospendere il procedimento disciplinare spetta difatti “ai rispettivi comandanti di corpo […], o in caso diverso o in mancanza di tale dipendenza, al comandante territoriale di corpo competente in ragione del luogo di residenza dell’interessato. In caso di corresponsabilità tra più appuntati e carabinieri provvede il comandante di corpo del più elevato in grado o del più anziano”.

[6]: art. 1393 COM:“[…] 2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale è definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il militare non lo ha commesso, l’autorità competente, ad istanza di parte, da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale”. L’art. 1393 COM prevede, inoltre, che nel caso in cui “il procedimento disciplinare si conclude senza l’irrogazione di sanzioni e il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’autorità competente riapre il procedimento disciplinare per valutare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare può comportare la sanzione di stato della perdita del grado per rimozione, ovvero la cessazione dalla ferma o dalla rafferma, mentre è stata irrogata una diversa sanzione”.

LA NOZIONE DI “LUOGO MILITARE” NEL CODICE PENALE MILITARE DI PACE

Quando può parlarsi di “luogo militare” ai fini dell’applicazione della legge penale militare? Iniziamo col dire che, come abbiamo spesso avuto modo di vedere in altri post presenti su avvocatomilitare.com, è tutto scritto … basta sapere dove andare a cercare! In questo caso ci viene in aiuto l’articolo 230 [1] del codice penale militare di pace (CPMP) che, sebbene disciplini il reato di “furto militare”, ci chiarisce che “agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di luogo militare si comprendono le caserme, le navi, gli aeromobili, gli stabilimenti militari e qualunque altro luogo, dove i militari si trovano, ancorché momentaneamente, per ragione di servizio”. Ebbene, a prescindere dai luoghi militari che sono evidenti … mi riferisco a caserme, aeromobili, navi o stabilimenti militari … tale articolo è interessante perché ci chiarisce che è altresì luogo militare “[…] qualunque altro luogo, dove i militari si trovano, ancorché momentaneamente, per ragione di servizio”. Ciò implica che i luoghi militari possano essere i più disparati come, ad esempio, un seggio elettorale (per i militari che vi svolgono servizio durante le elezioni), l’autovettura di servizio in uso a una pattuglia della Guardia di Finanza, il bivacco allestito in un bosco nel corso di una esercitazione eccetera. Ritenendo di aver esaurito l’argomento, non mi resta che salutarvi … ad maiora

TCGC

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[1]: art. 230 del CPMP – Furto militare: “Il militare, che, in luogo militare, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola ad altro militare che la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione militare da due mesi a due anni. Se il fatto è commesso a danno della amministrazione militare, la pena è della reclusione militare da uno a cinque anni. La condanna importa la rimozione. Agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di luogo militare si comprendono le caserme, le navi, gli aeromobili, gli stabilimenti militari e qualunque altro luogo, dove i militari si trovano, ancorché momentaneamente, per ragione di servizio”.

LA NOZIONE DI “VIOLENZA” NEL CODICE PENALE MILITARE DI PACE

Un collega mi chiede chiarimenti in merito alla nozione di “violenza” cui viene fatto riferimento nel codice penale militare di pace (CPMP). In particolare, mi è stato chiesto di chiare se un semplice “maltrattamento” possa rilevare ai fini dell’applicazione della legge penale militare. Beh, la risposta è semplice! Difatti, l’articolo 43 del codice penale militare di pace (CPMP), titolato proprio “nozione di violenza”, stabilisce che “agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di violenza si comprendono l’omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti, e qualsiasi tentativo di offendere con armi”. Conseguentemente i “maltrattamenti” nel CPMP, a differenza di quanto accade nel codice penale (ordinario), vengono assimilati a una violenza vera e propria e, conseguentemente, possono rilevare ai fini della commissione di reati militari quali, ad esempio, l’“insubordinazione con violenza” (articolo 186 [1] del CPMP) ovvero la “violenza a inferiore” (articolo 195 [2] del CPMP). Per sapere poi quali caratteristiche devono però presentare tali maltrattamenti per poter essere penalmente rilevanti … e, soprattutto, per capire se voi stessi siete stati oggetto di maltrattamenti … vi consiglio ad andare dal vostro avvocato di fiducia … sono convinto che analizzarà il vostro caso meglio di quanto possa fare io in questo post … e con questo vi saluto, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 186 del CPMP – Insubordinazione con violenza:“Il militare che usa violenza contro un superiore è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale ovvero in una lesione personale grave, o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

[2] art. 195 del CPMP – Violenza contro un inferiore:“Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

LA NOTIZIA DI REATO

La notizia di reato (detta anche “alla latina” notitia criminis) è quell’elemento d’informazione attraverso il quale il Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria vengono a conoscenza del fatto che è stato commesso un reato … essa rappresenta cioè il presupposto dell’attività di indagine! L’articolo 330 del codice di procedura penale stabilisce al riguardo che il “pubblico Ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse […]” da privati cittadini o da persone obbligate a farlo (per approfondire le diverse ipotesi di “segnalazione” leggi qui!) [1], come i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio (per approfondire leggi qui!).

In ossequio al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale previsto all’articolo 112 della Costituzione [2], possiamo dire a grandi linee che il Pubblico Ministero, una volta ricevuta la notizia di reato la iscrive (obbligatoriamente) in un apposito registro che si chiama registro delle notizie di reato [3], dove viene indicato il tipo di reato, il nominativo della persona cui questo è attribuito eccetera (N.B. se avete il dubbio di essere sotto indagine, sappiate che potete chiedere informazioni in merito direttamente in Procura – per approfondire leggi qui!). Ebbene, dal momento in cui avviene tale iscrizione si aprono le indagini preliminari e iniziano quindi a decorrere i relativi termini. Sappiate che i registri delle notizie di reato sono più di uno. Infatti, se la notizia di reato:

  • è a carico di persona nota, questa verrà iscritta nel “registro delle notizie di reato a carico di persone note” (modello 21);
  • è a carico di persona non nota, verrà invece iscritta nel “registro delle notizie di reato a carico di persone ignote” (modello 44);
  • rientra nella competenza del Giudice di pace, l’iscrizione verrà fatta nel “registro delle notizie di reato per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace” (modello 21 bis);
  • proviene da una denuncia anonima, la notizia di reato verrà infine iscritta nel “registro delle notizie anonime di reato” (modello 46),

e così via …

Un’ultimissima cosa prima di concludere: il Pubblico Ministero prende nota anche delle informazioni e delle segnalazioni che gli arrivano anche se non hanno, a suo parere, una immediata rilevanza penale, iscrivendoli nello specifico “registro degli atti che non costituiscono una notizia reato” (modello 45).

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[1]: art. 331 c.p.p. – Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio:“1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.

[2]: art. 112 della Costituzione: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.

[3]: art. 335 c.p.p. – Registro delle notizie di reato:“1. Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito. 2. Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l’aggiornamento delle iscrizioni previste dal comma 1 senza procedere a nuove iscrizioni. 3. Ad esclusione dei casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), le iscrizioni previste dai commi 1 e 2 sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta. 3-bis. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il pubblico ministero, nel decidere sulla richiesta, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile. 3-ter. Senza pregiudizio del segreto investigativo, decorsi sei mesi dalla data di presentazione della denuncia, ovvero della querela, la persona offesa dal reato può chiedere di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo”.

IL SEGRETO D’UFFICIO (MILITARE O COMUNE) VIENE TUTELATO PENALMENTE?

Iniziamo subito col dire che la risposta è si! Il segreto d’ufficio viene tutelato sia dal codice penale comune che dal codice penale militare di pace! Prima di vedere come, chiariamo immediatamente che non stiamo parlando di reati con finalità di spionaggio [1], non è questo l’argomento di questo post! Tanto premesso, sappiate che:

  • l’articolo 326 del codice penale punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (clicca qui per approfondire) che “violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno […]”;
  • l’articolo 127 del codice penale militare di pace (CPMP) punisce invece “il militare, che rivela notizie concernenti il servizio o la disciplina militare in generale, da lui conosciute per ragione o in occasione del suo ufficio o servizio, e che devono rimanere segrete, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. Se le notizie non sono segrete, ma hanno carattere riservato, per esserne stata vietata la divulgazione dall’autorità competente, si applica la reclusione militare fino a due anni.  Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione militare fino a un anno”.

Essendo i reati in questione relativamente intuitivi e semplici da capire, mi limiterò a darvi solo alcune “coordinate” per farveli meglio inquadrare. Ebbene, come avete avuto modo di notare, tali reati hanno una struttura molto simile tanto che la condotta incriminata da entrambi consiste essenzialmente nel rivelare o agevolare la conoscenza di atti, attività, informazioni ovvero notizie dell’ufficio (o del servizio) cui è addetto il funzionario o il militare autore del reato. Tali notizie o informazioni sono però solo quelle che devono rimanere segrete o riservate per esserne stata vietata la divulgazione … considerate però che il concetto di segretezza cui stiamo facendo riferimento non coincide né con quello di segreto di stato né, tantomeno, con quello di informazione classificata [2]! Infatti, tale segreto ha ad oggetto solo quelle notizie che il pubblico funzionario o il militare ha il dovere (giuridico) di non rivelare perché così è stato previsto dalla legge, dai regolamenti, dall’ordine di un superiore se non anche dal generale obbligo di riserbo e riservatezza che grava su ogni pubblico dipendente e, a maggior ragione, su ogni singolo militare (per approfondire leggi qui!).

Tali reati, sebbene molto simili, presentano però delle differenze:

  • l’articolo 326 del codice penale, al contrario dell’articolo 127 CPMP, punisce infatti anche l’utilizzazione del segreto d’ufficio. I relativi terzo e quarto comma prevedono infatti che “il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni”;
  • la tutela penale offerta dall’articolo 127 CPMP è più ampia di quella garantita dall’articolo 326 del codice penale. Il CPMP, infatti, estende la punibilità anche alle notizie conosciute dal militare “in occasione del suo ufficio o servizio”.

Penso che a questo punto abbiate elementi sufficienti per evitare di mettervi nei guai. Non mi resta quindi che augurarvi un buon lavoro e … mi raccomando, acqua in bocca!

TCGC

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[1]: la cosa risulta particolarmente evidente nell’articolo 127 del codice penale militare di pace, allorquando specifica che le notizie segrete o riservate debbano riguardare “il servizio o la disciplina militare in generale”.

[2]: mi riferisco al segreto di stato o alle informazioni classificate di cui agli artt. 39-42 della legge n. 124 del 2007 “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”.

DEGRADAZIONE, RIMOZIONE E ALTRE PENE MILITARI ACCESSORIE

Ai sensi dell’articolo 24 del codice penale militare di pace (CPMP) “le pene militari accessorie sono: 1) la degradazione; 2) la rimozione; 3) la sospensione dall’impiego; 4) la sospensione dal grado; 5) la pubblicazione della sentenza di condanna”. In particolare:

  • l’articolo 28 CPMP stabilisce che “la degradazione si applica a tutti i militari, è perpetua e priva il condannato: 1) della qualità di militare e, salvo che la legge disponga altrimenti, della capacità di prestare qualunque servizio, incarico od opera per le forze armate dello Stato; 2) delle decorazioni […]”. Per quanto di interesse, è evidente che la caratteristica fondamentale di tale pena militare accessoria sia quella di privare il condannato della qualità di militare … notate che tale caratteristica avvicina molto la degradazione all’interdizione perpetua dai pubblici uffici (articolo 28 del codice penale [1]);
  • l’articolo 29 CPMP prevede, invece, che “la rimozione si applica a tutti i militari rivestiti di un grado appartenenti a una classe superiore all’ultima; è perpetua, priva il militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe”. Tale pena accessoria trova la propria ragion d’essere, oltre che nel caso di condanna alla reclusione militare superiori a 3 anni, anche per alcuni specifici reati (indipendentemente dalla durata della condanna inflitta) come, ad esempio, il peculato militare (articoli 215-219 CPMP), il furto militare (articoli 230-232 CPMP), la truffa militare (articolo 234 CPMP) eccetera;
  • gli articoli 30 e 31 CPMP disciplinano la sospensione dall’impiego [2] e la sospensione dal grado [3] (da non confondersi con le sanzioni disciplinari di stato della sospensione disciplinare dall’impiego e della sospensione disciplinare dalle funzioni del grado!), che si applicano (la prima agli Ufficiali e la seconda ai Sottufficiali e ai Militari di Truppa) in caso di mancata applicazione della rimozione durante la reclusione militare;
  • l’articolo 32 CPMP contempla infine la pubblicazione della sentenza di condanna [4], in sostanziale analogia a quanto previsto dal corrispondente articolo del codice penale ordinario [5].

N.B.: le pene militari accessorie si applicano anche a seguito della condanna per reati previsti dal codice penale ordinario. Nello specifico, l’articolo 33 CPMP, titolato proprio “Pene militari accessorie conseguenti alla condanna per delitti preveduti dalla legge penale comune”, prevede infatti che “la condanna pronunciata contro militari in servizio alle armi o in congedo, per alcuno dei delitti preveduti dalla legge penale comune, oltre le pene accessorie comuni, importa: 1) la degradazione, se trattasi di condanna alla pena di morte o alla pena dell’ergastolo, ovvero di condanna alla reclusione che, a norma della legge penale comune, importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici; 2) la rimozione, se, fuori dei casi indicati nel numero 1, trattasi di delitto non colposo contro la personalità dello Stato, o di alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 476 a 493, 530 a 537, 624, 628, 629, 630, 640, 643, 644 e 646 del codice penale, o di bancarotta fraudolenta; ovvero se il condannato, dopo scontata la pena, deve essere sottoposto a una misura di sicurezza detentiva diversa dal ricovero in una casa di cura o di custodia per infermità psichica, o alla libertà vigilata; 3) la rimozione, ovvero la sospensione dall’impiego o dal grado, secondo le norme stabilite, rispettivamente, dagli articoli 29, 30 e 31, in ogni altro caso di condanna alla reclusione, da sostituirsi con la reclusione militare a termini degli articoli 63 e 64. La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, ovvero di tendenza a delinquere, pronunciata in qualunque tempo contro militari in servizio alle armi o in congedo, per reati preveduti dalla legge penale comune, importa la degradazione”.

Prima di concludere, un ultimissimo chiarimento dagli indubbi risvolti pratici … da quando decorrono le pene militari accessorie? Ebbene, ai sensi dell’articolo 34 CPMP “le pene della degradazione e della rimozione decorrono, a ogni effetto, dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Le pene della sospensione dall’impiego e della sospensione dal grado decorrono dal momento in cui ha inizio l’esecuzione della pena principale”.

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[1]: art. 28 c.p. – Interdizione dai pubblici uffici:“L’interdizione dai pubblici uffici è perpetua o temporanea. L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato: 1) del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico; 2) di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale o d’incaricato di pubblico servizio; 3) dell’ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura; 4) dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche; 5) degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico; 6) di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti; 7) della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti. L’interdizione temporanea priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l’interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità, gradi, titoli e onorificenze. Essa non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a cinque. La legge determina i casi nei quali l’interdizione dai pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi”.

[2]: art. 30 CPMP – Sospensione dall’impiego:“La sospensione dall’impiego si applica agli ufficiali, e consiste nella privazione temporanea dall’impiego. Fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente [e cioè in caso di rimozione], la condanna alla reclusione militare importa la sospensione dall’impiego durante l’espiazione della pena”.

[3]: art. 31 CPMP – Sospensione dal grado: “La sospensione dal grado si applica ai sottufficiali e ai graduati di truppa, e consiste nella privazione temporanea del grado militare. Fuori dei casi preveduti dall’articolo 29 [e cioè in caso di rimozione], la condanna alla reclusione militare importa la sospensione dal grado durante l’espiazione della pena”.

[4]: art. 32 CPMP – Pubblicazione della sentenza di condanna: “La sentenza di condanna alla pena di morte o alla pena dell’ergastolo è pubblicata per estratto mediante affissione nel comune dove è stata pronunciata, in quello dove il reato fu commesso e in quello dove ha sede il corpo o è ascritta la nave, a cui il condannato apparteneva. Il giudice, se ricorrono particolari motivi, può disporre altrimenti, o anche che la sentenza non sia pubblicata”.

[5]: art. 36 c.p. – Pubblicazione della sentenza penale di condanna:“La sentenza di condanna all’ergastolo è pubblicata mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza. La sentenza di condanna è inoltre pubblicata nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione nel sito è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni. La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero; essa è eseguita d’ufficio e a spese del condannato. La legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi precedenti”.

IL REATO DI VILIPENDIO

Un notissimo vocabolario della lingua italiana definisce il vilipendio [1] come quella “[…] figura di reato prevista dal codice penale, consistente nell’offendere con parole, scritti o atti di grave e offensivo disprezzo valori ritenuti particolarmente degni di rispetto: (reato di) vilipendio alla nazione, alla bandiera nazionale; vilipendio della Repubblica, delle istituzioni, della religione, o di cadavere, di sepolture” … vilipendere, quindi, significa sostanzialmente disprezzare apertamente e con modalità molto offensive.

Il reato di vilipendio, nel diritto penale, si realizza in diversi modi … infatti il codice penale prevede, ad esempio, il reato di offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone o di cose (articoli 403 e 404 del codice penale), il vilipendio delle tombe (articolo 408 del codice penale), il vilipendio di cadavere (articolo 410 del codice penale) nonché – ed è questo l’oggetto del presente post – tutte quelle forme di “aggressione” all’Organizzazione repubblicana nel suo complesso com’è, ad esempio, il vilipendio al Presidente della Repubblica (articolo 278 del codice penale [2]), quello della Repubblica, delle Istituzioni repubblicane e delle Forze Armate (articolo 290 del codice penale [3]), della Nazione (articolo 291 del codice penale [4]) oppure della Bandiera (articolo 292 del codice penale [5]).

Vi starete chiedendo … ma in Italia non esiste il diritto di libera manifestazione di pensiero (articolo 21 della Costituzione) e, quindi, il diritto di critica? Beh, ovviamente si! Esistono però modalità di esercizio di tale diritto che possono rappresentare un “pericolo” per la tenuta generale del sistema e che, per tanto, vengono sanzionate penalmente. In una storica sentenza, la Corte costituzionale ha preso in esame proprio tale profilo, legittimando l’esistenza di un limite (giuridico) al diritto di libera manifestazione del pensiero, superato il quale si esce dal terreno del diritto per fare ingresso in quello dell’“abuso”. In tale occasione, la Corte affermò, tra l’altro, che “fra i beni costituzionalmente rilevanti, va annoverato il prestigio del Governo, dell’Ordine giudiziario e delle Forze Armate in vista dell’essenzialità dei compiti loro affidati. Ne deriva la necessità che di tali istituti sia garantito il generale rispetto anche perché non resti pregiudicato l’espletamento dei compiti predetti [6]”.

Come avete notato (vi ho appositamente postato i principali articoli in nota), ad eccezione del vilipendio al Presidente della Repubblica, le altre fattispecie sono ormai sostanzialmente punite con la sola pena pecuniaria … ma le cose cambiano sensibilmente se chi commette il reato è un militare: infatti, in tal caso si applica il codice penale militare di pace (CPMP) che prevede come pena la (sola) reclusione militare … ciò significa che, a differenza di quanto accade per in ambito “civile”, l’applicazione del diritto penale militare non lascia alcuno spazio per le pene pecuniarie e, conseguentemente, il vilipendio viene punito molto più severamente (vi ho messo in nota [7] i reati di vilipendio previsti dal CPMP!). Prima di concludere, mi preme evidenziarvi che:

  • i reati di vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze Armate (artt. 290 c.p. e 81 CPMP) e di vilipendio alla Nazione italiana (artt. 291 c.p. e 81 CPMP) richiedono ai fini della configurabilità che la condotta incriminata venga tenuta “pubblicamente” (e sappiate basta un post su facebook o instagram per mettersi seriamente nei guai!);
  • mentre l’articolo 290 del codice penale punisce il vilipendio alle Forze Armate in generale, l’articolo 81 CPMP estende la punibilità anche a “una parte di esse”, rendendo quindi penalmente rilevanti tutte quelle condotte offensive tenute dal militare nei confronti, ad esempio, di specifiche Armi (cavalleria, fanteria, artiglieria eccetera) o specialità (alpini, bersaglieri, paracadutisti eccetera) in cui può esser articolata una Forza Armata;

Tenete bene a mente, infine, che qualora il militare dia “sfogo” a esternazioni che non sono così gravi da essere penalmente rilevanti, cioè tali da non integrare veri e propri reati, ciò non significa che lo stesso non possa comunque essere sanzionato disciplinarmente, anche con la consegna di rigore (per approfondire leggi qui!)! Infatti:

  • l’articolo 713 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare” (cosiddetto TUOM) prevede, ad esempio, che il militare debba “astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possono comunque condizionare l’esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell’istituzione cui appartiene e pregiudicare l’estraneità delle Forze armate come tali alle competizioni politiche […]”;
  • l’articolo 714 TUOM, stabilisce che “i militari hanno il dovere di osservare le prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità nazionale e ha il comando delle Forze armate secondo l’articolo 87 della Costituzione
  • l’articolo 731 TUOM dispone che inoltre che il militare debba “in ogni circostanza tenere condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze armate. 2. Egli ha il dovere di improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza. 3. In particolare deve: a) astenersi dal compiere azioni e dal pronunciare imprecazioni, parole e discorsi non confacenti alla dignità e al decoro […]”.

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[1]: http://www.treccani.it/vocabolario/vilipendio/

[2]: art. 278 c.p. – Offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica:“Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.

[3]: art. 290 c.p. – Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze Armate:“Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze Armate dello Stato o quelle della liberazione”.

[4]: art. 291 c.p. – Vilipendio alla Nazione italiana:“Chiunque pubblicamente vilipende la nazione italiana è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000”.

[5]: art. 292 c.p. – Vilipendio o danneggiamento alla Bandiera o ad altro Emblema dello Stato:“Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. La pena è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a due anni. Agli effetti della legge penale per bandiera nazionale si intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali”.

[6]: Corte costituzionale, sentenza n. 20 del 1974 (Pres. BONIFACIO – Rel. REALE).

[7]: art. 79 CPMP – Offesa all’onore ed al prestigio del Presidente della Repubblica:“Il militare che offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica, o di chi ne fa le veci, è punito con la reclusione militare da cinque a quindici anni”;

art. 81 CPMP – Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate dello Stato:“Il militare, che pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario, è punito con la reclusione militare da due a sette anni. La stessa pena si applica al militare che pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato o una parte di esse, o quelle della liberazione”;

art. 82 CPMP – Vilipendio alla Nazione italiana:“Il militare, che pubblicamente vilipende la nazione italiana, è punito con la reclusione militare da due a cinque anni. Se il fatto è commesso in territorio estero, si applica la reclusione militare da due a sette anni”;

art. 83 CPMP – Vilipendio alla Bandiera nazionale o ad altro Emblema dello Stato:“II militare, che vilipende la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato, è punito con la reclusione militare da tre a sette anni. Se il fatto è commesso in territorio estero, la pena è della reclusione militare da tre a dodici anni. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche al militare, che vilipende i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera”.

LA RICHIESTA DI PROCEDIMENTO DEL COMANDANTE DI CORPO (ART. 260 CPMP)

L’articolo 260, 2 comma, del codice penale militare di pace (CPMP), prevede che “I reati [militari], per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, e quello preveduto dal n. 2 dell’articolo 171 sono puniti a richiesta del comandante del corpo o di altro ente superiore, da cui dipende il militare colpevole […]”. Vi starete ora domandando cosa significhi esattamente ciò che abbiamo appena letto … beh, l’articolo 260 CPMP ci dice sostanzialmente che per tutta una serie di reati militari lievi, quelli cioè puniti con pena “non superiore nel massimo a sei mesi”, il Comandante di corpo diventa sostanzialmente “arbitro” nel collocare (discrezionalmente) un fatto nell’area penale oppure in quella disciplinare … cioè, in altre parole, è lui che ha l’ultima parola nel decidere se un determinato fatto debba essere sanzionato (da lui stesso!) a livello disciplinare oppure dal giudice penale al termine di un processo vero e proprio.

La richiesta di procedimento funziona grossomodo così: il Comandante di corpo comunica al Procuratore militare che vuole procedere disciplinarmente oppure “richiede” che venga aperto un procedimento penale a carico del militare autore del fatto (tale “richiesta” svolge a grossomodo la stessa funzione della querela in ambito civile – per approfondire leggi qui!). Comandanti di corpo, mi rivolgo ora a voi, siate molto chiari con il Procuratore militare! L’articolo 260 CPMP è titolato “Richiesta di procedimento” … trattasi quindi di una semplice richiesta che fate al Procuratore militare … ecco perchè, senza troppi giri di parole, vi consiglio di scrivere una cosa tipo “ai sensi dell’articolo 260 CPMP richiedo (o non richiedo) il procedimento penale a carico di … per tutti i reati militari ravvisabili da codesta Procura Militare nel fatto e perseguibili a richiesta del Comandante di corpo … tutto qui, non dovete aggiungere altro! L’importante è essere chiari su quello che chiedete in modo da non lasciar alcun dubbio o poter essere in qualche modo fraintesi … e offrire facili “appigli” agli avvocati difensori che magari si stanno arrampicando sugli specchi! Semplice, vero? Ricordate che il termine per richiedere il procedimento è di un mese … che decorre dal giorno in cui avete avuto notizia del fatto che costituisce reato … superato il quale non è più possibile richiedere il procedimento e per il Procuratore militare si alza un muro invalicabile che si chiama “archiviazione” (per il cosiddetto difetto di una condizione di procedibilità [1]).

Mi sembra di avervi detto abbastanza … vi posto però alcuni doverosi chiarimenti prima di concludere:

  • nulla vieta che il Comandante di corpo richieda il procedimento penale ai sensi dell’articolo 260 CPMP contestualmente alla comunicazione della notizia di reato (per approfondire leggi qui!) anzi molto spesso viene fatto proprio così;
  • è bene procedere sempre e comunque alla comunicazione della notizia di reato, anche se non si ha alcuna intenzione di richiedere il procedimento penale. Tale comunicazione deve essere sempre effettuata perché il fatto, anche se lo si vorrebbe sanzionare solo disciplinarmente, integra comunque una fattispecie penale nella quale il Procuratore militare potrebbe intravedere ulteriori ipotesi di reato come, ad esempio, la violata consegna (articolo 120 CPMP) o altri reati che potrebbero far superare il limite dei 6 mesi e far quindi scattare il procedimento d’ufficio;
  • l’alternativa tra sanzione penale e sanzione disciplinare non è secca! Il Comandante di corpo che non richiede il procedimento penale non è poi obbligato a punire il militare autore del fatto: conserva infatti integro il proprio potere sanzionatorio [2] e, al termine del procedimento disciplinare, rimarrà conseguentemente libero di sanzionare oppure di non sanzionare affatto;
  • come mai esiste proprio nel diritto penale militare un istituto giuridico così particolare? La risposta è semplice: chi ha scritto il codice penale militare di pace, in considerazione della “specificità” del mondo militare e nell’ottica di preservare la preparazione, la forza e l’efficienza bellica (intesa in questo caso come disciplina e coesione interna dell’unità) ha ritenuto che una sanzione disciplinare potesse avere un maggiore effetto deterrente di una sentenza di condanna vera e propria (che magari arriva dopo anni) … ma tutto ciò solo per fatti lievi … da qui la ragione per cui la richiesta di procedimento sia riservata ai soli fatti puniti con pena “non superiore nel massimo a sei mesi”.

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[1]: infatti la richiesta di procedimento è tecnicamente una cosiddetta “condizione di procedibilità”, ovverosia un vero e proprio ostacolo all’esercizio della giurisdizione penale, grossomodo come avviene in ambito civile con la querela (per approfondire leggi qui!).

[2]: per dovere di completezza, vi ricordo che ai sensi dell’articolo 751 del Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (TUOM – leggi qui!) sono sanzionabili con la consegna di rigore anche “i comportamenti indicati dall’articolo 1362, comma 7, del codice” dell’ordinamento militare, ovvero i “fatti previsti come reato, per i quali il comandante di corpo non ritenga di richiedere il procedimento penale, ai sensi dell’articolo 260 c.p.m.p.”.

LA PARTENZA ACCIDENTALE DI UN COLPO: POSSIBILI PROFILI DI RESPONSABILITÀ PENALE MILITARE

Vi è accidentalmente partito un colpo mentre controllavate la vostra arma, al termine del servizio, al posto di caricamento/scaricamento? Vi dico subito che al verificarsi di tale evento il vostro Comandante di corpo (in qualità di Ufficiale di Polizia Giudiziaria Militare) ha l’obbligo (e il dovere) di interessare il Procuratore militare anche se poi, il più delle volte, il tutto si conclude esclusivamente dal punto di vista disciplinare … cerchiamo però di mettere un po’ di ordine sull’argomento che presenta qualche aspetto decisamente problematico.

Ebbene, iniziamo col dire che la partenza di un colpo di arma da fuoco è assimilabile alla “distruzione di munizionamento” che è un reato militare! L’articolo 169 del codice penale militare di pace (CPMP), infatti, prevede che “il militare, che […] distrugge, disperde, deteriora, o rende inservibili, in tutto o in parte, oggetti, armi, munizioni o qualunque altra cosa mobile appartenente all’amministrazione militare, è punito con la reclusione militare da sei mesi a quattro anni”. Naturalmente, l’articolo 169 CPMP presuppone la volontarietà del fatto, ovverosia che tale colpo venga sparato intenzionalmente e, cioè, con “dolo”! Pensate, ad esempio, al caso di scuola del soldato di guardia la notte di capodanno che decide di salutare il nuovo anno “sparacchiando” in aria qualche colpo con la propria arma in dotazione … avendo distrutto intenzionalmente delle munizioni è soggetto all’applicazione dell’articolo 169 CPMP, con il serio rischio di esser quindi “punito con la reclusione militare da sei mesi a quattro anni”.

Ma attenzione!!! Quando tale evento avviene senza quell’intenzionalità tipica del dolo ma per mera colpa (cioè, ai sensi dell’articolo 43 del codice penale, per “negligenza, o imprudenza, o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”) trovano infatti applicazione anche:

Ricapitolando, quando il fatto previsto dall’articolo 169 CPMG viene effettuato per colpa … detto altrimenti quando il colpo ci parte accidentalmente e cioè senza alcuna intenzione o volontarietà … si applica quindi anche l’articolo 170 CPMP che prevede una sostanziosa riduzione della pena che, nel massimo, non potrà superare i sei mesi. Ebbene, se abbiamo letto con attenzione l’approfondimento che ho fatto sulla richiesta di procedimento del Comandante di corpo (leggi qui!), capiremo subito che tale limite di sei mesi rende applicabile al caso anche l’articolo 260 CPMP che prevede che il fatto venga alternativamente sanzionato:

  • o in sede penale, ma solo previa specifica richiesta alla Procura militare da parte del Comandante di corpo stesso;
  • o solo disciplinarmente, sempre che il Comandante di corpo decida di avvalersi delle prerogative che gli riconosce l’art. 260 CPMP.

So benissimo che il meccanismo giuridico che vi ho appena descritto è molto complicato, ma così funzionano le cose e ritengo quindi necessario che siate pienamente coscienti dei rischi penali o disciplinari che correte quando svolgete servizi armati! Prevenire è sempre meglio che curare …

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L’ASSUNZIONE DELLA QUALITÀ DI IMPUTATO

Quando si assume esattamente la qualità di imputato in un procedimento penale? E fino a quando di conserva? La domanda non è banale perché potrebbe avere dei risvolti pratici non trascurabili, ad esempio ai fini del mantenimento del nulla osta di sicurezza, della partecipazione ad un concorso eccetera …

Per quanto di interesse sappiate che, ai sensi dell’articolo 60 del codice di procedura penale, “1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a norma dell’articolo 447 comma 1, nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo. 2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta a impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna. 3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e qualora sia disposta la revisione del processo”.

Certo, so benissimo che si parla di “richiesta” di rinvio a giudizio e non di rinvio a giudizio vero e proprio … ciò nonostante, la qualifica di “imputato”, anche se solo formale, comporta comunque molteplici conseguenze che è meglio non sottovalutare.

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LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE PREVISTE DAL CODICE PENALE MILITARE DI PACE

In analogia a quanto abbiamo visto per il codice penale “ordinario” (per approfondire clicca qui), anche il codice penale militare di pace tratta delle cause di giustificazione dell’“uso legittimo delle armi [1]” e della “difesa legittima [2]” fornendoci, però, alcune informazioni ulteriori che ritengo utile riportarvi. Infatti:

  • esplicita la nozione di violenza comprendendovi “l’omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti, e qualsiasi tentativo di offendere con armi” (articolo 43 c.p.m.p.);
  • introduce il concetto di necessità militare (per approfondire il principio di necessità militare nelle operazioni militari  leggi qui) stabilendo che “non è punibile il militare, che ha commesso un fatto costituente reato, per esservi stato costretto dalla necessità di impedire l’ammutinamento, la rivolta, il saccheggio, la devastazione, o comunque fatti tali da compromettere la sicurezza del posto, della nave o dell’aeromobile” (articolo 44 c.p.m.p.).

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[1]: Articolo 41 del codice penale militare di pace – Uso legittimo delle armi: “Non è punibile il militare, che, a fine di adempiere un suo dovere di servizio, fa uso, ovvero ordina di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza. La legge determina gli altri casi, nei quali il militare è autorizzato a usare le armi o altro mezzo di coazione fisica”.

[2]: Articolo 42 del codice penale militare di pace – Difesa legittima:“ Per i reati militari, in luogo dell’articolo 52 del codice penale, si applicano le disposizioni dei commi seguenti. Non è punibile chi ha commesso un fatto costituente reato militare, per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Non è punibile il militare, che ha commesso alcuno dei fatti preveduti dai capi terzo e quarto del titolo terzo, libro secondo, per esservi stato costretto dalla necessità: 1° di difendere i propri beni contro gli autori di rapina, estorsione, o sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, ovvero dal saccheggio; 2° di respingere gli autori di scalata, rottura o incendio alla casa o ad altro edificio di abitazione o alle loro appartenenze, se ciò avviene di notte; ovvero se la casa o l’edificio di abitazione, o le loro appartenenze, sono in luogo isolato, e vi è fondato timore per la sicurezza personale di chi vi si trovi. Se il fatto è commesso nell’atto di respingere gli autori di scalata, rottura o incendio alla casa o ad altro edificio di abitazione, o alle loro appartenenze, e non ricorrono le condizioni prevedute dal numero 2° del comma precedente, alla pena di morte con degradazione è sostituita la reclusione non inferiore a dieci anni; alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da sei a venti anni; e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà”.

CODICE PENALE MILITARE DI PACE (CPMP) O CODICE PENALE MILITARE DI GUERRA (CPMG)?

Alle missioni internazionali oggi si applica il codice penale militare di pace (CPMP) o il codice penale militare di guerra (CPMG)? La risposta è semplice: oggi alle missioni internazionali si applica il codice penale militare di pace. Dato che, però, la questione era tutt’altro che banale proverò, a grosse linee, ad offrirvi degli spunti di riflessione sul tema.

Iniziamo con un’ovvietà cioè con l’evidenziare che il codice penale militare di guerra non sia stato molto utilizzato negli anni passati. Infatti, dalla fine della seconda guerra mondiale, è stato sostanzialmente dimenticato … a mente ricordo solo due episodi in cui il CPMG è stato “riesumato”, ovvero in occasione della missione “Enduring Freedom” in Afghanistan (decreto legge n. 421 del 2001) e della missione “Antica Babilonia” in Iraq (decreto legge n. 165 del 2003). Eppure l’art. 9 del codice penale militare di guerra prevede, tra l’altro, che: “sono soggetti alla legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace, i corpi di spedizione all’estero per operazioni militari armate, dal momento in cui si inizia il passaggio dei confini dello Stato o dal momento dell’imbarco in nave o aeromobile ovvero, per gli equipaggi di questi, dal momento in cui è ad essi comunicata la destinazione alla spedizione”. Come mai allora il CPMG non è stato sostanzialmente mai applicato alle missioni internazionali? Eppure è fuori discussione il fatto che garantisca meglio del CPMP il rispetto del diritto internazionale umanitario!

Ebbene, il codice penale militare di guerra non si applica alle missioni internazionali per una chiara scelta politica e di opportunità e, in tale ottica, il legislatore ha più volte ritenuto necessario derogare dall’applicazione del citato art. 9 del CPMG. Da ultimo, l’art. 19 della legge n. 145 del 2016 che ha previsto, tra l’altro, che “al personale che partecipa alle missioni internazionali, nonché al personale inviato in supporto alle medesime missioni si applica il codice penale militare di pace. La competenza è del tribunale militare di Roma”.

Tanto premesso, vi inizio ad una delle questioni giuridico-militari maggiormente dibattute e controverse degli ultimi anni: ritenete che sia ancor oggi utile mantenere in vita ben 2 codici penali militari, ovvero il CPMP e il CPMG? … inoltre, pensate sia ancora attuale la differenza tra CPMP e CPMG? Nessuno stress per cortesia, non c’è al momento ancora alcuna risposta esatta … vedremo come affronterà il problema il Parlamento, sempre che questo venga affrontato!

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