SIAMO SICURI CHE PER UN MILITARE LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO CON MESSA ALLA PROVA (EX ART. 168 BIS C.P.) SIA SEMPRE UNA SCELTA VINCENTE?

La richiesta di sospensione del procedimento penale con messa alla prova è la scelta giusta da fare per un militare? Beh, dipende … ecco perché tale richiesta deve essere sempre avanzata in modo cosciente ed informato dato che, in alcuni casi, potrebbe addirittura risultare più appropriato difendersi in giudizio puntando all’assoluzione!

Facciamo però un veloce passo indietro e iniziamo a vedere in cosa consista la messa alla prova. Ebbene, in estrema sintesi, l’articolo 168 bis [1] del codice penale prevede al riguardo che “nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo [2] con messa alla prova […]”. Per chi si avvale del beneficio della messa alla prova, questa:

  • comporta “la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato” (articolo 168 bis del codice penale);
  • viene subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità che “consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato” (articolo 168 bis del codice penale);
  • non può essere concessa più di una volta ed è preclusa a delinquenti abituali, professionali e per tendenza (articolo 168 bis del codice penale);
  • qualora si concluda con esito positivo, “estingue il reato per cui si procede” senza però pregiudicare l’eventuale “applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge[3] (articolo 168 ter del codice penale). Ovviamente se la prova da esito negativo, il reato non si estingue affatto ed il procedimento riprende esattamente dal punto in cui era stato sospeso.

Fatta questa doverosa premessa, immaginate di aver superato positivamente la prova, di poter vedere finalmente estinto il reato commesso e, conseguentemente, di esser tornati al lavoro. Fantastico, tutto sommato è stato semplice! Ma non avete dimenticato nulla? Mi spiego meglio: avete considerato i risvolti disciplinari della questione? Avete insomma capito che non è ancora finita? Ebbene sì, anche se il reato è estinto ciò non incide minimamente sui possibili profili disciplinari della vicenda (per approfondire leggi qui!): il vostro Comando dovrà infatti procedere d’ufficio all’esame del giudicato penale (che è un obbligo e non una facoltà – per approfondire leggi qui!). Non è infatti scritto da nessuna parte che i fatti oggetto dell’accertamento penale debbano necessariamente coincidere con quelli oggetto dell’azione disciplinare. L’ho evidenziato in neretto perché troppo spesso tale aspetto viene inspiegabilmente tralasciato … eppure l’esame del giudicato penale è una certezza anche in caso di esito positivo della messa alla prova che, dunque, va richiesta tenendo bene in considerazione il rischio (tutt’altro che trascurabile) che il tutto possa concludersi con l’irrogazione nei vostri confronti di una sanzione disciplinare di stato (per approfondire leggi qui!). Vi consiglio quindi di non avere remore nell’approfondire la questione con il vostro Avvocato di fiducia, sia dal punto di vista penale che (soprattutto) da quello disciplinare … sono convinto che ne beneficerà tutta la vostra strategia difensiva.

Tanto detto non mi resta che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 168 bis del codice penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato:“nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.

La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.

La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.

La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108”.

[2]: art. 464 quater del codice di procedura penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato: “[…] 5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo:

a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;

b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria […]”.

[3]: ciò significa che se, ad esempio, un soggetto viene perseguito per il reato di guida in stato di ebbrezza, anche se la prova si conclude con esito positivo con conseguente estinzione del reato, permangono comunque le sanzioni amministrative della sospensione o revoca della patente.

IL GRATUITO PATROCINIO

Il gratuito patrocinio (o patrocinio a spese dello Stato) è il diritto all’assistenza legale gratuita prevista a favore dei non abbienti [1]. Ai sensi dell’articolo 76 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 “può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22 [2]”, cifra soggetta a periodici aggiornamenti e che è stata portata oggi a euro 11.746,68 [3][4]. Ovviamente, se avanzate richiesta di gratuito patrocinio poi non potrere dare l’incarico a qualunque Avvocato: sarete difatti obbligati a sceglierlo da un apposito elenco degli Avvocati iscritti al patrocinio a spese dello Stato [5].

In ambito penale, per favorire le denunce, il comma 4 ter dell’articolo 76 del citato D.P.R. n. 115 del 2002 ha previsto che la persona offesa da alcuni specifici reati particolarmente odiosi come, ad esempio, i maltrattamenti contro familiari (articolo 572 del codice penale), le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (articolo 583 bis del codice penale), la violenza sessuale (articoli 609 bis, quater e octies) o gli atti persecutori (il cosiddetto stalking – articolo 612 bis del codice penale) possa essere ammessa al gratuito patrocinio in deroga ai previsti limiti redditi.

Abbiamo parlato finora di patrocinio a spese dello Stato, ma avete idea a quanto ammontano grossomodo queste spese? Beh, possiamo dire che tali spese corrispondono a grandissime linee a quelle che dovreste sostenere da soli nel caso in cui decideste di far causa e comprendono quindi quantomeno:

  • l’onorario del vostro Avvocato e, se perdete la causa, anche di quello della controparte. Ciò nonostante, tenete a mente che anche se avete vinto la causa il Giudice potrebbe comunque “compensare” le spese (in tal caso ognuno si pagherebbe quindi il proprio Avvocato);
  • costi vari quali quello per il contributo unificato (cioè la tassa prevista per poter iniziare una causa), il compenso per un eventuale consulente tecnico d’ufficio (cosiddetto CTU), eccetera. Peraltro, se i gradi di giudizio sono più di uno (come, ad esempio, Tribunale, Corte di Appello e Corte di Cassazione), tali costi lievitano e le spese potrebbero quindi anche moltiplicarsi.

Vi ho dato le nozioni fondamentali, credo sia meglio fermarmi qui … non mi resta quindi che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 74 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Istituzione del patrocinio:“1. È assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria. 2. È, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate”.

[2]: art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Condizioni per l’ammissione:“1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22. 2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante. 3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva. 4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi. 4-bis. Per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, e per i reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti. 4-ter. La persona offesa dai reati di cui agli articoli 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto. 4-quater. Il minore straniero non accompagnato coinvolto a qualsiasi titolo in un procedimento giurisdizionale ha diritto di essere informato dell’opportunità di nominare un legale di fiducia, anche attraverso il tutore nominato o l’esercente la responsabilità genitoriale ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, e di avvalersi, in base alla normativa vigente, del gratuito patrocinio a spese dello Stato in ogni stato e grado del procedimento. Per l’attuazione delle disposizioni contenute nel presente comma è autorizzata la spesa di 771.470 euro annui a decorrere dall’anno 2017”.

[3]: art. 1 del Decreto del Ministero della Giustizia 23 luglio 2020 (in Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30.01.2021).

[4]: art. 92 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Elevazione dei limiti di reddito per l’ammissione:“1. Se l’interessato all’ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 2, ma i limiti di reddito indicati dall’articolo 76, comma 1, sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi”.

[5]: art. 80 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Nomina del difensore:“1. Chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i consigli dell’ordine del distretto di corte di appello nel quale ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo. 2. Se procede la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, le sezioni riunite o le sezioni giurisdizionali centrali presso la Corte dei conti, gli elenchi sono quelli istituiti presso i consigli dell’ordine del distretto di corte di appello del luogo dove ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. 3. Colui che è ammesso al patrocinio può nominare un difensore iscritto negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato scelto anche al di fuori del distretto di cui ai commi 1 e 2”.

I REATI MILITARI DI INSUBORDINAZIONE E DI VIOLENZA, INGIURIA E MINACCIA A INFERIORE

Il diritto penale militare dedica ai reati contro il rapporto gerarchico una posizione di primissimo piano in ragione del fatto che la disciplina è uno degli aspetti fondamentali di ogni organizzazione militare che possa definirsi tale. Tanto premesso, sappiate che:

  • gli articoli 186 [1] e 195 [2] del codice penale militare di pace (CPMP) trattano rispettivamente dei reati militari di “insubordinazione con violenza” e di “violenza contro un inferiore” (vi ho integralmente postato il testo di tali articoli in nota);
  • gli articoli 189 [3] e 196 [4] del CPMP trattano invece dei reati di “insubordinazione con minaccia o ingiuria” e di “minaccia o ingiuria a inferiore” (troverete anche per questi reati il testo integralmente postato in nota!).

Come avete intuito, esiste un evidente parallelismo tra i reati militari che l’inferiore può compiere a danno del superiore (i reati di insubordinazione, appunto!) ed i reati che il superiore può compiere a danno dell’inferiore di grado (quelli che, per intendersi, si realizzano invece con abuso di autorità), al punto che le condotte punibili e le sanzioni applicabili sono sostanzialmente [5] speculari!

I reati contro il rapporto gerarchico non presentano particolari “criticità” dal punto di vista interpretativo e quindi, essendo inutile appesantire troppo il discorso, credo sia opportuno fermarmi qui. Ovviamente, qualora siate interessati a capire cosa di intenda nel codice penale militare di pace per:

Prima di lasciarci, ritengo però opportuno evidenziarvi che:

  • l’articolo 190 del CPMP prevede alcune aggravanti al reato di “insubordinazione con minaccia e ingiuria”. Tale articolo prevede infatti che “le pene stabilite dall’articolo precedente [cioè il 189 del CPMP sull’“insubordinazione con minaccia o ingiuria”] sono aumentate: 1) se la minaccia è usata per costringere il superiore a compiere un atto contrario ai propri doveri, ovvero a compiere o ad omettere un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero per influire comunque sul superiore; 2) se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto; 3) se la minaccia è grave o ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell’articolo 339 [6] del codice penale. Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre anni a quindici anni”;
  • l’articolo 198 del CPMP prevede l’attenuante della “provocazione”. Difatti, “se alcuno dei reati preveduti dai capi terzo e quarto [che trattano appunto dell’“insubordinazione” e della “violenza, minaccia o ingiuria a un inferiore”] è commesso nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto del superiore o dell’inferiore, e subito dopo di esso o subito dopo che il colpevole ne ha avuta notizia, alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione non inferiore a quindici anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà”;
  • l’articolo 199 del CPMP, prevede infine l’“inapplicabilità” dei reati contro il rapporto gerarchico nel caso in cui le condotte siano state tenute per cause estranee al servizio o alla disciplina militare:“le disposizioni dei capi terzo e quarto [che trattano appunto dell’“insubordinazione” e della “violenza, minaccia o ingiuria a un inferiore”] non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare”. Ovviamente, in tal caso quel che è successo tra superiore e inferiore di grado verrà “derubricato” a semplici percosse o lesioni (per approfondire leggi qui!) ovvero a mera minaccia (per approfondire leggi qui!) o ingiuria (per approfondire leggi qui!).

Penso di aver detto tutto ciò che volevo, non mi resta quindi che salutarvi … ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 186 del CPMP – Insubordinazione con violenza:“Il militare che usa violenza contro un superiore è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale ovvero in una lesione personale grave, o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

[2]: art. 195 del CPMP – Violenza contro un inferiore:“Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

[3]: art. 189 del CPMP – Insubordinazione con minaccia o ingiuria:“Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. Il militare, che offende il prestigio, l’onore, o la dignità di un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni. Le stesse pene si applicano al militare, che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti al superiore”.

[4]: art. 196 del CPMP – Minaccia o ingiuria a un inferiore:“Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. Il militare, che offende il prestigio, l’onore o la dignità di un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni. Le stesse pene si applicano al militare che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti all’inferiore. La pena è aumentata se la minaccia è grave o se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell’articolo 339 del codice penale. Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre a quindici anni”.

[5]: una evidente differenza si riscontra solo nel quarto comma dell’art. 196 del CPMP sulla “minaccia o ingiuria a inferiore” che non trova riscontro nel corrispondente art. 189 sull’“insubordinazione con minaccia o ingiuria” ma nel successivo art. 190 del CPMP.

[6]: art. 339 del c.p.:“Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone”.

L’INGIURIA E LA DIFFAMAZIONE MILITARE AI TEMPI DI FACEBOOK E WHATSAPP

Come ben tutti sappiamo, negli ultimi anni i social network e le applicazioni di messaggistica istantanea hanno avuto una diffusione enorme, al punto che praticamente ognuno di noi ne possiede uno o più account. Conseguentemente, la portata lesiva di un post su facebook, di un messaggio su whatsapp o di un video su tik tok è oggi di molto amplificata rispetto a quanto non fosse nel passato! Ecco, quindi, che i contenuti pubblicati on line possano facilmente sfociare nell’“abuso” del diritto di libera manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione – per approfondire leggi qui!), esponendo l’autore a responsabilità disciplinare [1] se non, addirittura, ad un vero e proprio processo penale per ingiuria, diffamazione (per approfondire leggi qui!) o vilipendio (per approfondire leggi qui!).

Tanto premesso, la domanda che mi viene spesso fatta è la seguente: come è possibile che adesso debba trovarmi un Avvocato e andare a processo? Ho fatto tutto on line! Non pensavo che …

Ebbene, iniziamo subito col dire che i reati militari di ingiuria e diffamazione si consumano nel mondo virtuale esattamente come nel mondo reale! Non c’è proprio alcuna differenza … anzi, a dire il vero, per il solo fatto di aver diffamato un collega su un social network o all’interno di una chat potreste andare incontro ad una responsabilità penale “aggravata”: difatti, per quanto attiene specificamente al reato militare di diffamazione, “se l’offesa […] è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, [… come viene oggi pacificamente considerato l’utilizzo dello strumento telematico …] la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni” che, come vedete, è ben più della “reclusione militare fino ai sei mesi” prevista per l’ipotesi base di cui al primo comma dell’articolo 227 [2] del codice penale militare di pace (CPMP) [3]!

A questo punto che dire … usate il buon senso e, soprattutto quando siete on line, non permettetevi leggerezze che potrebbero costarvi molto caro! Lo ripeto per esser ancora più chiaro: USATE IL BUON SENSO ANCHE QUANDO SIETE ON LINE E NON PERMETTETEVI LEGGEREZZE CHE POTREBBERO COSTARVI MOLTO CARO!

Senza appesantire troppo il discorso (potete infatti trovare on line una miriade di articoli sull’argomento estremamente dettagliati che, sono sicuro, possono togliervi ogni possibile dubbio [4]), cercherò ora di darvi qualche semplicissima indicazione finale per meglio orientarvi su internet. Dato che l’ingiuria on line è di facile comprensione … basta difatti che il messaggio offensivo venga direttamente indirizzato alla vittima con qualsiasi mezzo tecnologico, sia esso una e-mail, una PEC, un messaggio privato, uno “stato” eccetera … mi concentrerò solo su alcune peculiarità del reato di diffamazione per come sono state prese in considerazione dai Giudici: è stata infatti la giurisprudenza … sentenza dopo sentenza … a tracciarne i confini nella rete. Ebbene, considerate che il reato di diffamazione on line può realizzarsi anche:

  • con la mera pubblicazione di foto, video, illustrazioni o fotomontaggi;
  • con l’invio di una e-mail o di una PEC (per approfondire leggi qui!) a più destinatari, anche in copia nascosta, ovvero ad una sola casella di posta elettronica che sia però condivisa da più soggetti … ricordiamo che perché possa parlarsi di diffamazione è sempre necessaria la presenza di “più persone” (cioè almeno due – per approfondire leggi qui!);
  • quando il messaggio diffamatorio sia stato postato in un gruppo “chiuso” di facebook o in una chat di whatsapp. In tal senso, ad esempio, i Giudici amministrativi nel rigettare la domanda di annullamento di un provvedimento disciplinare hanno difatti rilevato che “i social network in particolare Facebook non possono essere considerati come siti privati, in quanto non solo accessibili ai soggetti non noti cui il titolare del sito consente l’accesso, ma altresì suscettibili di divulgazione dei contenuti anche in altri siti. In sostanza, la collocazione di una fotografia o di un testo su Facebook implica una sua possibile diffusione a un numero imprecisato e non prevedibile di soggetti e quindi va considerato, sia pure con alcuni limiti, come un sito pubblico” (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 562 del 2016);
  • a carico del titolare di un blog [5] che non elimina i contenuti diffamatori pubblicati da altri e di cui è venuto a conoscenza;
  • attraverso l’apposizione di un mero emoticon (cioè una di quelle “faccine” che esprimono un sentimento e che spopolano on line!) o di un semplice “mi piace” al messaggio diffamatorio pubblicato da altri … beh … a dire il vero tale ultimo punto è abbastanza controverso ma sappiate che non mancano casi in cui è stato contestato il concorso nel reato di diffamazione a chi ha apposto un emoticon o un like ad un messaggio dal contenuto diffamatorio o denigratorio.

Un’ultima cosa prima di concludere: che strumenti ha la vittima di ingiuria o diffamazione militare on line per difendersi? Beh, non essendo prevista dal codice penale militare di pace la possibilità per il militare di presentare querela (per approfondire leggi qui!), il militare vittima di diffamazione on line che ritiene di esser stato ingiuriato o diffamato da altro militare (non dimentichiamo infatti che nei reati militari di ingiuria e diffamazione militare sia chi offende che chi viene offeso deve essere un militare [6] – per approfondire leggi qui!) non resta che relazionare l’evento ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza o – meglio – al proprio Comandante di corpo affinché, in qualità di Ufficiale di polizia giudiziaria militare, effettui gli adempimenti di competenza (per approfondire leggi qui!) in modo che venga perseguito l’autore del reato militare … anche al fine di veder riconosciute le proprie eventuali pretese risarcitorie! Ovviamente, perché possa essere accordato un risarcimento alla vittima è necessario:

  • costituirsi parte civile nel processo penale militare per il tramite di un Avvocato di fiducia (che costa e che è a carico della vittima);
  • dimostrare di aver subito un danno dal messaggio diffamatorio;
  • attendere la condanna del colpevole che ovviamente avviene solo al termine del processo penale militare (che ha una durata non trascurabile!).

Non bisogna poi dimenticare che:

  • il procedimento non di rado viene purtroppo archiviato stante l’impossibilità di risalire al nominativo dell’autore del reato … accade infatti frequentemente che non si riesca a risalire all’IP (Internet Protocol) da cui è partito il messaggio diffamatorio;
  • il Giudice penale militare non si pronuncia sempre sul risarcimento nella sentenza di condanna, rendendo conseguentemente necessario andare anche dal Giudice civile per avere il dovuto risarcimento (cioè partendo con una autonoma causa civile, sempre a spese della vittima e che dilata ulteriormente i tempi!)

Che dire, le cose funzionano a grandi linee così … non mi resta dunque che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: sia di corpo che, eventualmente, di stato (per approfondire leggi qui!). In questi casi la responsabilità disciplinare scaturisce di solito dalla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare(cosiddetto TUOM), con particolare riguardo agli articoli:

712 TUOM – Doveri attinenti al giuramento:“1. Con il giuramento di cui all’articolo 621, comma 6, del codice il militare di ogni grado s’impegna solennemente a operare per l’assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate con assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane, con disciplina e onore, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione, senza risparmio di energie fisiche, morali e intellettuali affrontando, se necessario, anche il rischio di sacrificare la vita. 2. L’assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane è il fondamento dei doveri del militare”;

713 TUOM – Doveri attinenti al grado:“1. Il grado corrisponde alla posizione che il militare occupa nella scala gerarchica. 2. Egli deve astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possono comunque condizionare l’esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell’istituzione cui appartiene e pregiudicare l’estraneità delle Forze armate come tali alle competizioni politiche, fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 1483 del codice. 3. Il militare investito di un grado deve essere di esempio nel compimento dei doveri, poiché l’esempio agevola l’azione e suscita lo spirito di emulazione”;

717 TUOM – Senso di responsabilità:“1. Il senso di responsabilità consiste nella convinzione della necessità di adempiere integralmente ai doveri che derivano dalla condizione di militare per la realizzazione dei fini istituzionali delle Forze armate”;

719 TUOM – Spirito di corpo:“1. Lo spirito di corpo è il sentimento di solidarietà che, fondato sulle tradizioni etiche e storiche del corpo, deve unire i membri di una stessa unità al fine di mantenere elevato e accrescere il prestigio del corpo cui appartengono. 2. Particolare impegno deve essere posto nell’illustrare la storia e le tradizioni del corpo ai militari che ne entrano a far parte. 3. Lo spirito di corpo, pur essendo fonte di emulazione tra le unità, non deve però intaccare lo spirito di solidarietà tra tutti i componenti delle Forze armate”;

720 TUOM – Uniforme:“[…] 5. L’uso dell’uniforme è vietato al militare: a) quando è sospeso dall’impiego, dal servizio o dalle funzioni del grado; b) nello svolgimento delle attività private e pubbliche consentite”;

721 TUOM – Dignità e decoro del militare:“1. L’aspetto esteriore del militare deve essere decoroso, come richiede la dignità della sua condizione e deve comunque essere tale da consentire il corretto uso dei capi di equipaggiamento previsti”;

722 TUOM – Doveri attinenti alla tutela del segreto e al riserbo sulle questioni militari:“1. Il militare, oltre a osservare scrupolosamente le norme in materia di tutela del segreto, deve:

a) acquisire e mantenere l’abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, escludendo dalle conversazioni private, anche se hanno luogo con familiari, qualsiasi riferimento ai suddetti argomenti o notizie;

b) evitare la divulgazione di notizie attinenti al servizio che, anche se insignificanti, possono costituire materiale informativo;

c) riferire sollecitamente ai superiori ogni informazione di cui è venuto a conoscenza e che può interessare la sicurezza dello Stato e delle istituzioni repubblicane, o la salvaguardia delle armi, dei mezzi, dei materiali e delle installazioni militari”;

732 TUOM – Contegno del militare:“1. Il militare deve in ogni circostanza tenere condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze armate. 2. Egli ha il dovere di improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza. In particolare deve: a) astenersi dal compiere azioni e dal pronunciare imprecazioni, parole e discorsi non confacenti alla dignità e al decoro; b) prestare soccorso a chiunque versi in pericolo o abbisogni di aiuto; c) consegnare prontamente al superiore o alle autorità competenti denaro o cosa che ha trovato o che gli sono pervenuti per errore; d) astenersi dagli eccessi nell’uso di bevande alcoliche ed evitare l’uso di sostanze che possono alterare l’equilibrio psichico; e) rispettare le religioni, i ministri del culto, le cose e i simboli sacri e astenersi, nei luoghi dedicati al culto, da azioni che possono costituire offesa al senso religioso dei partecipanti […]”;

733 TUOM – Norme di tratto:“1. La correttezza nel tratto costituisce preciso dovere del militare. 2. Nei rapporti, orali o scritti, di servizio tra militari di grado diverso deve essere usata la terza persona […]”;

746 TUOM – Uso dell’abito civile: “[…] 3. Il militare in abito civile non deve indossare alcun distintivo o indumento caratteristico dell’uniforme”.

[2]: art. 227 CPMP – Diffamazione:il militare, che, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni. Se l’offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate”.

[3]: ovviamente, il solo fatto che la pena vada dai sei mesi ai tre anni di reclusione militare preclude al Comandante di corpo di poter eventualmente richiedere (o meno) il procedimento ai sensi dell’art. 260 CPMP (per approfondire leggi qui!). Ciò significa, in poche parole, che al 100% dovrete affrontare un procedimento penale!

[4]: peraltro gli Stati Maggiori/Comandi Generali hanno pubblicato negli ultimi anni numerose direttive sull’argomento. In tale contesto, degna di menzione è a mio parere la pubblicazione “Linee guida per l’uso consapevole dei social network e trattazione sul web di materie istituzionali” (SMD – UGAG – 003/2019) dello Stato Maggiore della Difesa che è facile da reperire in rete ed offre un buon inquadramento generale della materia.

[5]: fermo restando che il titolare di un blog non è equiparato al Direttore di un giornale!

[6]: ovviamente, se l’autore del reato di ingiuria o diffamazione non è un militare, il militare-vittima potrà presentare una comune denuncia-querela (come un qualsiasi altro cittadino – per approfondire leggi qui!) all’Autorità giudiziaria ordinaria (ovvero alla Polizia giudiziaria) affinché si proceda ai sensi degli articoli 594 e 595 del codice penale “comune”.

I REATI MILITARI DI INGIURIA E DIFFAMAZIONE (ARTT. 226 E 227 CPMP)

Ho notato dalle vostre e-mail che i termini ingiuria e diffamazione vengano troppo spesso scambiati … utilizzati cioè l’uno al posto dell’altro [1]. Credo quindi necessario un piccolo … quanto doveroso … ripassino sull’argomento. Iniziamo subito col dire che i reati militari di ingiuria e diffamazione sono sostanzialmente speculari ai corrispondenti reati previsti agli articoli 594 [2] e 595 [3] dal codice penale comune. Ovviamente, affinché ci sia ingiuria o diffamazione militare (e si applichi cioè il codice penale militare di pace) è necessario che sia il soggetto attivo del reato (chi offende per intenderci) che quello passivo del reato (cioè chi viene offeso) siano militari [4]. Il codice penale militare di pace (CPMP) disciplina tali reati come segue:

  • ingiuria militare:“il militare, che offende l’onore o il decoro di altro militare presente, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a quattro mesi. Alla stessa pena soggiace il militare, che commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione militare fino a sei mesi, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato” (articolo 226 del CPMP);
  • diffamazione militare:“il militare, che, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni. Se l’offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate(articolo 227 del CPMP).

Tanto premesso, senza addentrarci nel significato da dare alle parole “onore”, “decoro” e “reputazione” che mi appaiono abbastanza chiare e intuitive da comprendere [5], balza subito agli occhi la fondamentale differenza che esiste tra ingiuria e diffamazione, ovverosia:

  • la presenza della vittima nell’ingiuria;
  • l’assenza della vittima nella diffamazione ma … badate bene … con la contestuale previsione che l’offesa venga fatta alla presenza di più persone (cioè almeno due!).

Senza appesantire troppo il discorso (potete infatti trovare on line una miriade di articoli sull’argomento estremamente dettagliati e che, sono sicuro, possono togliervi ogni possibile dubbio!), cercherò ora di dare una risposta alle domande più frequenti che mi vengono rivolte sull’argomento. Ebbene:

  • considerato che l’oggetto di entrambi i reati è sostanzialmente un’offesa, perché ingiuria e diffamazione vengono punite in modo differente? Beh … a pensarci bene … non potrete che concordare con me sul fatto che l’assenza della vittima nella diffamazione renda tale reato più “insidioso” perché elimina alla radice ogni possibilità che la vittima possa ribattere e difendersi cioè da sola … ecco quindi che la diffamazione “aggredisce” la reputazione della vittima in modo maggiormente invasivo rispetto alla semplice ingiuria e da qui ne deriva il più severo regime sanzionatorio;
  • non rileva la verità del fatto … tali reati cioè si realizzano anche se si attribuisce alla vittima un fatto vero. Anzi, a dirla tutta, attribuire alla vittima un “fatto determinato” [6] inasprisce addirittura il regime sanzionatorio! Mi spiego meglio, se un nostro collega è stato condannato per furto con una sentenza passata in giudicato (per approfondire leggi qui!) e tutti sanno di tale condanna, ciò non ci autorizza comunque a dargli del ladro e anzi, se lo facciamo, rispondiamo ovviamente di ciò che abbiamo detto, perché la verità dell’affermazione non esclude il reato!
  • il codice penale militare di pace prevede dei “temperamenti”. L’articolo 228 del CPMP stabilisce infatti che “nei casi preveduti dall’articolo 226 [cioè in caso di ingiuria], se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 226 e 227 [cioè in caso di ingiuria e diffamazione] nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”;
  • è effettivamente vero che, nonostante la “depenalizzazione” del reato ordinario di ingiuria (articolo 594 [7] del codice penale che è stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016), la Corte costituzionale abbia comunque mantenuto in vita il reato militare di ingiuria [8] [9] valorizzando quella “specialità” che è l’elemento caratterizzante di tutto l’ordinamento giuridico militare (per approfondire leggi qui!). Oggi funziona quindi grossomodo come segue: il comune cittadino che ingiuria rischia solo una mera sanzione pecuniaria da illecito civile, mentre il militare che ingiuria un altro militare continua invece a rischiare una sanzione penale detentiva che, nel massimo, può arrivare a diversi mesi di reclusione militare (per approfondire leggi qui!);
  • l’ingiuria può realizzarsi non solo attraverso espressioni verbali ma anche attraverso azioni che ledano il decoro della vittima (mi riferisco qui alla cosiddetta ingiuria reale). Non sono difatti mancati casi in cui i Giudici militari hanno ritenuto che, ad esempio, fare gesti sconci, sputare, emettere suoni oltraggiosi o anche solo cospargere il corpo di un collega con del lucido da scarpe, ledendone quindi materialmente il decoro, possano integrare il reato militare di ingiuria. Occhio quindi a fare “scherzi da caserma”: le conseguenze potrebbero essere molto molto serie e sgradevoli!

Un paio di cose prima di concludere:

  • essendo i reati militari di ingiuria (quantomeno nel primo e secondo comma dell’articolo 226 del CPMP) e di diffamazione (per l’ipotesi base prevista al primo comma dell’articolo 227 del CPMP) punibili con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, affinché ne possa scaturire un procedimento penale è necessaria la richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!);
  • dato che la gran parte dei procedimenti penali militari per ingiuria o diffamazione hanno oggi a che fare con fatti occorsi su social network (facebook, instagram, twitter eccetera) o servizi di messaggistica istantanea (tipo whatsapp per intenderci), ho ritenuto utile trattare l’argomento in uno specifico post (per approfondire leggi qui!).

Detto ciò, non mi resta che salutarvi … ad maiora!

TCGC

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[1]: a dire il vero, spesso si abusa anche dei termini di “vilipendio” e “calunnia”. Dato che per il vilipendio troverete su www.avvocatomilitare.com uno specifico post a cui ad ogni buon conto vi rimando (per approfondire leggi qui!), mi concentrerò qui sulla “calunnia”. Ebbene, con tale termine il codice penale “ordinario” punisce la condotta di “chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo” (art. 368 c.p.). Abbiamo quindi a che fare con un reato molto grave che riguarda sostanzialmente chi denuncia una persona (alla Procura o alla Polizia Giudiziaria, come i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia di Stato o anche al Comandante di corpo/Ufficiale di Polizia Giudiziaria Militare – per approfondire leggi qui!) che sa essere innocente ovvero la “incastra” simulando a suo carico le tracce di un reato … ben diverso quindi dall’ingiuria e dalla diffamazione e del quale non vi è alcuna traccia nel codice penale militare di pace.

[2]: art. 594 c.p. – Ingiuria:“Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”. Tale articolo è stato però abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016 che lo ha depenalizzato. Ciò significa che l’ingiuria non è più un reato ma è diventato un mero illecito civile (detto altrimenti il colpevole non andrà più davanti a un giudice penale!) con sanzioni pecuniarie che vanno oggi dai 100 euro a salire.

[3]: art. 595 c.p.: Diffamazione:“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

[4]: a dire il vero, il reato militare di ingiuria viene comunemente integrato tra parigrado. Eccezionalmente, può essere integrato tra militari di grado diverso (quindi tra superiore e inferiore di grado) solo nel caso in cui, per cause estranee al servizio e alla disciplina (di cui all’articolo 199 CPMP), un determinato comportamento non possa essere sanzionabile a titolo di insubordinazione con ingiuria (articolo 189 CPMP – per approfondire leggi qui!) oppure di ingiuria a inferiore (articolo 196 CPMP– per approfondire leggi qui!) … ma preferisco sorvolare sulla questione dato che ci perderemmo in problemi troppo complessi avuto conto del taglio pratico che ho deciso di dare anche a questo post.

[5]: l’“onore”, il “decoro” e la “reputazione” vanno sostanzialmente intesi come valori sociali e morali della persona, propri della dignità dell’uomo (e a maggior ragione del militare!), avuto conto dell’ambiente sociale e del momento storico. Secondo la legge tali valori devono essere preservati da attacchi e aggressioni antisociali anche perché, per quanto di interesse, vanno a ledere (anche solo indirettamente) le esigenze di servizio e di disciplina che sono alla base dell’efficienza dello strumento militare.

[6]: l’art. 596 c.p. prevede al riguardo che “il colpevole del delitto previsto dall’articolo precedente [cioè la diffamazione «ordinaria»] non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa”. Peraltro, tale articolo prevede altresì che:“[…] quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:

  1. se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni;
  2. se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;
  3. se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito.

Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è [per esso] condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabile la disposizione dell’articolo 595, comma 1” del codice penale. Preciso che tale ultima previsione:

  • è caduta in quasi totale disuso soprattutto con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (e, in particolare, dell’articolo 21 sulla libera manifestazione del pensiero) che ne ha praticamente eliminato ogni utile margine di operatività;
  • secondo autorevole dottrina sarebbe comunque astrattamente applicabile anche al reato militare di diffamazione di cui all’art. 227 CPMP, sebbene la cosa non sia espressamente prevista per legge.

[7]: art. 594 c.p. – Ingiuria:“Chiunque offende l’onore o il decoro di una p ersona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”. Tale articolo è stato però abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016 che lo ha depenalizzato. Ciò significa che l’ingiuria non è più un reato ma è diventato un mero illecito civile (detto altrimenti il colpevole non andrà più davanti a un giudice penale!) con sanzioni pecuniarie che vanno oggi dai 100 euro a salire.

[8]: la ragione di tale presa di posizione della Corte costituzionale risiede nelle peculiarità proprie dell’Organizzazione militare. In tale contesto, i Giudici costituzionali hanno difatti giustificato la permanenza dell’ingiuria militare nell’area penalmente rilevante (anche se motivata da cause estranee al servizio e alla disciplina militare), in considerazione della necessità di coesione delle Unità militari che è il primo presupposto della funzionalità e dell’efficienza dello strumento militare.

[9]: Corte costituzionale, sentenza 215/2017 – Pres. GROSSI, Red. ZANON.

IL REATO MILITARE DI MINACCIA (ART. 229 CPMP)

Un giovane collega mi ha chiesto dei chiarimenti in merito al reato militare di minaccia. In particolare, mi chiede cosa si intenda per “ingiusto danno” e se possa considerarsi minaccia solo la prospettazione di un futuro danno fisico (siano queste percosse o lesioni non importa – per approfondire leggi qui!) oppure ci possa essere dell’altro. Allora … iniziamo col dire che l’articolo 229 del codice penale militare di pace (CPMP) prevede che “Il militare, che minaccia ad altro militare un ingiusto danno, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a due mesi. Se la minaccia è grave, si applica la reclusione militare fino a sei mesi. Se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339 [1] del codice penale, la pena è della reclusione militare fino a un anno”. Che dire, gli elementi costitutivi del reato militare di minaccia coincidono esattamente con quelli del corrispondente reato comune di cui all’articolo 612 [2] del codice penale. La principale differenza è che per poter parlare di minaccia “militare” è necessario che sia il soggetto attivo (il minacciante, per intendersi!) che il soggetto passivo (cioè il minacciato) siano militari e parigrado. A dire il vero, il reato di minaccia militare potrebbe essere astrattamente integrato anche tra militari di grado diverso quando, per cause estranee al servizio e alla disciplina [3], un determinato comportamento non possa essere sanzionabile a titolo di “insubordinazione con minaccia” (articolo 189 CPMP – per approfondire leggi qui!) oppure di “minaccia a inferiore” (articolo 196 CPMP– per approfondire leggi qui!) … ma preferisco sorvolare sulla questione dato che ci perderemmo in problemi troppo complessi avuto conto del taglio pratico che ho deciso di dare anche a questo post.

Tanto premesso, cerchiamo di procedere ad una rapidissima disamina di alcuni elementi del reato militare di minaccia in modo da potervi offrire alcuni chiarimenti sull’argomento. Ebbene:

  • l’“ingiusto danno” di cui parla il codice altro non è se non l’intimidazione che il minacciante fa al minacciato di un male futuro (contro la legge e cioè non ammesso dall’ordinamento giuridico – per approfondire leggi qui!) per lui stesso o per una persona a questo legata (come, ad esempio, la moglie, il figlio eccetera). L’“ingiusto danno” prospettato deve poi ovviamente poter dipendere, direttamente o indirettamente, dalla volontà del minacciante (pensateci, non è possibile minacciare un collega di qualcosa che non si può fare come, ad esempio, di farlo condannare a morte!) e non è necessariamente “fisico” … come ipotizzava il nostro collega … e mi riferisco, in questo caso, a minacce che qui nella Capitale potrebbero suonare come: “aho, te spacco, te rompo! Te faccio vede io, se vedemo fori!!!”, eccetera. Difatti, la minaccia è penalmente rilevante anche allorquando il minacciante prospetti al minacciato la volontà di lederlo in meri interessi giuridici (quelli cioè ammessi e tutelati dall’ordinamento giuridico – per approfondire leggi qui!) anche diversi dalle mere percosse o lesioni fisiche (per approfondire leggi qui!) … mi spiego meglio, minacciare ad esempio qualcuno di rovinargli la carriera (o di farlo alla relativa moglie, figlio eccetera), di creargli dei problemi … di “fargliela pagare” insomma … può ben integrare il reato militare di minaccia, se questa è ragionevolmente credibile;
  • la “gravità” della minaccia non dipende esclusivamente dal tipo di intimidazione (come può essere ad esempio una minaccia di morte!), ma scaturisce anche dal “turbamento” che determina sul soggetto minacciato, avuto conto anche delle circostanze in cui il reato è stato commesso, nonché dalle qualità dei soggetti coinvolti … deve essere quindi seria, credibile e ragionevolmente verosimile, anche in considerazione di chi la effettua: una cosa è infatti che la minaccia sia di un collega notoriamente “calmo” che ha solo perso le staffe, una cosa ben diversa è invece che la minaccia provenga da un collega notoriamente “attaccabrighe”, che abbia magari scontato pene per reati violenti eccetera. Conseguentemente, durante il processo si terrà conto non solo del tipo di minaccia che è stata fatta, ma anche dei soggetti coinvolti e delle circostanze di tempo e luogo in cui è stata fatta.

Un paio di cosette prima di concludere:

  • la minaccia è di solito verbale ma nulla toglie che possa essere scritta (ad esempio in un messaggio, in una lettera se non sulla parete della casa della vittima) oppure consistere in un gesto (intimidatorio ovviamente!);
  • i meri insulti non sono di per sé minaccia ma rappresentano, qualora ne ricorrano i presupposti, un’ingiuria o una diffamazione (per approfondire leggi qui!);
  • non è necessario che il minacciato sia presente, essendo sufficiente che la minaccia gli pervenga in qualche modo;
  • la giurisprudenza appare orientata e ritenere che il “minacciare” un collega di far valere le proprie ragioni dinnanzi all’Autorità Giudiziaria (cioè, ad esempio, minacciando di denunciarlo!) non sia di norma penalmente rilevante;
  • essendo il reato militare di minaccia normalmente punibile con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi (quantomeno nei primi due commi), affinché ne possa scaturire un procedimento penale è necessaria la richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!).

Detto ciò, non mi resta che salutarvi … ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 339 c.p. – Circostanze aggravanti:“Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi [anche se scariche aggiungerei io!], la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone”.

[2]: art. 612 c.p. – Minaccia:“Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro. Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno. Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339”.

[3]: art. 199 CPMP – Cause estranee al servizio o alla disciplina militare:“Le disposizioni dei capi terzo e quarto non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare”.

I REATI MILITARI DI PERCOSSE E DI LESIONE PERSONALE (ARTT. 222 E 223 CPMP)

Un collega mi ha chiesto di chiarirgli un dubbio: perché il codice penale militare di pace (CPMP) sanziona le percosse e le lesioni … non basta difatti il codice penale “comune” dato che prevede espressamente [1] tali reati? Beh, a prescindere dal fatto che il discorso che sto per fare potrebbe essere allargato anche ad altri reati militari come, ad esempio, quelli di minaccia (per approfondire leggi qui!), di ingiuria o di diffamazione (per approfondire leggi qui!) … possiamo dire che la principale ragione di tale “duplicazione” è la seguente:

  • il codice penale “comune” prevede tali reati a tutela degli interessi “personali” della vittima … detto altrimenti, a tutela di un interesse privato della persona (sono difatti molto spesso perseguibili a querela della persona offesa – per approfondire leggi qui!);
  • il codice penale militare di pace prevede invece tali reati a tutela della compagine militare: la “persona” viene infatti tutelata dal CPMP non in quanto tale ma perché strumento attraverso il quale l’Organizzazione militare persegue i propri fini e interessi … in questo caso la tutela penale viene quindi accordata a tutela di un interesse essenzialmente pubblico! Da qui trova giustificazione anche il fatto che tali reati non sono perseguibili a querela della persona offesa (per approfondire leggi qui!) ma semmai, quando ne ricorrano i presupposti, su richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!).

Tanto premesso, non essendo tali reati particolarmente complessi da comprendere, mi limito a postare integralmente gli articoli di interesse:

  • articolo 222 del CPMP – Percosse:“Il militare, che percuote altro militare, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione militare fino a sei mesi. Tale disposizione non si applica, quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato”;
  • articolo 223 del CPMP – Lesione personale:“Il militare che, cagiona ad altro militare una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare da due mesi a due anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai dieci giorni, e non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dagli articoli 583 [2] e 585 [3] del codice penale, si applica la reclusione militare fino a sei mesi[4].

Un’ultima cosa prima di concludere: cos’è una “percossa” e in cosa si differenzia da una “lesione”? Percuotere significa colpire, esercitare violenza fisica … detto altrimenti “far male” fisicamente a una persona ma senza provocare alcuna lesione, cioè senza determinare quella che il codice penale definisce una “malattia nel corpo o nella mente”, ovverosia una menomazione funzionale del corpo che possa essere rilevabile com’è ad esempio, nei casi meno gravi, un livido, una contusione, un’ecchimosi eccetera … cose insomma che se andate al pronto soccorso potrebbero giustificare qualche giorno di prognosi (preciso che la “prognosi” altro non è se non una previsione che il medico fa sul decorso/esito della malattia). Ecco quindi che il tirare i capelli, lo schiaffeggiare (anche piano, magari solo per umiliare!) o il “prendere per il collo” in modo tale da causare dolore, sono di solito percosse e non lesioni … in via di estrema approssimazione, possiamo dire che la percossa è dunque una violenza fisica meno grave di una lesione!

Penso di avervi detto quanto basta per inquadrare a grandi linee il problema … non mi resta che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 581 del codice penale – Percosse:“Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente è punito, a querela della persona offesa, salvo che ricorra la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, numero 11-octies), con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 309 […]”;

art. 582 del codice penale – Lesione personale:“Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente , è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa”;

art. 583 del codice penale – Circostanze aggravanti:“La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo; […]. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; […]”;

art. 585 del codice penale – Circostanze aggravanti:“Nei casi previsti dagli articoli 582, 583, 583 bis, 583 quinquies e 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576, ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite. Agli effetti della legge penale per armi s’intendono: 1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona; 2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo. Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti”.

[2]: art. 583 del codice penale – Circostanze aggravanti:“La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o unincapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo; […]. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda larto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; […]”.

[3]: art. 585 del codice penale – Circostanze aggravanti:“Nei casi previsti dagli articoli 582, 583, 583 bis, 583 quinquies e 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576, ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite. Agli effetti della legge penale per armi s’intendono: 1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona; 2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo. Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti”.

[4]: articolo 224 del CPMP – Lesione personale grave o gravissima:“Se la lesione personale, commessa dal militare a danno di altro militare, è grave, si applica la reclusione da due a sette anni. Se la lesione personale è gravissima, si applica la reclusione da cinque a dodici anni”.

LE INCHIESTE MILITARI PER EVENTI DI PARTICOLARE GRAVITÀ O RISONANZA: L’INCHIESTA SOMMARIA E L’INCHIESTA FORMALE

Con le inchieste sommarie e le inchieste formali vengono accertate le cause che hanno determinato eventi di particolare gravità o risonanza in modo che l’Amministrazione possa adottare le contromisure idonee ad evitare il ripetersi di tali accadimenti e sanzionare gli eventuali responsabili. In tal senso, l’articolo 530 del Decreto legislativo n. 66 del 2010 “Codice dell’ordinamento militare” (cosiddetto COM) che prevede infatti che “il Ministero della difesa dispone le inchieste sommarie e formali volte ad accertare le cause soggettive e oggettive che hanno determinato eventi di particolare gravità o risonanza nell’ambito dell’Amministrazione della difesa, allo scopo di valutare l’opportunità di adottare le misure correttive di carattere organizzativo o tecnico necessarie a evitare il ripetersi degli eventi dannosi e di dare l’avvio ai procedimenti rivolti a individuare eventuali responsabilità penali, disciplinari, amministrative, in merito alla causazione dell’evento”.

Tanto premesso, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare(cosiddetto TUOM) chiarisce alcuni aspetti fondamentali della questione e, in particolare:

1. la differenza tra inchiesta sommaria e inchiesta formale, rilevando che “si intendono per:

  • inchieste sommarie quelle disposte nell’immediatezza dell’evento e condotte secondo modalità semplificate, anche allo scopo di evitare la dispersione degli elementi utili per gli eventuali ulteriori accertamenti [1];
  • inchieste formali quelle disposte quando la gravità dell’evento richiede nell’immediato un approfondito esame, ovvero sia necessario, sulla base dei risultati dell’inchiesta sommaria, esperire indagini più articolate e complesse, al fine di accertare le cause dell’evento” (articolo 552 TUOM);

2. la nozione di evento di particolare gravità o risonanza, chiarendo che tali sono da considerarsi:

  • gli avvenimenti dannosi che interessano personale, mezzi o beni del Ministero della difesa, quali, a titolo esemplificativo, incidenti e infortuni rilevanti connessi all’impiego operativo, all’attività addestrativa e comunque al servizio, furti, smarrimenti o danneggiamenti di materiali e apparati particolarmente delicati e importanti, come a esempio armi e munizionamenti, ed eventi relativi alla situazione sanitaria nei reparti;
  • gli accadimenti che potrebbero avere riflessi negativi sull’opinione pubblica per la loro delicatezza o per il numero di persone coinvolte;
  • i sinistri marittimi, intesi come qualsiasi evento dannoso accaduto, in navigazione o in porto, a unità navali appartenenti all’Amministrazione della difesa o a persone o beni a bordo (articolo 553 TUOM) [2] ”.

A) L’INCHIESTA SOMMARIA

Ai sensi dell’articolo 557 del TUOM, l’Autorità competente ad ordinare l’inchiesta sommaria [3]nomina, entro quindici giorni dal ricevimento della notizia dell’evento, un ufficiale inquirente per l’esecuzione dell’inchiesta”. Il successivo articolo 559 del TUOM ci chiarisce poi a cosa consista tale inchiesta, ovverosia:“a) nell’acquisizione della relazione del comandante di corpo, ovvero del titolare del comando, ente, unità o ufficio interessati all’evento; b) nella raccolta di tutte le notizie relative all’evento quali: località, data, ora, circostanze, generalità del personale coinvolto, beni della difesa interessati dall’evento, dinamica e probabili cause, provvedimenti adottati, eventuali interventi dell’autorità giudiziaria, documenti o altri mezzi di prova, nonché ogni altro elemento di informazione utile; c) nella raccolta di dichiarazioni testimoniali di personale militare e civile della Difesa, nonché di persone estranee all’Amministrazione della difesa in grado di fornire notizie utili ai fini dell’inchiesta, le cui attestazioni sono verbalizzate a cura dell’ufficiale inquirente e sottoscritte dal dichiarante; d) nella compilazione di un rapporto riassuntivo dell’evento, recante i risultati delle indagini e le considerazioni sulle cause dell’evento”. Tale “rapporto riassuntivo dell’evento” deve essere inviato, entro 90 giorni, all’Autorità che ha ordinato l’esecuzione dell’inchiesta sommaria che a sua volta lo trasmetterà nei successivi 30 giorni, corredato di un proprio motivato parere e l’indicazione degli eventuali provvedimenti adottati, allo Stato Maggiore della Difesa, al Segretariato Generale della Difesa, allo Stato Maggiore di Forza Armata ovvero al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri a seconda dell’area di appartenenza dell’Ente coinvolto nell’evento negativo (articolo 560 [4] TUOM).

B) L’INCHIESTA FORMALE

Ai sensi dell’articolo 561 del TUOM, successivamente all’inchiesta sommaria (ovvero a volte anche a prescindere da questa), può essere disposta una inchiesta formale qualora [5]:

  • dall’inchiesta sommaria non siano emerse le cause dell’evento;
  • si sia verificato un evento grave o gravissimo che abbia determinato la morte, lesioni gravi o gravissime a persone ovvero la perdita o il grave danneggiamento di beni di rilevante valore o particolare importanza [6] ;
  • venga ritenuto opportuno procedere ad una inchiesta formale in ragione della rilevanza degli eventi (e questo, quindi, anche in assenza di una preventiva inchiesta sommaria!).

A differenza di quanto avviene per le inchieste sommarie, l’inchiesta formale non viene eseguita da un singolo Ufficiale inquirente, bensì da una Commissione d’inchiesta formale che, ai sensi dell’articolo 563 del TUOM:

  • è costituita da “a) un presidente di grado superiore o, se pari grado, più anziano del comandante di corpo o titolare del comando, ente, unità o ufficio presso cui si è verificato l’evento; b) due o quattro membri di grado superiore o, se pari grado, più anziani del comandante di corpo o del titolare del comando, ente, unità o ufficio presso cui si è verificato l’evento, di cui uno con funzioni di segretario”;
  • ha facoltà di avvalersi, qualora ritenuto utile ai fini dell’inchiesta, di personale appartenente all’Amministrazione della difesa, ovvero di consulenti tecnici esterni […]”;
  • procede: a) all’esame degli atti dell’inchiesta sommaria, ove precedentemente effettuata; b) all’esecuzione di accertamenti, rilievi e sopralluoghi, qualora necessari anche esterni rispetto all’ente o al reparto presso cui si è verificato l’evento; c) all’acquisizione di eventuali ulteriori documenti e dichiarazioni testimoniali di personale militare e civile della Difesa, nonché di persone estranee all’Amministrazione della difesa; d) all’esame delle relazioni dei consulenti, qualora nominati; e) all’effettuazione di ogni altra attività ritenuta utile ai fini dell’inchiesta”;
  • conclude i propri lavori con “con un rapporto finale, corredato di tutta la documentazione acquisita agli atti, contenente: a) una circostanziata ricostruzione dell’evento; b) deduzioni, considerazioni di ordine giuridico e tecnico; motivazioni; c) il parere chiaro ed esplicito sulle cause che hanno provocato l’evento; d) data e sottoscrizione di tutti i componenti della commissione”.

Infine, ai sensi del successivo articolo 564 [7] del TUOM, entro 120 giorni la Commissione “rimette all’autorità che ha ordinato l’inchiesta gli atti conclusivi dell’inchiesta formale, la quale adotta, entro 180 giorni (badate bene … decorrenti dal momento in cui l’inchiesta formale è stata disposta), “con decisione motivata, i provvedimenti ritenuti necessari”.

Se siete arrivati a leggere fino a questo punto, credo che abbiate inquadrato l’argomento in modo sufficientemente chiaro … non mi resta quindi che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: per quanto attiene specificamente alle inchieste sommarie, l’articolo 555 TUOM stabilisce inoltre che, nell’immediatezza dell’evento, “i comandanti di corpo, i titolari di comandi, enti, unità o uffici nel cui ambito si è verificato l’evento di particolare gravità o risonanza, provvedono a:

a) impedire la dispersione o alterazione di cose, documenti e in genere di tutti gli elementi utili per i successivi adempimenti;

b) dare tempestiva comunicazione dell’evento, attraverso la linea gerarchica, all’autorità competente a disporre l’inchiesta sommaria, ai sensi dell’articolo 556, comma 1, nonché allo Stato maggiore della difesa, per gli eventi occorsi nell’area tecnico-operativa, o al Segretariato generale della difesa, per gli eventi verificatisi nell’area tecnico-amministrativa e tecnico-industriale;

c) redigere una relazione tecnica, recante l’indicazione delle circostanze in cui si è verificato l’evento, della dinamica di svolgimento dei fatti, dei provvedimenti adottati, nonché le eventuali valutazioni, trasmettendola, entro cinque giorni, all’autorità competente a disporre l’inchiesta sommaria, di cui alla lettera b), per la medesima via gerarchica, ovvero entro dieci giorni per gli eventi verificatisi nel corso di operazioni all’estero;

d) inoltrare, se l’evento si è verificato nell’ambito di operazioni o esercitazioni internazionali, multinazionali o NATO a carattere interforze, la comunicazione di cui alla lettera b) anche allo Stato maggiore della Forza armata o al Comando generale dell’Arma di carabinieri a cui appartengono il personale, i beni o i mezzi coinvolti”.

[2]: non sono considerati eventi di particolare gravità e risonanzagli incidenti automobilistici, nei quali sono rimasti coinvolti automezzi isolati e che non hanno comportato gravi lesioni fisiche o perdite di vite umane” (art. 530, comma 3, del COM).

[3]: ai sensi dell’articolo 556 del TUOM, sono competenti ad ordinare l’inchiesta sommaria:

a) il Capo di stato maggiore della difesa quando: 1) gli eventi sono avvenuti nell’ambito di enti e organismi, in Italia o all’estero, dipendenti direttamente dalla predetta autorità o dal Sottocapo di stato maggiore della difesa o dal Comandante del Comando operativo di vertice interforze; 2) gli eventi sono avvenuti nell’ambito di operazioni, missioni o esercitazioni per le quali tale autorità esercita o ha delegato le funzioni di comando e controllo;

b) il Segretario generale della difesa, quando gli eventi sono avvenuti nell’ambito del Segretariato generale;

c) i superiori gerarchici del comando, ente, unità e ufficio coinvolti nell’evento, il cui livello ordinativo è individuato, in via generale, con decreto del Ministro della difesa, in base all’assetto organizzativo delle aree tecnico-operativa, tecnico-amministrativa e tecnico-industriale del Ministero della difesa, nonché alla capacità ad acquisire, con la necessaria tempestività, gli elementi necessari per valutare l’opportunità di disporre l’inchiesta sommaria e ad adottare o proporre le misure correttive, sulla base dei risultati dell’indagine, fermo restando quanto disposto dal codice della navigazione in materia di sinistri marittimi […]” (art. 556 del TUOM).

[4]: art. 560 del TUOM – Invio degli atti dell’inchiesta sommaria:

1. Gli atti dell’inchiesta sommaria sono inviati, al più presto e comunque entro novanta giorni dalla data in cui è stata disposta, all’autorità che ne ha ordinato l’esecuzione e da questa trasmessi, nei successivi trenta giorni, con motivato parere e con l’indicazione degli eventuali provvedimenti adottati, allo Stato maggiore della difesa, al Segretariato generale della difesa, agli Stati maggiori di Forza armata, ovvero al Comando generale dell’Arma dei carabinieri, in relazione all’area di appartenenza del Comando, ente, unità o ufficio presso i quali si è verificato l’evento.

2. Lo Stato maggiore della difesa, il Segretariato generale, gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri, ricevuti gli atti dell’inchiesta sommaria, procedono al loro esame da concludersi, con decisione motivata dell’autorità di vertice dei predetti organismi, entro centocinquanta giorni dalla data in cui essa è stata disposta. Tale autorità di vertice può ordinare, se ritenuto necessario, l’esecuzione di ulteriori indagini, i cui risultati sono valutati entro i successivi trenta giorni.

3. Una sintetica scheda informativa sugli esiti dell’inchiesta sommaria è inviata, senza ritardo, a cura dei citati Stati maggiori o del Segretariato generale o del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, al Ministro della difesa. Gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri informano, altresì, degli esiti dell’inchiesta lo Stato maggiore della difesa”.

[5]: art. 561 del TUOM – Autorità competenti a ordinare l’inchiesta formale:

1. Sulla base delle risultanze dell’inchiesta sommaria, il Capo di stato maggiore della difesa, il Segretario generale della difesa, i Capi di stato maggiore di Forza armata e, per l’Arma dei carabinieri, il Comandante generale, se lo ritengono necessario ai fini dell’accertamento delle cause dell’evento, dispongono con provvedimento motivato la nomina della commissione d’inchiesta formale.

2. L’inchiesta formale è sempre disposta nel caso di evento grave che abbia comportato la perdita di vite umane o lesioni gravi o gravissime a una o più persone, ovvero perdite o grave danneggiamento di beni di rilevante valore o di particolare importanza, salvo il caso in cui appaia evidente, dall’esito dell’inchiesta sommaria, che l’evento si è verificato in conseguenza di caso fortuito o di forza maggiore, ovvero che l’autorità competente a ordinare l’inchiesta formale abbia verificato che l’inchiesta sommaria svolta ha compiutamente esaurito ogni possibile accertamento.

3. L’inchiesta formale può essere disposta anche in mancanza di una precedente inchiesta sommaria, se le autorità di cui al comma 1, valutano opportuno, in relazione alla natura e alla gravità dei fatti da accertare, avvalersi della commissione di inchiesta formale. Tale facoltà può essere esercitata esclusivamente dal Capo di stato maggiore della difesa quando gli eventi sono avvenuti nell’ambito di operazioni, missioni o esercitazioni per le quali esercita o ha delegato le funzioni di comando e controllo.

4. L’autorità che dispone l’inchiesta fissa il termine, non superiore a centoventi giorni, per la conclusione dei lavori della commissione. Il termine di conclusione dell’inchiesta formale è di centottanta giorni, a decorrere dalla data in cui è disposta”.

[6]: tranne ovviamente nel caso in cui, a seguito dell’inchiesta sommaria, non risulti possibile esperire alcun ulteriore accertamento/verifica ovvero sia stato dimostrato che l’evento si è verificato per caso fortuito o forza maggiore.

[7]: art. 564 del TUOM – Invio degli atti dell’inchiesta formale:

1. Nei termini di cui all’articolo 561, comma 4, la commissione rimette all’autorità che ha ordinato l’inchiesta gli atti conclusivi dell’inchiesta formale, la quale adotta, con decisione motivata, i provvedimenti ritenuti necessari.

2. Una dettagliata scheda informativa sugli esiti dell’inchiesta formale è inviata, senza ritardo, a cura degli Stati maggiori o del Segretariato generale o del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, al Ministro della difesa. Gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri informano, altresì, degli esiti dell’inchiesta lo Stato maggiore della difesa”.

LA “FACOLTÀ DI NON RISPONDERE” (ART. 64 C.P.P.)

Il codice di procedura penale stabilisce che “prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona deve essere avvertita che […] salvo quanto disposto dall’articolo 66 comma 1 [1], ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso” (articolo 64 c.p.p.). Ciò significa sostanzialmente che la persona sottoposta alle indagini, durante l’interrogatorio, non è obbligata a rispondere alle domande che gli vengono rivolte … può insomma legittimamente rimanere in silenzio. Ovviamente, si devono dare tutte le informazioni necessarie alla propria completa identificazione (cioè le proprie generalità eccetera), ma per il resto può serenamente tacere!

A questo punto vi starete probabilmente chiedendo come mai? Per quale ragione si accorda un “privilegio” del genere a chi è accusato di un reato … magari anche grave? Ebbene, dovete sapere che in uno stato di diritto (com’è il nostro) la “facoltà di non rispondere” trova la propria ragion d’essere principalmente nell’esigenza di evitare che un indagato, a prescindere dal reato di cui è accusato, sia obbligato a rispondere sempre e comunque al Pubblico Ministero/Polizia Giudiziaria. Se così fosse, si correrebbe infatti il serio rischio di poter essere fraintesi … “compromettendo” la propria posizione processuale con una dichiarazione che viene messa a verbale e che, conseguentemente, non è poi più possibile rettificare! Il nostro ordinamento giuridico cerca di evitare situazioni del genere partendo dal presupposto che tutti hanno diritto a un “giusto” processo … cosa che, per quanto ci interessa, significa sostanzialmente poter giocare “ad armi pari” quando ci si difende da un’accusa! Credo che a questo punto vi appaia più chiaro come la “facoltà di non rispondere” svolga la fondamentale funzione di riequilibrare i rapporti di forza che, altrimenti, risulterebbero troppo sbilanciati a favore della pubblica accusa, Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria che sia.

Tanto premesso, nel caso foste interrogati dovete sempre avvalervi della “facoltà di non rispondere” e rimanere quindi in silenzio? Ovviamente no! Bisogna sempre agevolare il lavoro del Pubblico Ministero o della Polizia Giudiziaria … è infatti nel vostro interesse fare in modo che si faccia (velocemente) chiarezza sui fatti e sugli eventi che vi riguardano! Ciò nonostante, molto spesso l’interrogatorio avviene in una fase delle indagini durante la quale la Procura gioca sostanzialmente a “carte coperte” e può quindi accadere (e spesso accade!) di non avere la minima idea di quale sia l’oggetto dell’indagine che ci riguarda. Beh, in linea di principio, in tal caso è consigliabile avvalersi della “facoltà di non rispondere”, attendere la chiusura delle indagini preliminari (momento in cui si inizia cioè a giocare a “carte scoperte” – per approfondire leggi qui!) tenendo ben presente che, una volta che il vostro Avvocato di fiducia avrà finalmente accesso a tutta la documentazione e agli atti che vi riguardano, potrete entro 20 giorni “presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio” (art. 415 bis del codice di procedura penale) … fermo restando che se chiedete di “essere sottoposto ad interrogatorio il pubblico ministero deve procedervi”!

Un doveroso chiarimento prima di concludere: quanto detto vale solo per la persona sottoposta alle indagini, cioè per l’indagato. Il testimone, ad esempio, non può esercitare alcuna “facoltà di non rispondere” … anzi, ha al contrario il preciso obbligo di rispondere a tutte le domande che gli vengono fatte dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria, non dimenticatelo!

Considerate quanto abbiamo appena detto una chiacchierata tra amici, le cose sono infatti molto più complicate di come può apparire ed è quantomai necessario farsi sempre “guidare” da un professionista del settore perché camminate su un terreno minato! Vi consiglio pertanto di affidarvi al vostro Avvocato di fiducia, soprattutto se magari siete in stato di fermo o, peggio, in custodia cautelare … sarà lui ad individuare la strategia processuale più adatta al vostro caso: ad ognuno il proprio mestiere! Vi lascio con un vecchio detto che fa più o meno così: “… se pensate che rivolgersi a un Avvocato serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!” … pensateci sopra!

Ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 66, comma 1, c.p.p.:“nel primo atto cui è presente l’imputato, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant’altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false […]”.

LA COMPETENZA TERRITORIALE DI TRIBUNALI E PROCURE MILITARI

La competenza territoriale di Tribunali e Procure Militari viene essenzialmente disciplinata dal Decreto legislativo n. 66 del 2010 “Codice dell’ordinamento militare” (cosiddetto COM). L’articolo 55 del COM, titolato proprio “Circoscrizioni territoriali”, stabilisce infatti che:“1. I Tribunali militari e le Procure militari sono tre e hanno sede in Verona, Roma e Napoli. 2. Il Tribunale militare e la Procura militare di Verona hanno competenza in ordine ai reati militari commessi nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia- Romagna. 3. Il Tribunale militare e la Procura militare di Roma hanno competenza in ordine ai reati militari commessi nelle regioni Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Sardegna. 4. Il Tribunale militare e la Procura militare di Napoli hanno competenza in ordine ai reati militari commessi nelle regioni Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia”.

Naturalmente, in ossequio a quanto previsto dall’articolo 8 del codice di procedura penale [1], tale competenza territoriale viene individuata sulla base del luogo dove è stato commesso il reato … mi spiego meglio: se la mia Unità ha sede nel nord Italia, ad esempio in Piemonte, ma io commetto un reato militare durante un campo addestrativo, ad esempio in Sardegna, la Procura Militare chiamata ad indagare sarà quella di Roma (nella cui area di competenza territoriale ricade la regione Sardegna) e non quella di Verona (anche se normalmente competente per i reati militari commessi presso la sede stanziale della mia Unità di appartenenza). La stessa cosa avverrà ovviamente per il Tribunale Militare: verrò cioè giudicato dal Tribunale Militare di Roma (e non da quello di Verona!).

Un’ultima cosa prima di concludere … e se il reato viene commesso all’estero, ad esempio in missione? Chi sarà competente? Nulla di complicato: come al solito è tutto scritto, basta solo sapere dove! Infatti, sia l’articolo 19 della legge n. 145 del 2016 che l’articolo 273, primo comma, del codice penale militare di pace (CPMP) prevedono in tal caso che la competenza sia del Tribunale Militare di Roma. La cosa non vale però per i reati commessi in corso di navigazione, su navi o aeromobili militari, perchè in tal caso è competente il “Tribunale militare del luogo di stanza dell’unità militare alla quale appartiene l’imputato” (art. 273, secondo comma, del CPMP).

Ovviamente le cose sono ben più complicate ma, in considerazione del taglio “pratico” che abbiamo deciso di dare ai post di avvocatomilitare.com, penso per il momento di non dover aggiungere altro … ad maiora!

TCGC

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[1]: articolo 8 del codice di procedura penale:“1. La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato. 2. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l’azione o l’omissione. 3. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone. 4. Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a commettere il delitto”.

LA GUARDIA COSTIERA – CAPITANERIA DI CORPO SVOLGE ANCHE FUNZIONI DI POLIZIA GIUDIZIARIA?

Iniziamo col dire che la risposta è si! Infatti, l’articolo 1235 del Codice della navigazione [1] (R.D. n. 327 del 1942) prevede che: “[…] sono ufficiali di polizia giudiziaria: 1) i comandanti gli ufficiali del Corpo delle capitanerie di porto, gli ufficiali del Corpo equipaggi militari marittimi appartenenti al ruolo servizi portuali, i sottufficiali del Corpo equipaggi militari marittimi appartenenti alla categoria servizi portuali, i direttori e i delegati di aeroporto, i delegati di campo di fortuna, riguardo ai reati previsti dal presente Codice, nonché riguardo ai reati comuni commessi nel porto o nell’aeroporto, se in tali luoghi mancano uffici di pubblica sicurezza. Negli aeroporti in cui non ha sede un ENAC o non risiede alcun delegato, le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria: sono attribuite al ENAC nella cui circoscrizione l’aeroporto è compreso; 2) i comandanti delle navi o degli aeromobili, riguardo ai reati commessi a bordo in corso di navigazione, nonché riguardo agli atti di polizia giudiziaria ordinati e alle delegazioni disposte dall’autorità giudiziaria; 3) i consoli, riguardo ai reati previsti da questo Codice commessi all’estero, oltre che negli altri casi contemplati dalla legge consolare; 4) i comandanti delle navi da guerra nazionali per gli atti che compiono su richiesta dell’autorità consolare o, in caso di urgenza di propria iniziativa. I comandanti stessi vigilano sia in alto mare sia nelle acque territoriali di altro Stato sulla polizia giudiziaria esercitata dai comandanti delle navi nazionali. Sono agenti di polizia giudiziaria, riguardo ai reati previsti dal presente Codice, nonché riguardo ai reati comuni commessi nel porto, se in tale luogo mancano uffici di pubblica sicurezza, i sottocapi e comuni del Corpo equipaggi militari marittimi appartenenti alla categoria, servizi portuali. Assumono le funzioni di agenti di polizia giudiziaria i sottocapi e comuni di altre categorie del Corpo equipaggi militari marittimi destinati presso le capitanerie di porto e uffici marittimi minori, i funzionari e gli agenti dell’Amministrazione della navigazione interna, i funzionari e gli agenti degli aeroporti statali o privati, in seguito alla richiesta di cooperazione da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria. Sono inoltre agenti di polizia giudiziaria gli agenti degli uffici di porto ovvero di aeroporto statale o privato in servizio di ronda”.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 137 del Decreto legislativo n. 66 del 2010Codice dell’ordinamento militare(cosiddetto COM), “il Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera svolge, nell’ambito delle attribuzioni di polizia giudiziaria previste dall’articolo 1235 del codice della navigazione e da altre leggi speciali, nonché ai sensi dell’articolo 57, comma 3, del codice di procedura penale, le sottoelencate funzioni, riconducibili nelle più generali competenze di altri ministeri: a) esercita l’attività di polizia stradale, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285; b) presta, ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nell’ambito della struttura permanente presso il Dipartimento della protezione civile, la necessaria collaborazione operativa per la pianificazione e la gestione delle emergenze in mare; c) concorre nell’attività di contrasto al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, nei termini stabiliti dagli articoli 5 e 99 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; d) concorre nell’attività di contrasto all’immigrazione illegale, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera d), della legge 30 luglio 2002, n. 189; e) concorre alla vigilanza finalizzata all’individuazione e alla salvaguardia dei beni del patrimonio storico, artistico e archeologico, con particolare riguardo ai reperti archeologici sommersi; f) attua le competenze a esso demandate in materia di disciplina del collocamento della gente di mare”.

Mi fermo qui … penso infatti che l’argomento sia sufficientemente chiaro.

TCGC

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[1]: in combinato disposto con l’articolo 57, comma 3, del codice di procedura penale che prevede che “[…] sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’articolo 55”.

L’INDEBITA RIVELAZIONE DI SEGRETI PROCESSUALI

L’articolo 379 bis del codice penale prevede che “[…] chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo aver rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 391 quinquies del codice di procedura penale”.

Il reato di rivelazione di segreti processuali può essere commesso da chiunque (quindi non necessariamente solo da agenti o ufficiali di Polizia Giudiziaria!) “riveli” notizie:

  • apprese perché si ha partecipato o anche solo assistito a qualche atto del procedimento penale in questione;
  • per le quali il Pubblico Ministero abbia vietato la divulgazione ai sensi dell’articolo 391 quinquies [1] del codice di procedura penale ovverosia notizie riguardanti l’attività di indagine per la quale si è stati sentiti.

Quanto precede solo per evidenziarvi che non è mai il caso di fare “chiacchiere da bar” quando l’oggetto delle nostre conversazioni verte su di un procedimento penale … e la cosa non è solo una questione di professionalità o di etica militare: una leggerezza del genere potrebbe infatti costarvi molto cara anche dal punto di vista penale!

TCGC

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[1]: art. 391 quinques c.p.p. – Potere di segretazione del pubblico ministero:“1. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il pubblico ministero può, con decreto motivato, vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza. Il divieto non può avere una durata superiore a due mesi. 2. Il pubblico ministero, nel comunicare il divieto di cui al comma 1 alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali conseguenti all’indebita rivelazione delle notizie”. 

LE FALSE DICHIARAZIONI AL PUBBLICO MINISTERO

Cosa succede se, chiamati dal Pubblico Ministero (poco importa se militare o ordinario) a riferire su determinati fatti non si è “sinceri” al 100%? Mi spiego meglio, cosa accade si “dimentica” intenzionalmente di riferire su alcune cose (non stiamo ovviamente parlando di una semplice dimenticanza … di un qualcosa di cui cioè vi siete semplicemente scordati!) o, addirittura, si ha la malaugurata idea di dichiarare il falso? Beh, la questione non è da poco! Prescindendo dagli ovvii risvolti disciplinari (anche di stato!) che una situazione del genere potrebbe comportare per un militare, sappiate che si corre il rischio di passare dei guai molto seri. Infatti, l’articolo 371 bis del codice penale stabilisce che “chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero o dal procuratore della Corte penale internazionale di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni […]”.

Tale reato, collocato nel codice penale nella parte relativa ai “delitti contro l’attività giudiziaria”, mira ovviamente a preservare e garantire il corretto funzionamento della Giustizia durante le indagini. Ecco perché si punisce chi tace il vero, dice o certifica il falso al Pubblico Ministero … insomma … detto altrimenti, “inganni” intenzionalmente il Magistrato che sta svolgendo l’attività investigativa!

Ovviamente, le cose si complicano se poi si tace o si mente quando si deve riferire in qualità di testimone nel processo vero e proprio … quando cioè, come accade nei telefilm americani, si è “chiamati alla sbarra”. In tal caso, si commette infatti il reato di falsa testimonianza, previsto e punito dall’articolo 372 del codice penale, che prevede che “chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni”.

Come vedete, quanto detto non è molto complicato da capire … per questo motivo non mi ci soffermo troppo sopra. Prima di concludere, però, vi offro un paio di spunti ulteriori … dovete infatti sapere che:

  • il codice penale punisce anche chi “corrompe”, minaccia, usa violenza o anche solo “induce” (detto altrimenti istiga o incita) una persona a fare false dichiarazioni o a tacere all’Autorità Giudiziaria (articolo 377 [1] del codice penale);
  • esiste la possibilità di fare un passo indietro, cioè di “ritrattare” quello che si è detto o non si è detto al Pubblico Ministero … ma solo prima della fine del dibattimento! Non è infatti punibile chi “nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento”;
  • non esiste alcun reato di false dichiarazioni alla Polizia Giudiziaria. Ciò nonostante, fate molta attenzione perché dichiarando il falso o tacendo il vero alla PG potreste commettere il reato di favoreggiamento personale di cui all’articolo 378 [2] del codice penale.

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[1]: art. 377 c.p. – Intralcio alla Giustizia:“Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni al difensore nel corso dell’attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371bis, 371ter, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi ridotte dalla metà ai due terzi. La stessa disposizione si applica qualora l’offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa. Chiunque usa violenza o minaccia ai fini indicati al primo comma, soggiace, qualora il fine non sia conseguito, alle pene stabilite in ordine ai reati di cui al medesimo primo comma, diminuite in misura non eccedente un terzo”.

[2]: art. 378 c.p. – Favoreggiamento personale:“Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni. Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni. Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516 […]”.

IL REATO DI OMESSA DENUNCIA ALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA

L’articolo 361 del codice penale prevede che “il pubblico ufficiale [per approfondire leggi qui!], il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da euro 30 a euro 516. La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto […]”.

Il successivo articolo 362 del codice penale sanziona, invece, l’incaricato di un pubblico servizio [per approfondire leggi qui!], che omette o ritarda di denunciare all’Autorità indicata nell’articolo precedente [1] un reato del quale abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa del servizio, è punito con la multa fino a euro 103 […]”.

Tali articoli sono molto intuitivi e semplici da comprendere, ecco perchè non mi ci sono dilungato troppo sopra … ma un paio di chiarimenti ritengo siano più che doverosi. Ebbene, tenete bene a mente che il reato di omessa denuncia, sia del pubblico ufficiale che dell’incaricato di pubblico servizio (per approfondire leggi qui!), si integra solo per i reati:

  • di cui si è venuti a conoscenza nell’esercizio o a causa delle funzioni/servizio svolto … ciò significa che non c’è alcuna omissione di denuncia se non viene denunciato un reato di cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ha preso conoscenza, ad esempio, in strada mentre tornava a casa a fine servizio oppure durante la riunione di condominio;
  • procedibili d’ufficio e, quindi, non si configura per i reati procedibili a querela della persona offesa (per approfondire leggi qui!).

Tanto detto, sappiate che il reato di omessa denuncia, quando commesso da un pubblico ufficiale che sia anche ufficiale o agente di Polizia giudiziaria, è aggravato! Infatti, ai sensi dell’articolo 361 del codice penale, comporta addirittura la reclusione fino ad un anno!

Se siete arrivati a leggere fin quì vi starete chiedendo … entro quando il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, l’ufficiale o l’agente di Polizia Giudiziaria devono denunciare/comunicare la notizia di reato all’Autorità Giudiziaria? Gli articoli 331 [2] e 347 [3] del codice di procedura penale parlano di “senza ritardo”, mentre gli articoli 301 [4] e 304 [5] del codice penale militare di pace (CPMP) usano il termine “immediatamente” … beh, in assenza di indicazioni temporali precise, diciamo che è meglio interessare il Pubblico Ministero il prima possibile, anche senza interrompere le indagini (naturalmente quando parlo di indagini sto facendo riferimento ai soli ufficiali o agenti di PG, dato che i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio non fanno alcuna indagine e si limitano a denunciare sic et simpliciter) … fermo restando che una semplice telefonata al Magistrato di turno in Procura può fugare ogni dubbio, scongiurando il rischio di incorrere in una qualche responsabilità penale!

Una precisazione prima di concludere … sappiate che quando l’omessa denuncia riguarda un reato contro la personalità dello Stato [6], tutte le pene si inaspriscono [7] … e di molto! Infatti, l’articolo 363 del codice penale, titolato proprio “omessa denuncia aggravata”, stabilisce che “se la omessa o ritardata denuncia riguarda un delitto contro la personalità dello Stato, la pena [per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio] è della reclusione da sei mesi a tre anni; ed è da uno a cinque anni, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria”.

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[1]: cioè all’Autorità Giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne.

[2]: art. 331 c.p.p. – Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio:“1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.

[3]: art. 347 c.p.p. – Obbligo di riferire della notizia di reato:“1. Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico Ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione. 2. Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. 2-bis. Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell’atto, salvo le disposizioni di legge che prevedono termini particolari. 3. Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6), del presente codice, o di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice penale, e, in ogni caso, quando sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale. Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la documentazione previste dai commi 1 e 2. 4. Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l’ora in cui ha acquisito la notizia”.

[4]: art. 301 CPMP – Persone che esercitano le funzioni di polizia giudiziaria militare:“Per i reati soggetti alla giurisdizione militare, […] le funzioni di polizia giudiziaria sono esercitate nell’ordine seguente: 1. dai comandanti di corpo, di distaccamento o di posto delle varie forze armate; 2. dagli ufficiali e sottufficiali dei carabinieri e dagli altri ufficiali di polizia giudiziaria indicati nell’articolo 57del codice di procedura penale. Concorrendo più militari fra quelli rispettivamente indicati nei nn. 1 e 2, le funzioni sono esercitate dal più elevato in grado o, a parità di grado, dal più anziano. I militari suddetti hanno la facoltà di richiedere la forza pubblica. In ogni caso, tutte le persone indicate nel primo comma, senza interrompere le indagini, devono informarne immediatamente il procuratore militare della Repubblica”.

[5]: art. 304 CPMP – Trasmissione degli atti e informazioni al procuratore militare della Repubblica:“Terminate le operazioni, le persone indicate nell’articolo 301 devono trasmettere immediatamente gli atti compilati e le cose sequestrate al procuratore militare della Repubblica. Le dette persone devono inoltre riferire al procuratore militare della Repubblica ogni notizia che loro successivamente pervenga, e compiere in qualsiasi momento gli atti necessari per assicurare le prove del reato”.

[6]: cioè quei reati che minacciano l’integrità, la sicurezza, l’ordine Costituzionale eccetera … il riferimento è agli articoli del codice penale che vanno grossomodo dal 241 al 313.

[7]: e possono riguardare anche il privato cittadino. Infatti, ai sensi dell’articolo 364 c.p., “il cittadino, che, avendo avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato, per il quale la legge stabilisce l’ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032”.

DENUNCIA, INFORMATIVA DI PG, REFERTO O QUERELA?

Facciamo un poco di chiarezza perché la denuncia, l’informativa di Polizia Giudiziaria (PG), il referto e la querela non sono assolutamente dei sinonimi ma, al contrario, rappresentano quattro differenti modalità di comunicazione delle notizie di reato (per approfondire leggi qui!) al Pubblico Ministero e/o alla Polizia Giudiziaria che devono esser tenute ben distinte. Infatti:

  • la denuncia è quella segnalazione con la quale un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio (per approfondire leggi qui!) o un soggetto privato mettono a conoscenza Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria che è stato commesso un reato perseguibile d’ufficio [1] [2]. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio sono obbligati a fare “senza ritardo” denuncia [3], altrimenti possono incorrere nel reato di omessa denuncia (per approfondire leggi qui!). Per quanto riguarda i contenuti della denuncia, come emerge dalla lettura dell’articolo 332 del codice di procedura penale, questa “contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell’acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti”;
  • l’informativa di PG o comunicazione della notizia di reato (ex art. 347 c.p.p. – per approfondire leggi qui!) è quella segnalazione che viene fatta al Pubblico Ministero direttamente dalla Polizia Giudiziaria nel caso in cui quest’ultima acquisisca una notizia di reato (per sapere quale sia la competenza territoriale delle Procure Militari leggi qui!). Tale informativa è grossomodo una denuncia “qualificata” in considerazione delle competenze e prerogative proprie degli ufficiali e degli agenti di PG [4]. Infatti, a differenza di quanto accade per la “semplice” denuncia effettuata da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, l’articolo 347 del codice di procedura penale prevede che la Polizia Giudiziaria (anche militare!) “acquisita la notizia di reato […], senza ritardo, riferisce al pubblico Ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione. 2. Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. 2-bis. Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell’atto, salvo le disposizioni di legge che prevedono termini particolari. 3. […] Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la documentazione previste dai commi 1 e 2. 4. Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l’ora in cui ha acquisito la notizia”;
  • il referto è, invece, quella segnalazione che un esercente una professione sanitaria (medico, veterinario, infermiere eccetera … anche militare ovviamente!) deve effettuare nel caso in cui abbia prestato la propria “assistenza o opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio” (articolo 365 del codice penale – per approfondire il reato di omesso referto leggi qui!). Il referto deve essere fatto “pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicino”. Per quanto riguarda i contenuti, credo sia sufficiente ricordare che il referto, ai sensi dell’articolo 334 del codice di procedura penale, deve contenere l’indicazione della “persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare […]. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto”;
  • la querela (che, badate bene, non esiste nel diritto penale militare perché tutti i reati sono procedibili d’ufficio!) è, ai sensi dell’articolo 336 [5] del codice di procedura penale, quell’atto mediante il quale un soggetto manifesta la volontà che venga perseguito un reato (procedibile a querela di parte appunto!) di cui è rimasto vittima. Secondo l’articolo 120 del codice penale, il diritto di querela sorge in capo a “ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d’ufficio o dietro richiesta o istanza […]”. Quando dovete presentare una querela ricordatevi che essa deve necessariamente contenere almeno questi due elementi: (1.) la notizia di reato (per approfondire leggi qui!) e (2.) la chiara ed inequivocabile volontà che si preceda penalmente in ordine a tale reato. Detto altrimenti, chi legge la vostra querela (Pubblico Ministero o Polizia giudiziaria che sia) deve capire che è stato commesso un reato ai vostri danni e che volete che venga perseguito il suo autore. Riguardo ai termini per presentare querela, l’articolo 126 del codice penale stabilisce che “il diritto di querela non può essere esercitato, decorsi tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato”, salvo nel caso del reato di violenza sessuale (articoli 609 bis e ter del codice penale) che prevede un termine maggiore per proporre querela pari a 12 mesi (articolo 609 septies del codice penale).

Spero di aver fatto un poco di chiarezza … ora penso che per voi sia sufficientemente semplice comprendere la differenza fondamentale che sussiste tra i:

  • reati procedibili d’ufficio, per i quali la mera segnalazione del reato fatta da chiunque al Pubblico Ministero o alla Polizia Giudiziaria (quindi, sotto forma di denuncia, informativa di PG o referto) è condizione sufficiente affinché il procedimento penale prenda automaticamente il via;
  • reati procedibili a querela di parte per i quali, invece, è necessario che la persona offesa del reato (cioè la vittima e questa soltanto!) manifesti la propria inequivocabile volontà che si proceda penalmente nei confronti dell’autore del reato stesso.

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[1]: art. 331 c.p.p. – Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio:“1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.

[2]: art. 333 c.p.p. – Denuncia da parte di privati:“1. Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia. La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria. 2. La denuncia è presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria; se è presentata per iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale […]”.

[3]: e, per alcuni reati, lo è anche il privato cittadino. Infatti, ai sensi dell’articolo 364 c.p., “il cittadino, che, avendo avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato, per il quale la legge stabilisce l’ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032”.

[4]: art. 55 c.p.p. – Funzioni della Polizia giudiziaria:“1. La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale. 2. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria. 3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria”.

[5]: art. 336 c.p.p. – Querela:“La querela è proposta mediante dichiarazione nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, si manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato”.

IL REATO DI OMISSIONE DI REFERTO

L’art. 365 del codice penale stabilisce che “chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361 [cioè all’Autorità Giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne] è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro”.

Il reato di omissione di referto si perfeziona quindi allorquando un esercente una professione sanitaria (quindi non solo il medico, ma anche il veterinario, il farmacista, l’infermiere eccetera … non importa poi se trattasi di militare o civile!) abbia acquisito, mentre prestava la propria assistenza o opera professionale, una notizia di reato (per approfondire leggi qui!) procedibile d’ufficio e non abbia trasmesso il relativo referto (per approfondire leggi qui!) al Pubblico Ministero o alla Polizia Giudiziaria entro le successive 48 ore [1].

Dato che siete arrivati a legger fino a quì, vi do una priccola informazione in più … ebbene, sappiate che il secondo comma del citato articolo 365 del codice penale prevede una speciale causa di non punibilità per l’esercente la professione sanitaria che scatta “quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.

Penso che non ci sia molto altro da aggiungere … passo quindi la palla al vostro Avvocato di fiducia per farvi dire il resto!

TCGC

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[1]: art. 334 c.p.p. – Referto:“1. Chi ha l’obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicino. 2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare. 3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto”.

LA NOTIZIA DI REATO

La notizia di reato (detta anche “alla latina” notitia criminis) è quell’elemento d’informazione attraverso il quale il Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria vengono a conoscenza del fatto che è stato commesso un reato … essa rappresenta cioè il presupposto dell’attività di indagine! L’articolo 330 del codice di procedura penale stabilisce al riguardo che il “pubblico Ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse […]” da privati cittadini o da persone obbligate a farlo (per approfondire le diverse ipotesi di “segnalazione” leggi qui!) [1], come i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio (per approfondire leggi qui!).

In ossequio al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale previsto all’articolo 112 della Costituzione [2], possiamo dire a grandi linee che il Pubblico Ministero, una volta ricevuta la notizia di reato la iscrive (obbligatoriamente) in un apposito registro che si chiama registro delle notizie di reato [3], dove viene indicato il tipo di reato, il nominativo della persona cui questo è attribuito eccetera (N.B. se avete il dubbio di essere sotto indagine, sappiate che potete chiedere informazioni in merito direttamente in Procura – per approfondire leggi qui!). Ebbene, dal momento in cui avviene tale iscrizione si aprono le indagini preliminari e iniziano quindi a decorrere i relativi termini. Sappiate che i registri delle notizie di reato sono più di uno. Infatti, se la notizia di reato:

  • è a carico di persona nota, questa verrà iscritta nel “registro delle notizie di reato a carico di persone note” (modello 21);
  • è a carico di persona non nota, verrà invece iscritta nel “registro delle notizie di reato a carico di persone ignote” (modello 44);
  • rientra nella competenza del Giudice di pace, l’iscrizione verrà fatta nel “registro delle notizie di reato per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace” (modello 21 bis);
  • proviene da una denuncia anonima, la notizia di reato verrà infine iscritta nel “registro delle notizie anonime di reato” (modello 46),

e così via …

Un’ultimissima cosa prima di concludere: il Pubblico Ministero prende nota anche delle informazioni e delle segnalazioni che gli arrivano anche se non hanno, a suo parere, una immediata rilevanza penale, iscrivendoli nello specifico “registro degli atti che non costituiscono una notizia reato” (modello 45).

TCGC

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[1]: art. 331 c.p.p. – Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio:“1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.

[2]: art. 112 della Costituzione: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.

[3]: art. 335 c.p.p. – Registro delle notizie di reato:“1. Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito. 2. Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l’aggiornamento delle iscrizioni previste dal comma 1 senza procedere a nuove iscrizioni. 3. Ad esclusione dei casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), le iscrizioni previste dai commi 1 e 2 sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta. 3-bis. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il pubblico ministero, nel decidere sulla richiesta, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile. 3-ter. Senza pregiudizio del segreto investigativo, decorsi sei mesi dalla data di presentazione della denuncia, ovvero della querela, la persona offesa dal reato può chiedere di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo”.

IL SEGRETO “ISTRUTTORIO”

L’articolo 329 del codice di procedura penale stabilisce che gli atti di indagine compiuti dal Pubblico Ministero e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dal segreto [1] fino a quando l’imputato non possa averne conoscenza, e comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Il Comandante di Corpo, quando opera in qualità di Ufficiale di Polizia Giudiziaria Militare, può quindi apporre il segreto su eventi di rilievo penale che si sono verificati presso il proprio Ente. La giurisprudenza considera comunque la sola notizia di reato cosa diversa dall’“atto di indagine” a cui viene fatto esplicito riferimento nel citato articolo 329: la notizia di reato, infatti, rappresenta il mero presupposto dell’atto di indagine (da intendersi come atto diretto al reperimento ed alla assicurazione delle fonti di prova) e, conseguentemente, non coincide con esso (per approfondire leggi qui!). Quindi, quando la linea gerarchica chiede al Comandante di corpo elementi di informazione su eventi di natura penale, non si viola normalmente alcun segreto “istruttorio” se ci si limita a ricostruire l’evento come mero riepilogo di cosa sia successo e cioè la condotta, l’evento, il nesso … insomma il fatto nella sua materialità (il cosiddetto “fatto storico”). Tanto detto, la comunicazione amministrativa alla linea gerarchica del mero fatto storico (ad esempio che si è verificato un furto in armeria) non pregiudica in linea di principio le indagini in corso ma consente però di risolvere/gestire altri problemi che possano presentarsi (come, ad esempio, l’individuazione di un armiere “infedele”, il fatto che l’allarme dell’armeria non funzioni, l’opportunità di revocare il NOS al consegnatario dell’armeria, la necessità di sanzionare disciplinarmente l’armiere eccetera) ovverosia di adottare provvedimenti amministrativi che normalmente nulla hanno a che fare con le indagini in corso. Naturalmente, una semplice telefonata preventiva al Pubblico Ministero titolare dell’indagine può fugare ogni dubbio, in modo da evitare il rischio di pregiudicare l’indagine e/o incorrere in una qualche responsabilità penale!

P.S. Ai militari piace moltissimo parlare di segreto “istruttorio” anche se tale termine non è tecnicamente corretto: di segreto “istruttorio” parlava difatti il vecchio codice di procedura penale (del 1930) che è stato abolito nel 1989. Il “nuovo” codice di procedura penale del 1989 parla invece di segreto “investigativo” o “delle indagini preliminari” … e la differenza non è di poco conto:

  • il segreto “istruttorio” (quello previsto fino al 1989 per intenderci), era infatti un segreto molto “rigido” che copriva le informazioni dell’indagine per tutta la durata dell’istruttoria (da qui appunto il termine);
  • il segreto “investigativo” o “delle indagini preliminari” (quello cioè attualmente previsto dal vigente codice di procedura penale) è invece un segreto molto più “elastico” del precedente in quanto decade per gli atti che il Pubblico Ministero porta a conoscenza dell’imputato e, soprattutto, non può durare oltre la chiusura delle indagini preliminari.

TCGC

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[1]:art. 329 c.p.p. – Obbligo del segreto: “Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari […]”.

TI HANNO NOTIFICATO “L’AVVISO DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI”? SAI COSA SIGNIFICA?

Ti è stato appena notificato “l’avviso di conclusione delle indagini”? Beh, ciò significa sostanzialmente che le indagini a tuo carico si sono concluse e che si può finalmente iniziare a giocare “a carte scoperte”: da questo momento in poi, infatti, il tuo avvocato potrà finalmente vedere gli atti del pubblico ministero prendendo conoscenza integrale di cosa sei effettivamente accusato, delle prove che sono state raccolte a tuo carico eccetera. Sappi che quando ti viene notificato l’“avviso di conclusione delle indagini” il pubblico ministero ritiene di aver raccolto prove sufficienti per chiedere (e ottenere!) il tuo rinvio a giudizio, ovverosia di portarti a processo!

Facciamo però un passo indietro … sappi che dalla notifica dell’“avviso di conclusione delle indagini” hai 20 giorni per (articolo 415 bis del codice di procedura penale):

  • presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore”, cioè consegnare al pubblico ministero eventuali documenti in tuo possesso che possano magari riuscire a dimostrare la tua innocenza (o anche solo “mitigare” la tua posizione);
  • presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio”, cioè raccontare la tua versione della storia;
  • chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine”, affinchè, ad esempio, senta un testimone che non ha sentito, acquisire un determinato documento che non è stato acquisito eccetera,

in modo da provare a convincere chi ti sta accusando che le cose sono andate in modo diverso da quello che risulta dalle indagini compiute … per fargli insomma cambiare idea! Se poi riuscirai a convincere il pubblico ministero della tua innocenza, questi chiederà l’archiviazione del procedimento, altrimenti chiederà ugualmente il tuo rinvio a giudizio … ma di questo si occuperà il tuo avvocato, a ognuno il suo mestiere!

Ricordo un vecchio detto che fa più o meno così: “… se pensate che rivolgersi a un Avvocato serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!” … pensateci sopra! Ad maiora!

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TI HANNO APPENA NOTIFICATO UN INVITO A ELEGGERE DOMICILIO E ALLA NOMINA DI UN DIFENSORE DI FIDUCIA? HAI IDEA DI COSA STIA ACCADENDO?

Beh, niente di complicato … ti stanno semplicemente comunicando che sei indagato (non imputato ancora – leggi qui!) e che è quindi il caso di nominare un avvocato di fiducia, anche perché in assenza di una tua nomina ti verrà assegnato un avvocato d’ufficio (che dovrai pagarti, l’avvocato d’ufficio non è infatti gratis! Non commettere l’errore di confonderlo con il gratuito patrocinio, avvocato d’ufficio e gratuito patrocinio sono due cose ben differenti!).

Per prima cosa ti consiglio quindi di contattare subito il tuo avvocato di fiducia! Già fatto? Molto bene! Sappi che nel verbale che ti è appena stato notificato ti è stato chiesto anche di “eleggere domicilio”, ovverosia di scegliere un indirizzo per le successive comunicazioni/notifiche. Secondo me, l’indirizzo da scegliere è quello dove il tuo avvocato di fiducia ha il proprio studio legale, anche perché altrimenti i tuoi vicini di casa inizierebbero a vedere spesso le forze dell’ordine che ti cercano per notificarti atti … e tutti verrebbero quindi a sapere che sei indagato … meglio evitare, vero? Che ne dici? Comunque nessuno stress, sarà il tuo avvocato di fiducia a consigliarti per il meglio!

Tanto premesso, la domanda che ti starai facendo è: di cosa sono accusato? Beh, nel foglio che ti è stato notificato di solito non c’è scritto, ma sappi che il tuo avvocato sa comunque come fare a recuperare tali informazioni (esiste infatti un’apposita istanza da presentare in Procura – leggi qui!) in modo da poter abbozzare “a grandi linee” una prima difesa … in questa fase non si può fare molto di più: le indagini sono infatti segrete e la Procura gioca sostanzialmente a “carte coperte”!

Ricordo un vecchio detto che fa più o meno così: “… se pensate che rivolgersi a un Avvocato serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!” … pensateci sopra! Ad maiora!

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L’ASSUNZIONE DELLA QUALITÀ DI IMPUTATO

Quando si assume esattamente la qualità di imputato in un procedimento penale? E fino a quando di conserva? La domanda non è banale perché potrebbe avere dei risvolti pratici non trascurabili, ad esempio ai fini del mantenimento del nulla osta di sicurezza, della partecipazione ad un concorso eccetera …

Per quanto di interesse sappiate che, ai sensi dell’articolo 60 del codice di procedura penale, “1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a norma dell’articolo 447 comma 1, nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo. 2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta a impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna. 3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e qualora sia disposta la revisione del processo”.

Certo, so benissimo che si parla di “richiesta” di rinvio a giudizio e non di rinvio a giudizio vero e proprio … ciò nonostante, la qualifica di “imputato”, anche se solo formale, comporta comunque molteplici conseguenze che è meglio non sottovalutare.

TCGC

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COME FACCIO A SAPERE SE SONO SOTTO INDAGINE?

State tranquilli… nulla di illegale, anzi! Per sapere se siete sotto indagine basta infatti fare una semplicissima richiesta alla Procura della Repubblica dove pensate che possa essere incardinato il procedimento penale in cui temete di esser rimasti coinvolti. Preciso da subito che la Procura della Repubblica competente a indagare (e quindi a darvi notizie in merito all’eventuale esistenza o meno di indagini a vostro carico) sarà quella del luogo in cui è stato compiuto il presunto reato … mi spiego meglio, se sono stato denunciato dal vicino di casa dei miei genitori a Firenze, dovrò fare richiesta alla Procura di Firenze … è inutile quindi fare richiesta alla Procura di Roma, perché a Roma non sapranno nulla della denuncia che mi è stata fatta a Firenze e la risposta sarà ovviamente negativa!

Il diritto a sapere se si è sottoposti alle indagini è previsto dall’articolo 335 c.p.p. … ma cosa dice esattamente questo articolo del codice di procedura penale? Beh, ci dice sostanzialmente che le iscrizioni nel registro degli indagati, ad eccezione di quelle previste per tutta una serie di reati gravi [1], “sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta [2]”.

Supponiamo quindi che vi venga effettivamente confermato che siete stati denunciati o querelati … di essere insomma sottoposti alle indagini … ebbene, toglietevi subito dalla testa di poter esaminare il vostro fascicolo (questo, infatti, vi verrà eventualmente fatto consultare solo ad indagini concluse), perché a seguito della richiesta ex art. 335 c.p.p. che avete fatto vi verranno comunicate solo informazioni generali tipo il numero del vostro procedimento penale, il reato contestato, il magistrato che se ne occupa eccetera … non molto quindi ma sicuramente quanto basta per andare immediatamente dal vostro Avvocato di fiducia … e “se pensate che rivolgersi a un Avvocato serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!” … rifletteteci sopra!

TCGC

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[1]: che non vengono rese note come, ad esempio, in caso di rapina, associazione mafiosa, strage eccetera …

[2]: fermo restando che se “sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il pubblico ministero, nel decidere sulla richiesta, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile” (articolo 335 c.p.p.).