CHI È CHE REALMENTE DECIDE LA GUERRA IN ITALIA?

Mi è arrivata proprio oggi, 31 dicembre 2021, la bellissima e-mail di un collega che mi ha posto, tra l’altro, una domanda che può ad occhio apparire banale, ma che però vi assicuro banale non è affatto: in Italia chi è che realmente decide la guerra? Se girate tale domanda ad un qualsiasi studente del primo anno di giurisprudenza, sono convinto che otterrete una risposta secca che non lascia alcun dubbio: la guerra la decide il Parlamento che conferisce al Governo i poteri necessari (articolo 76 [1] della Costituzione). Spetterà poi al Presidente della Repubblica il compito di dichiarare lo stato di guerra deliberato dal Parlamento (articolo 87 [2] della Costituzione). È ovvio che il nostro giovane studente risponderebbe in tal senso, con la sicurezza di chi ha studiato … e bene direi! Nel disegno costituzionale non permangono difatti ampi margini di manovra per il Governo, perché la decisione finale è … o meglio, “dovrebbe” essere … nelle mani del Parlamento, punto e basta! L’Assemblea costituente fece difatti una chiara scelta in tal senso anche per riequilibrare, in materia di guerra, i rapporti di forza tra potere legislativo e potere esecutivo, soprattutto perché nel passato erano stati fortemente sbilanciati a favore di quest’ultimo ed avevano “agevolato” l’ingresso dell’Italia sia nella prima che nella seconda guerra mondiale (senza considerare poi la guerra di Spagna e quella d’Etiopia) [3]. Ecco perché la vera domanda a cui dovremmo trovare una risposta è: oggi funziona veramente così? Non dimentichiamo infatti che l’Italia è una Repubblica la cui Carta costituzionale prevede, tra i principi fondamentali (cioè negli articoli iniziali, quelli più importanti per intenderci!), proprio il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (articolo 11 [4] della Costituzione – per approfondire leggi qui!) cosa che, secondo molti studiosi, implica il divieto di prender parte a missioni militari internazionali che non siano giustificate da chiare esigenze di difesa.

Ebbene, anche se non sono un costituzionalista, credo proprio che la realtà giuridica che emerge dalla lettura della Carta costituzionale non corrisponda alla realtà delle cose per come sono oggi … detto altrimenti credo che le Camere (cioè Senato e Camera dei Deputati), almeno in materia di decisioni sulla guerra, non svolgano appieno la funzione assegnatagli dalla Costituzione … funzione che peraltro appare oggi profondamente “svuotata” di sostanza e di significato, quasi che il Parlamento sia diventato un notaio che si limita a ratificare decisioni prese altrove. Senza entrare in complessi discorsi sulla crisi della Repubblica parlamentare o sulla differenza tra costituzione formale e costituzione materiale, è fuori discussione il fatto che gli interventi militari che si sono succeduti negli ultimi anni hanno trovato giustificazione e copertura più nelle risoluzioni e/o decisioni prese nell’ambito di Organismi internazionali [5] che non in esigenze di difesa, come invece dovrebbe essere secondo la Costituzione. Quanto precede anche in considerazione del fatto che, dal punto di vista strettamente militare, le nostre Forze Armate sono state chiamate negli anni ad intervenire in Teatri operativi ad “alta intensità”, dove cioè molte delle operazioni militari condotte si sono rivelate delle vere e proprie operazioni di guerra, nel senso tradizionale del termine.

Non ci resta quindi che prendere atto del fatto che, contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione, in materia di guerra:

  • il centro di gravità si è di fatto spostato dalle Camere (cioè dal Parlamento) all’Esecutivo (cioè al Governo) che ha quindi guadagnato un ruolo di primissimo piano [6];
  • il Parlamento oggi svolge … a cose fatte … una mera attività di indirizzo, esercitata non di rado a distanza di considerevole tempo dall’insorgere dei conflitti, limitandosi spesso solo a convertire i decreti-legge predisposti dal Governo con i quali autorizza lo svolgimento delle missioni militari all’estero e, soprattutto, delibera in merito allo stanziamento delle risorse economiche necessarie allo scopo.

Se siete arrivati a leggere fino a qui, significa che ho sollecitato la vostra curiosità e questa è una cosa più che positiva! Certo, c’è molto altro da dire ma, in considerazione del taglio dato pratico ai post presenti su www.avvocatomilitare.com, credo che sia meglio non appesantire ulteriormente il discorso … non mi resta quindi che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 78 della Costituzione:“Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.

[2]: art. 87 della Costituzione:“Il Presidente della repubblica […] ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”.

[3]: lo Statuto Albertino, ovverosia la Carta costituzionale esistente in Italia sino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (01.01.1948), non prevedeva difatti alcun articolo anche solo lontanamente assimilabile all’art. 78 della Costituzione.

[4]: art. 11 della Costituzione:“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

[5]: a dire il vero nel 1999, in Kosovo, i bombardamenti della NATO (durati più di due mesi!) furono condotti addirittura in assenza di alcuna risoluzione dell’ONU.

[6]: Anche il Codice dell’Ordinamento Militare (Decreto Legislativo n. 66 del 2010 – c.d. COM) sembra confermare l’attuale equilibrio dei poteri. All’art. 10 stabilisce infatti che il Ministro della Difesa “attua le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte all’esame del Consiglio supremo di difesa e approvate dal Parlamento”.

IL RIPUDIO DELLA GUERRA

Gli articoli 10 e 11 della Costituzione rappresentano una chiara presa di posizione del costituente sul tema della guerra. In particolare:

  • l’articolo 10, comma 1, secondo cui: “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” esprime la volontà di apertura alla comunità internazionale, nel senso di prendere l’impegno di conformarsi alle norme – sia scritte sia non scritte – ivi operanti (che, per quanto attiene al problema dei conflitti armati, ha una lunga tradizione di sforzi e tentativi volti a limitarne l’assolutezza);
  • l’articolo 11, nella parte in cui afferma che: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali […]” elimina la guerra dal nostro ordinamento giuridico, ad eccezione di quelle cosiddette difensive.

Dall’esame delle norme suesposte, risulta evidente come la Costituzione non dia alcuno spazio alla guerra, salvo che in casi eccezionali e secondo le modalità “riconosciute” dalla comunità internazionale. Senza addentrarci nella disamina delle diverse concezioni dottrinali che sono arrivate, negli anni, addirittura a negare ogni pratica valenza giuridica alle disposizioni costituzionali di cui sopra, sono molti i motivi per ritenere che il ripudio della guerra rappresenti invece uno dei cardini dell’ordinamento giuridico costituzionale, in quanto integrante un principio di civiltà da cui non si può assolutamente prescindere. I costituenti, infatti, proprio in virtù della sensibilità dimostrata per un fenomeno loro molto vicino (ricordiamoci che la Costituzione venne emanata nel 1948 e, quindi, a pochi anni dalla fine del fascismo e della seconda guerra mondiale), hanno voluto distintamente evidenziare la rottura con le precedenti esperienze politiche che hanno portato l’Italia a prender parte a diverse esperienze militari tra le quali, a prescindere dalla seconda guerra mondiale, degne di menzione sono senza alcun dubbio la guerra d’Etiopia o la guerra di Spagna. Con tale approccio deve quindi essere interpretato l’articolo 11 della Costituzione, soprattutto per quanto attiene:

  • l’utilizzo del termine “ripudiare”, inserito proprio per sottolineare la volontà di prender le distanze dal passato: può essere infatti ripudiato solo ciò che una volta si accettava, si considerava valido o si condivideva;
  • l’esplicito riferimento all’“Italia”, quasi a voler ribadire che il conseguente dovere giuridico è posto a carico di tutto il popolo italiano, di tutta la comunità e non solo di determinate Istituzioni quali, ad esempio, il Parlamento, il Governo o le Forze Armate.

Tanto premesso, ritengo doveroso chiarire subito che la Costituzione non ripudia la guerra in quanto tale, bensì solo allorquando tale fenomeno presenti determinate caratteristiche: chiaro è il riferimento alle guerre internazionali, ovvero quelle che hanno ad oggetto conflitti armati con altri Stati. Restano escluse invece le guerre cosiddette “interne” e, in tale ambito, quelle difensive in quanto condotte per fronteggiare attacchi e aggressioni. Tale circostanza trova conferma nell’articolo 52 della Costituzione che arriva infatti a definire “sacro” il dovere di ogni cittadino di difendere la Patria nonché, a livello internazionale, nell’articolo 51 [1] dello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite [2] che riconosce il diritto naturale degli Stati alla legittima difesa.

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[1]: articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite: “nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.

[2]: firmato a San Francisco il 26 giugno 1945 e ratificato dall’Italia con la legge n. 848 del 1957.

IL MATRIMONIO DEI MILITARI IN TEMPO DI GUERRA: LA PROCURA ALLE NOZZE

Il militare è stato soggetto per secoli a pesanti limitazioni nella propria libertà di contrarre matrimonio. Già in epoca romana, infatti, gli era sostanzialmente vietato sposarsi, al punto che il servizio militare figurava addirittura tra le cause di non validità del vincolo [1]. Senza perdersi nell’approfondimento di come il matrimonio sia stato nei secoli pesantemente inciso dal possesso dello status militare, ritengo utile ricordare che il personale dell’esercito, dalla fondazione del Regio Esercito sino agli anni ’70 del secolo scorso, doveva ottenere un preventivo ed insindacabile assenso delle superiori autorità per potersi sposare [2]. Tale limite [3], che ha convissuto con la Costituzione repubblicana per quasi un quarto di secolo, venne finalmente abrogato solo con la legge n. 908 del 1971, titolata proprio “Abrogazione delle norme sull’assenso e sull’autorizzazione al matrimonio del personale delle forze armate e dei Corpi assimilati”. Ciò nonostante, permasero alcuni indiretti limiti alla libertà di sposarsi, soprattutto in fase di reclutamento: i bandi di concorso hanno infatti continuato per decenni a richiedere che il candidato all’arruolamento dovesse essere celibe, nubile, vedovo/a ovvero senza figli. La Corte costituzionale prese posizione sulla questione verso la fine del secolo scorso [4] in modo chiaro tanto che, con il decreto legislativo n. 236 del 2003, vennero finalmente abrogate tutta una serie di anacronistiche disposizioni che prevedevano ancora “lo stato di celibe o di vedovo quale requisito per il reclutamento ovvero il matrimonio quale causa di proscioglimento dal servizio del personale militare” (articolo 12). In altre parole, anche in ambito matrimoniale erano finalmente riusciti a filtrare nell’ordinamento giuridico militare i valori e i principi della Costituzione, con la conseguente eliminazione di tutti quei condizionamenti che, direttamente o indirettamente, avevano compresso e ridotto per secoli la libertà del cittadino-militare di sposarsi.

Tanto premesso, ci occuperemo ora brevemente di una particolare modalità per contrarre matrimonio che la legge ancora riserva ai militari in tempo di guerra: la procura alle nozze. Come ho già avuto modo di evidenziare in uno specifico post, le persone che si uniscono in matrimonio devono di norma esprimere personalmente il proprio consenso: la regola prevede quindi che ci si sposi di persona e non a mezzo di rappresentanti. Ebbene, l’articolo 111 del codice civile prevede però che: “I militari e le persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate possono, in tempo di guerra, celebrare il matrimonio per procura” e che questa debba essere fatta “nelle forme speciali ad essi consentite”, creando non poche incertezze su cosa si intenda esattamente per “forme speciali” [5]. In considerazione dell’eccezionalità della questione, tale procura ha una validità limitata nel tempo: l’articolo 111 del codice civile prevede infatti che “il matrimonio non può essere celebrato quando sono trascorsi centottanta giorni da quello in cui la procura è stata rilasciata”.

La procura alle nozze non è però un mero e inutile residuo del passato: infatti, essa presenta tutt’ora alcuni profili di attualità, rappresentando uno dei presupposti per l’erogazione della pensione di guerra, peraltro ancora prevista per “coloro che, a causa della guerra, abbiano subito menomazioni nell’integrità fisica o la perdita di un congiunto [6]”. In tal senso, l’articolo 37 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978, statuisce difatti che “ai soli effetti della pensione di guerra, è considerata come vedova la donna che non abbia potuto contrarre matrimonio per la morte del militare o del civile, avvenuta a causa della guerra entro tre mesi dalla data della procura da lui rilasciata per la celebrazione del matrimonio [7]”.

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[1]: in alcuni periodi (quantomeno da Augusto a Settimio Severo e ad esclusione dei gradi più alti) al legionario era vietato sposarsi e, nel caso questi fosse già sposato da civile, con l’arruolamento si scioglieva il matrimonio. I romani erano estremamente pratici e ritenevano infatti che un soldato scapolo fosse più efficiente di uno ammogliato; inoltre, in caso di morte sul campo, lo Stato non doveva farsi carico della famiglia del defunto. Naturalmente la praticità romana riemergeva sempre: infatti, si tolleravano le unioni di fatto che davano origine a vere e proprie famiglie di fatto.

[2]: con stringenti limiti che differivano in base al grado ricoperto, gli anni di servizio prestati.

[3]: la normativa precedente, infatti prevedeva un’età minima o un determinato grado per contrarre matrimonio. Inoltre, l’Ufficiale che avesse voluto sposarsi avrebbe dovuto ottenere l’assenso addirittura del Presidente della Repubblica, mentre i Sottufficiali e i Militari di truppa un’autorizzazione, sulla base di presupposti che variavano in base alla Forza Armata, Arma o Corpo di appartenenza.

[4]: Corte costituzionale, sentenza n. 332 del 12 luglio 2000 (Pres. MIRABELLI – Rel. CONTRI);  Corte costituzionale, sentenza n. 445 del 24 ottobre 2002 (Pres. RUPERTO – Rel. ONIDA).

[5]:al punto che da più parti è stato espresso parere favorevole alla reviviscenza del regio decreto n. 1415 del 1938 “legge di guerra e belligeranza” che dedica:

  • all’esercizio delle funzioni di ufficiale di stato civile l’articolo 112:“Le funzioni di ufficiale di stato civile spettano: 1° nei comandi, corpi, reparti e servizi indicati nel primo comma dell’articolo 109, all’ufficiale di amministrazione o a chi ne fa le veci, e, qualora non vi siano ufficiali specialmente incaricati dell’amministrazione, al rispettivo comandante o a un ufficiale da questo delegato; 2° sulle navi da guerra, sulle navi-ospedale e sulle navi ospedaliere, al commissario di bordo o, se questi manchi o sia impedito, al comandante”;
  • alla procura a contrarre matrimonio civile l’articolo 120:“Gli appartenenti alle forze armate dello Stato e le persone al seguito di queste, che si trovano nella zona delle operazioni, i componenti l’equipaggio delle navi da guerra e i militari comunque imbarcati sulle navi stesse possono contrarre matrimonio civile per procura. La procura a contrarre matrimonio civile è ricevuta, in forma pubblica, da una delle persone investite delle funzioni di ufficiale di stato civile a norma dell’articolo 112 e soltanto per le persone, per le quali esse possono esercitare le funzioni stesse. La procura deve essere speciale, ed è redatta alla presenza di due testimoni aventi i requisiti preveduti dal secondo comma dell’articolo 113, con l’osservanza, per quanto è possibile, delle leggi sull’ordinamento del notariato e sugli archivi notarili. La procura deve, in ogni caso, contenere, oltre quanto è prescritto dal terzo comma dell’articolo 113, l’indicazione del nome e cognome, dell’età e del luogo di nascita di chi rilascia la procura, dell’altro sposo e del mandatario. L’atto di procura a contrarre matrimonio civile è trasmesso, per il tramite del ministero dal q uale dipende l’ufficiale che ha redatto la procura, all’ufficiale di stato civile, che deve celebrare il matrimonio. La nullità della procura per difetti formali di essa non può farsi valere decorsi i tre mesi da quando chi rilascia la procura non si trovi più nella zona delle operazioni, o sia sbarcato in un porto nazionale”.

[6]: articolo 1 del D.P.R. n. 915 del 1978 titolato “Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra”, tutt’ora vigente.

[7]: equiparazione già presente all’articolo 55 della legge n. 648 del 1950 “Riordinamento delle disposizioni sulle pensioni di guerra” e ribadita poi dall’articolo 12 della legge 1240 del 1961“Integrazioni e modificazioni della legislazione sulle pensioni di guerra”.