SIAMO SICURI CHE PER UN MILITARE LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO CON MESSA ALLA PROVA (EX ART. 168 BIS C.P.) SIA SEMPRE UNA SCELTA VINCENTE?

La richiesta di sospensione del procedimento penale con messa alla prova è la scelta giusta da fare per un militare? Beh, dipende … ecco perché tale richiesta deve essere sempre avanzata in modo cosciente ed informato dato che, in alcuni casi, potrebbe addirittura risultare più appropriato difendersi in giudizio puntando all’assoluzione!

Facciamo però un veloce passo indietro e iniziamo a vedere in cosa consista la messa alla prova. Ebbene, in estrema sintesi, l’articolo 168 bis [1] del codice penale prevede al riguardo che “nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo [2] con messa alla prova […]”. Per chi si avvale del beneficio della messa alla prova, questa:

  • comporta “la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato” (articolo 168 bis del codice penale);
  • viene subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità che “consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato” (articolo 168 bis del codice penale);
  • non può essere concessa più di una volta ed è preclusa a delinquenti abituali, professionali e per tendenza (articolo 168 bis del codice penale);
  • qualora si concluda con esito positivo, “estingue il reato per cui si procede” senza però pregiudicare l’eventuale “applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge[3] (articolo 168 ter del codice penale). Ovviamente se la prova da esito negativo, il reato non si estingue affatto ed il procedimento riprende esattamente dal punto in cui era stato sospeso.

Fatta questa doverosa premessa, immaginate di aver superato positivamente la prova, di poter vedere finalmente estinto il reato commesso e, conseguentemente, di esser tornati al lavoro. Fantastico, tutto sommato è stato semplice! Ma non avete dimenticato nulla? Mi spiego meglio: avete considerato i risvolti disciplinari della questione? Avete insomma capito che non è ancora finita? Ebbene sì, anche se il reato è estinto ciò non incide minimamente sui possibili profili disciplinari della vicenda (per approfondire leggi qui!): il vostro Comando dovrà infatti procedere d’ufficio all’esame del giudicato penale (che è un obbligo e non una facoltà – per approfondire leggi qui!). Non è infatti scritto da nessuna parte che i fatti oggetto dell’accertamento penale debbano necessariamente coincidere con quelli oggetto dell’azione disciplinare. L’ho evidenziato in neretto perché troppo spesso tale aspetto viene inspiegabilmente tralasciato … eppure l’esame del giudicato penale è una certezza anche in caso di esito positivo della messa alla prova che, dunque, va richiesta tenendo bene in considerazione il rischio (tutt’altro che trascurabile) che il tutto possa concludersi con l’irrogazione nei vostri confronti di una sanzione disciplinare di stato (per approfondire leggi qui!). Vi consiglio quindi di non avere remore nell’approfondire la questione con il vostro Avvocato di fiducia, sia dal punto di vista penale che (soprattutto) da quello disciplinare … sono convinto che ne beneficerà tutta la vostra strategia difensiva.

Tanto detto non mi resta che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 168 bis del codice penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato:“nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.

La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.

La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.

La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108”.

[2]: art. 464 quater del codice di procedura penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato: “[…] 5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo:

a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;

b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria […]”.

[3]: ciò significa che se, ad esempio, un soggetto viene perseguito per il reato di guida in stato di ebbrezza, anche se la prova si conclude con esito positivo con conseguente estinzione del reato, permangono comunque le sanzioni amministrative della sospensione o revoca della patente.

L’INDENNITÀ DI BUONUSCITA CHE SPETTA AL PERSONALE MILITARE CHE LASCIA IL SERVIZIO È UN TRATTAMENTO DI FINE SERVIZIO (TFS) O UN TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO (TFR)?

Sono giorni che mi viene chiesto con insistenza se a noi militari spetti il Trattamento di Fine Servizio (TFS) o il Trattamento di Fine Rapporto (TFR)? Beh, semplice, a noi militari spetta il l’“Indennità di buonuscita” che è sostanzialmente un TFS! Tale prestazione previdenziale spetta ancora ai dipendenti pubblici assunti prima del 1° gennaio 2000 ed al personale di “diritto pubblico” ovverosia magistrati, diplomatici, personale della carriera prefettizia, professori e ricercatori universitari, nonché militari, personale delle Forze di Polizia e dei Vigili del Fuoco eccetera [1].

Tanto premesso, in cosa il TFS differisce dal TFR e, soprattutto, qual è il trattamento economicamente più vantaggioso? Iniziamo col dire che:

  1. l’articolo 3 del D.P.R. 1032 del 1973 titolato “Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato”, disciplina il Trattamento di Fine Servizio (TFS) nella parte in cui prevede che il militare “che cessi dal servizio per qualunque causa, consegue il diritto alla indennità di buonuscita […]. L’indennità è pari a tanti dodicesimi della base contributiva di cui all’art. 38 [2] quanti sono gli anni di servizio […]. Per la determinazione della base contributiva, ai fini dell’applicazione del comma precedente, si considera l’ultimo stipendio o l’ultima paga o retribuzione integralmente percepiti; la stessa norma vale per gli assegni che concorrono a costituire la base contributiva […]”;
  2. l’articolo 2120 del codice civile (la cui applicazione è stata estesa, a partire dal 1995, a quasi tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, ma non ai militari!), titolato “disciplina del trattamento di fine rapporto”, regola il Trattamento di Fine Rapporto (TFR):“in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni […]” (articolo 2120 del codice civile).

È evidente come il TFS sia molto più vantaggioso del TFR perché:

  • l’importo del TFS si ottiene sostanzialmente moltiplicando 1/12 dell’80% dell’ultima retribuzione annua lorda percepita (si prende quindi in considerazione la retribuzione massima percepita durante l’intera carriera, l’ultima appunto!) per il numero degli anni di servizio;
  • l’importo del TFR, invece, si ottiene grossomodo sommando la quota di retribuzione accantonata per ogni singolo anno lavorato. Se non avete idea di quale sia la quota esatta di retribuzione accantonata e solo per darvi un’idea estremamente approssimativa dell’ammontare, fate così: sommate per ogni singolo anno lavorato la cifra che si ottiene dividendo l’ammontare della retribuzione annua percepita per 13,5 (che è il coefficiente massimo di quota TFR previsto all’articolo 2120 del codice civile).

Permangono ulteriori differenze tra TFS e TFR che non ritengo opportuno approfondire in questa sede come ad esempio, senza alcuna pretesa di completezza, la differente tassazione applicata, il soggetto (o i soggetti) che procede al versamento/accantonamento, la possibilità di poter avere un anticipo prima del collocamento in pensione eccetera … Inoltre, per i militari c’è altro: i militari hanno difatti diritto ad un ulteriore sostegno previdenziale che viene erogato dalla Cassa di Previdenza delle Forze Armate (per approfondire leggi qui!), peraltro da poco aperta anche alla categoria dei Graduati della Forze Armate.

Tutta la questione è ovviamente molto più complicata di come l’ho appena disegnata: ho difatti estremamente semplificato tutto, procedendo “a spanne” con calcoli grossolani, solo per rendermi il più comprensibile possibile ai non addetti ai lavori. Come sempre, vi consiglio di quindi approfondire la materia con il vostro avvocato o commercialista di fiducia, tenendo sempre ben presente in mente che “se pensate poi che rivolgersi a un professionista serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!”

Meglio che mi fermi qui … ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 3 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” – Personale in regime di diritto pubblico: “1. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia […]”.

[2]: “La base contributiva è costituita dall’80 per cento dello stipendio, paga o retribuzione annui [più tutta una serie di indennità] varie, considerati al lordo, di cui alle leggi concernenti il trattamento economico del personale” (articolo 38 del D.P.R. 1032 del 1973).

L’INDEBITAMENTO DEL PERSONALE MILITARE E IL D. LGS. N. 14 DEL 2019 “CODICE DELLA CRISI E DELL’INSOLVENZA”

L’indebitamento è una condizione che purtroppo affligge moltissimi colleghi militari … e questo a prescindere dal grado e dall’anzianità di servizio posseduta. Anche se sono svariate le cause che possono portare a difficoltà finanziarie, a partire dagli stipendi relativamente bassi, dalle spese impreviste, dai problemi familiari, dai divorzi eccetera … sono convinto che ciò che ha portato molti colleghi sulla strada sbagliata sia stato troppo spesso la totale mancanza di educazione finanziaria: alla base del sovraindebitamento c’è, a mio parere, il mancato accesso del militare a risorse e informazioni finanziarie che possano aiutare a prevenire l’indebitamento e gestire in modo “sano” i propri soldi. Pensate ad esempio a tutti i colleghi che, dopo aver mantenuto per molto tempo un tenore di vita alto (non di rado eccessivamente alto!) grazie a quanto meritatamente guadagnato in missione fuori area, siano stati poi facilmente attratti da offerte di credito “facile” o siano addirittura rimasti coinvolti in vere e proprie truffe finanziarie, accumulando debiti diventati nel tempo impossibili da gestire. Trovarsi in situazioni del genere può avere, ovviamente, risvolti estremamente negativi sulla propria vita:

  • privata, con forti tensioni familiari che possono arrivare a determinare, nei casi più gravi, problemi in termini di salute fisica e/o mentale, oltre a far ovviamente allontanare chi ci sta vicino come il coniuge, i figli, i parenti o gli amici;
  • professionale, causando sensibili diminuzioni nel rendimento e/o nell’affidabilità lavorativa, cosa che può mettere in dubbio il mantenimento del proprio incarico, il rilascio/rinnovo del nulla osta di sicurezza (cosiddetto NOS – per approfondire leggi qui!), la partecipazione a missioni internazionali … quando non si arriva addirittura al trasferimento per incompatibilità ambientale.

Ma se si è già in difficoltà finanziaria, se si stanno affrontando seri problemi di debito o se le società di recupero crediti ci stanno letteralmente perseguitando … senza perdere occasione di farci sentire dei “ladri” … cosa possiamo concretamente fare? Beh … qui non c’è una soluzione che valga sempre, perché ogni caso va analizzato a sé e, soprattutto, da parte di chi sa cosa fare! La prima cosa da fare, dato che ci siamo cacciati in questo vicolo cieco da soli, è secondo me quella di iniziare a pensare che dovremmo farci aiutare da qualche professionista del settore, quantomeno per provare ad uscirne, riducendo al massimo il rischio di farci ulteriormente del male: che sia un avvocato, un commercialista o un consulente finanziario non importa, basta solo che si occupi stabilmente della materia, si muova bene nell’ambiente e abbia guadagnato la vostra fiducia. Un professionista del genere potrebbe infatti aiutare, tra l’altro, a:

  • gestire i rapporti con la società di recupero crediti, nel caso ovviamente non siate in grado di pagare;
  • ottenere un “saldo e stralcio, fare cioè in modo che la banca, finanziaria o agenzia di recupero crediti accetti di eliminare – “stralciare” appunto – una parte o l’intero debito in cambio di un pagamento parziale o di un accordo di pagamento concordato [1];
  • contestare gli interessi applicati in presenza di “anomalie”, come in caso di possibile usura bancaria, anatocismo, indeterminatezza eccetera;
  • controllare se il debito si sia prescritto: abbiamo veramente la certezza che quanto richiesto sia legalmente dovuto? Magari potremmo ottenere e far esaminare ad un professionista la documentazione in mano alla banca, alla finanziaria o all’agenzia di recupero crediti;
  • attivare utilmente le procedure pensate per la gestione delle crisi da sovraindebitamento.

Tanto detto, spenderò ora qualche parola in più su quest’ultimo punto, limitandomi ad accennare le procedure specificamente previste per il consumatore, cioè anche per tutti noi militari. Ebbene, sappiate che il D. Lgs. n. 14 del 2019 “Codice della crisi e dell’insolvenza” prevede in caso di crisi da sovraindebitamento, tra l’altro, la sostanziale “liberazione” dai debiti attraverso la procedura di:

  • ristrutturazione dei debiti del consumatore:“[…] il consumatore sovraindebitato, con l’ausilio dell’OCC [Organismo di Composizione della Crisi], può proporre ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti [2] che indichi in modo specifico tempi e modalità per superare la crisi da sovraindebitamento. La proposta ha contenuto libero e può prevedere il soddisfacimento, anche parziale e differenziato, dei crediti in qualsiasi forma” (art. 67 e ss. del D.Lgs. n. 14/2019);
  • liquidazione controllata del sovraindebitato:“[…] il debitore in stato di sovraindebitamento può domandare con ricorso al tribunale competente […] l’apertura di una procedura di liquidazione controllata dei suoi beni” (art. 268 e ss. del D.Lgs. n. 14/2019), ottenendo sostanzialmente la cancellazione totale dei debiti non pagati, attraverso la liquidazione dei propri beni e la distribuzione del ricavato ai creditori;
  • esdebitazione del debitore [3] :“[…] l’esdebitazione consiste nella liberazione dai debiti e comporta la inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura” (art. 278 e ss. del D.Lgs. n. 14/2019).

Certo, ci sono tantissimi aspetti negativi da prendere in considerazione: il problema è cioè molto, ma molto più complesso di come l’ho appena dipinto. Potremmo ad esempio avere enormi difficoltà ad ottenere futuri prestiti o finanziamenti … ma questo è il meno: se si affronta una crisi da sovraindebitamento, secondo me l’importante è uscirne il prima possibile e senza fare stupidaggini. Ho molto semplificato l’argomento solo per far capire ai colleghi meno eruditi (non me ne vogliano i lettori giuristi o economisti, ma questo post non è stato scritto per loro!) che in caso di crisi da sovraindebitamento non è tutto finito, si può anzi ancora provare fare qualcosa per uscirne … basta solo che ci si affidi a dei seri professionisti del settore, credetemi! “Se pensate poi che rivolgersi a un professionista serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!” … pensateci sopra, ad maiora!

TCGC con il supporto dell’intelligenza artificiale

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[1]: in pratica, quando un debitore ha difficoltà a rimborsare l’intero importo del debito, può negoziare con il creditore per ottenere un accordo di saldo e stralcio. Ciò implica che il creditore accetta di cancellare una parte del debito (spesso una percentuale) e considerare il debito come pagato in cambio del pagamento della somma concordata. Questo consente al debitore di liquidare il debito a un importo inferiore rispetto all’importo originale. Ovviamente, beneficiare di un “saldo e stralcio” comporta anche molteplici conseguenze negative per il debitore: può infatti avere un impatto negativo sul relativo profilo creditizio (incontrerà quindi maggiori difficoltà nell’ottenere futuri prestiti o finanziamenti), avere conseguenze fiscali (la parte di debito stralciata potrebbe contribuire a determinare, ad esempio, il reddito per le agevolazioni fiscali) o, eventualmente, anche legali.

[2]: il piano di ristrutturazione può prevedere la riduzione del debito, la dilazione dei pagamenti, l’estinzione del debito in cambio di una cessione di beni o altre forme di pagamento. Ovviamente tale piano deve essere ragionevole e adeguato alla situazione economica del debitore, tenendo conto delle sue esigenze e delle possibilità reali di ripianare i debiti. Una volta approvato il piano di ristrutturazione, il consumatore deve rispettare le condizioni stabilite e versare le rate previste, al fine di rientrare gradualmente nei debiti e riottenere la propria solvibilità finanziaria. La ristrutturazione dei debiti del consumatore rimane comunque una soluzione efficace per superare situazioni di difficoltà economica ed evitare l’insolvenza.

[3]: Per poter ottenere l’esdebitazione, il debitore deve aver tentato di concordare un piano di ristrutturazione dei debiti con i propri creditori, senza successo.

IL GRATUITO PATROCINIO

Il gratuito patrocinio (o patrocinio a spese dello Stato) è il diritto all’assistenza legale gratuita prevista a favore dei non abbienti [1]. Ai sensi dell’articolo 76 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 “può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22 [2]”, cifra soggetta a periodici aggiornamenti e che è stata portata oggi a euro 11.746,68 [3][4]. Ovviamente, se avanzate richiesta di gratuito patrocinio poi non potrere dare l’incarico a qualunque Avvocato: sarete difatti obbligati a sceglierlo da un apposito elenco degli Avvocati iscritti al patrocinio a spese dello Stato [5].

In ambito penale, per favorire le denunce, il comma 4 ter dell’articolo 76 del citato D.P.R. n. 115 del 2002 ha previsto che la persona offesa da alcuni specifici reati particolarmente odiosi come, ad esempio, i maltrattamenti contro familiari (articolo 572 del codice penale), le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (articolo 583 bis del codice penale), la violenza sessuale (articoli 609 bis, quater e octies) o gli atti persecutori (il cosiddetto stalking – articolo 612 bis del codice penale) possa essere ammessa al gratuito patrocinio in deroga ai previsti limiti redditi.

Abbiamo parlato finora di patrocinio a spese dello Stato, ma avete idea a quanto ammontano grossomodo queste spese? Beh, possiamo dire che tali spese corrispondono a grandissime linee a quelle che dovreste sostenere da soli nel caso in cui decideste di far causa e comprendono quindi quantomeno:

  • l’onorario del vostro Avvocato e, se perdete la causa, anche di quello della controparte. Ciò nonostante, tenete a mente che anche se avete vinto la causa il Giudice potrebbe comunque “compensare” le spese (in tal caso ognuno si pagherebbe quindi il proprio Avvocato);
  • costi vari quali quello per il contributo unificato (cioè la tassa prevista per poter iniziare una causa), il compenso per un eventuale consulente tecnico d’ufficio (cosiddetto CTU), eccetera. Peraltro, se i gradi di giudizio sono più di uno (come, ad esempio, Tribunale, Corte di Appello e Corte di Cassazione), tali costi lievitano e le spese potrebbero quindi anche moltiplicarsi.

Vi ho dato le nozioni fondamentali, credo sia meglio fermarmi qui … non mi resta quindi che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 74 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Istituzione del patrocinio:“1. È assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria. 2. È, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate”.

[2]: art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Condizioni per l’ammissione:“1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22. 2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante. 3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva. 4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi. 4-bis. Per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, e per i reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti. 4-ter. La persona offesa dai reati di cui agli articoli 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto. 4-quater. Il minore straniero non accompagnato coinvolto a qualsiasi titolo in un procedimento giurisdizionale ha diritto di essere informato dell’opportunità di nominare un legale di fiducia, anche attraverso il tutore nominato o l’esercente la responsabilità genitoriale ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, e di avvalersi, in base alla normativa vigente, del gratuito patrocinio a spese dello Stato in ogni stato e grado del procedimento. Per l’attuazione delle disposizioni contenute nel presente comma è autorizzata la spesa di 771.470 euro annui a decorrere dall’anno 2017”.

[3]: art. 1 del Decreto del Ministero della Giustizia 23 luglio 2020 (in Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30.01.2021).

[4]: art. 92 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Elevazione dei limiti di reddito per l’ammissione:“1. Se l’interessato all’ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 2, ma i limiti di reddito indicati dall’articolo 76, comma 1, sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi”.

[5]: art. 80 del D.P.R. n. 115 del 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Nomina del difensore:“1. Chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i consigli dell’ordine del distretto di corte di appello nel quale ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo. 2. Se procede la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, le sezioni riunite o le sezioni giurisdizionali centrali presso la Corte dei conti, gli elenchi sono quelli istituiti presso i consigli dell’ordine del distretto di corte di appello del luogo dove ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. 3. Colui che è ammesso al patrocinio può nominare un difensore iscritto negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato scelto anche al di fuori del distretto di cui ai commi 1 e 2”.

QUANDO SI PUÒ FARE A MENO DELL’ASSISTENZA DI UN AVVOCATO?

Che dire … domanda intelligente che merita un adeguato approfondimento. Iniziamo col dire che quando si va in tribunale la difesa tecnica è “quasi” sempre necessaria e obbligatoria [1]. Ciò nonostante, la legge prevede effettivamente diversi casi in cui si può fare a meno dell’Avvocato anche se, a mio parere, sia molto utile farsi almeno “consigliare” sul come comportarsi da chi è in possesso di un solido bagaglio tecnico-giuridico, non altro per aggirare le molteplici insidie processuali che potrebbero farvi “inciampare” e vanificare ogni sforzo. Ebbene, tornando al tema del post, sappiate che per quanto attiene all’attività processuale vera e propria potete stare in giudizio personalmente, senza cioè alcuna assistenza legale, nelle cause davanti:

  • al Giudice di pace di valore inferiore a 1100 euro [2] ovvero in caso di contestazione di multe stradali [3];
  • alle Commissioni tributarie di valore inferiore a 3000 euro [4];
  • al Giudice amministrativo “in materia di accesso e trasparenza amministrativa, in materia elettorale e nei giudizi relativi al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [5].

Preciso che, per quanto attiene al procedimento penale, la difesa tecnica viene sempre considerata dalla legge come rigorosamente necessaria e obbligatoria alla luce delle pesanti conseguenze che tale specifica tipologia di processo può comportare per l’imputato: non troverete quindi nel codice di procedura penale (c.p.p.) alcuna eccezione a tale principio e non sarete conseguentemente mai ammessi a difendervi da soli davanti al Giudice penale!

Tanto premesso, esistono anche molte altre ipotesi di attività legale che, contrariamente a quanto comunemente si crede, possono autonomamente e direttamente essere svolte dall’autore, senza cioè l’assistenza di alcun Avvocato, come in caso di:

  • testamenti: il testamento, soprattutto quello olografo (per approfondire leggi qui!), non necessita difatti dell’intervento di alcun Avvocato. Ciò nonostante, nel caso in cui gli eredi siano molti, fossi in voi, mi farei una chiacchieratina con un legale di fiducia in  modo da evitare di ledere i diritti di alcuno e prevenire quindi eventuali contestazioni/ridurre il rischio di possibili contenziosi;
  • contratti: la redazione di un contratto non necessita per forza dell’intervento di un legale anche se, alla luce della “delicatezza” dei rapporti giuridici che può generare in capo alle parti, sarebbe a mio parere auspicabile rivolgersi ad un Avvocato quantomeno prima di firmare;
  • conciliazioni bancarie e finanziarie: in caso di controversie con istituti di credito, nonché degli altri intermediari in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, ci si può rivolgere ad un arbitro bancario e finanziario, anche senza l’assistenza di un Avvocato;
  • mediazioni in materia di utenze: in caso di controversie in materia di utenze della luce, del telefono o del gas non è necessario l’intervento dell’Avvocato (cosa che invece, badate bene, è prevista per molti altri tipi di mediazione);
  • ricorsi al prefetto in caso di contestazione di multe stradali [6];
  • diffide: per fare una lettera di diffida non serve alcun Avvocato, anche se è intuibile come una diffida redatta su carta intestata di uno studio legale determini un impatto psicologico più incisivo in chi la riceve … venite cioè presi maggiormente sul serio anche in vista di un eventuale contenzioso;
  • lettere di messa in mora (articolo 1219 del codice civile): che dire, si trovano agevolmente su internet format di lettere di messa in mora fatte molto, ma molto bene … ricordatevi però di fare in modo che rimanga traccia dell’invio: speditele cioè per raccomandata con avviso di ricevimento ovvero per posta elettronica certificata (PEC – per approfondire leggi qui!);
  • accesso agli atti amministrativi (articolo 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990): nonostante sia una materia stranota ai più, ancor oggi mi viene spesso chiesto di aiutare qualche collega a fare una semplice richiesta di accesso agli atti. Vi assicuro che non serve un Avvocato per chiedere di visionare o estrarre copia di documenti amministrativi, fermo restando che la rete è satura di format di richieste di accesso (spesso disponibili anche sui siti istituzionali delle Amministrazioni interessate) che vi invito a scaricare, compilare e presentare direttamente al vostro Comando di appartenenza, senza la necessità di alcun legale … credetemi, nulla di più semplice ed economico!

Certo, esistono ulteriori ipotesi in cui è possibile far da sé (come, ad esempio, in caso di sfratto, contestazioni del datore del lavoro davanti all’Ispettorato del lavoro, amministrazione di sostegno eccetera) ma credo sia meglio fermarmi qui: vorrei difatti spendere qualche parola per chiarire un paio di dubbi ricorrenti che riguardano direttamente noi militari:

  • la difesa del militare in ambito disciplinare: in tale specifico ambito non è di norma prevista l’assistenza di alcun Avvocato ma semmai, solo per i procedimenti disciplinari di stato [7] o di corpo per l’irrogazione della consegna di rigore, di un militare difensore (per approfondire leggi qui!). Sebbene il procedimento disciplinare militare (per approfondire leggi qui!) non presenti particolari “criticità”, non è da escludere che il supporto di un legale che conosce il diritto amministrativo possa aiutarvi a rilevare eventuali irregolarità procedurali in modo da escludere o, quantomeno mitigare, la vostra responsabilità disciplinare;
  • il ricorso gerarchico avverso le sanzioni disciplinari di corpo (per approfondire leggi qui!) ovvero avverso la documentazione caratteristica: anche se per la presentazione di un ricorso gerarchico non è necessaria l’assistenza di un Avvocato, non commettete mai l’errore di affidarvi totalmente ai consigli di un collega “praticone”, ma fatevi invece una sana chiacchierata con il vostro legale di fiducia. Peraltro, considerato che nel ricorso al TAR o straordinario al Presidente della Repubblica vengono di solito dichiarati inammissibili i motivi che non siano stati previamente proposti in sede gerarchica, il ricorso gerarchico va scritto bene e da subito … è cioè one shot! Se siete quindi decisi a impugnare una punizione e volete andare fino in fondo, vi consiglio vivamente di farvi aiutare da un Avvocato, anche nella stesura del ricorso gerarchico;
  • l’assistenza in attività stragiudiziale: per attività “stragiudiziale” intendiamo tutti quei casi in cui non c’è (ancora) alcun giudizio da instaurare e non è quindi necessario rivolgersi al giudice. Insomma, il militare può incaricare un Avvocato del libero foro di tutelare i propri diritti e i propri interessi di fronte ai superiori gerarchici e all’Amministrazione della Difesa in generale? Alla luce delle recenti novità giurisprudenziali in materia ho ritenuto di dedicare all’argomento uno specifico post (per approfondire leggi qui!)

Tanto detto non mi resta che salutarvi, ricordandovi sempre che “… se pensate che rivolgersi a un Avvocato serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!”ad maiora!

TCGC

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[1]: infatti, la necessarietà e dell’obbligatorietà della difesa “tecnica” (quella cioè realizzata per il tramite del proprio Avvocato di fiducia che, quindi, è ben diversa dalla c.d. “autodifesa” nella quale ci si difende da sè) è prevista, con le eccezioni che vedremo nel proseguo del post, nel processo civile (art. 82 del codice di procedura civile – c.p.c.), nel processo amministrativo (art. 22 del D. Lgs. 104 del 2010 – codice del processo amministrativo), in quello tributario (art. 12 del D. Lgs. n. 546 del 1992 – codice del processo tributario), in quello contabile (art. 28 del D. Lgs. n. 174 del 2016 – codice della giustizia contabile), nonché nel processo penale (artt. 96 e 97 del codice di procedura penale – c.p.p.)!

[2]: art. 82 del codice di procedura civile – Patrocinio:“Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 1.100 […]”.

[3]: artt. 204 bis del D. Lgs. n. 285 del 1992 “Nuovo codice della strada” e 7 del D. Lgs. n. 150 del 2011 “Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69”.

[4]: art. 12 del D. Lgs. n. 546 del 1992 “Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413” – Difesa tecnica:“Per le controversie di valore fino a tremila euro le parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste […]”.

[5]: art. 23 del D. Lgs.n. 104 del 2010 – codice del processo amministrativo (c.p.a.).

[6]: art. 203 del D. Lgs. n. 285 del 1992 “Nuovo codice della strada”.

[7]: a dire il vero nei procedimenti disciplinari di stato ci si può affidare anche ad un Avvocato: l’art. 1370 del Codice dell’Ordinamento Militare (cosiddetto COM) prevede infatti che:“[…] 3-bis. Nei procedimenti disciplinari di stato il militare inquisito, in aggiunta al difensore […] può farsi assistere, a sue spese, anche da un avvocato del libero foro”.

IL MILITARE PUÒ FARSI ASSISTERE DA UN AVVOCATO NEI RAPPORTI CON I PROPRI SUPERIORI?

Il militare può farsi assistere da un Avvocato in attività stragiudiziale, ovverosia in tutti quei casi in cui non c’è (ancora) alcun giudizio da instaurare e non è quindi necessario rivolgersi al giudice? Insomma, si può incaricare un Avvocato del libero foro di tutelare i propri diritti e i propri interessi di fronte ai superiori gerarchici o all’Amministrazione della Difesa in generale? Beh, che dire … la risposta è sì! Certo, fino al recente passato la cosa era vista molto male al punto che chi dava mandato al proprio Avvocato di interagire direttamente con il proprio Comando veniva spesso sanzionato disciplinarmente, soprattutto per violazione dei doveri attinenti al grado e alle funzioni del proprio stato. Oggi però le cose stanno cambiando ed il Consiglio di Stato, cioè il massimo organo della Giustizia amministrativa (per approfondire leggi qui!), ha recentemente riconosciuto la piena legittimità di tale condotta (cioè non correte più il rischio di esser puniti!) affermando, tra l’altro, che:

  • il diritto di difesa deve poter essere esercitabile anche al di fuori e in via preventiva rispetto al momento dell’azione in sede di giudizio, e quindi anche mediante l’interlocuzione con l’amministrazione, ed essere garantito anche nelle organizzazioni a forte impronta gerarchica, come quelle militari. […] La facoltà di difesa è stata, infatti, esercitata in via formale, mediante il conferimento di apposito mandato a un difensore, ovverosia con una iniziativa seria e ponderata volta a tutelare la posizione lavorativa, per il tramite di un professionista, che ha potuto quindi valutare l’iniziativa anche da un punto di vista tecnico-giuridico e scrivere la nota in questione dopo l’esame della vicenda” (Consiglio di Stato – II Sezione, Sentenza n. 01652 del 7 marzo 2022);
  • in via generale, l’assistenza di un legale in sede di interlocuzione con l’Amministrazione di appartenenza costituisca esercizio di una facoltà legittima, espressione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione e non può considerarsi tale da integrare la violazione dei doveri del militare. Il diritto di difesa, inteso in senso lato, deve poter essere esercitabile anche al di fuori e in via preventiva rispetto al momento dell’azione in sede di giudizio – e anzi può essere volto ad evitare che si arrivi a esiti conflittuali in sede giudiziale – e, quindi, può esplicarsi anche nella fase di interlocuzione con l’amministrazione, dovendo essere garantito anche nelle organizzazioni a forte impronta gerarchica, come quelle militari” (Consiglio di Stato – II Sezione, Sentenza 03361 del 27 aprile 2022).

Fin qui è come la pensano oggi i Giudici amministrativi. Mi rivolgo ora ai colleghi più giovani e lo faccio sulla base dei 30 anni di servizio che porto sulle mie spalle: credete che sia veramente necessario avvalersi di un Avvocato per interloquire con i vostri superiori? È vero, a volte capita di incontrare superiori con cui è particolarmente difficile relazionarsi, ma credete veramente che un Avvocato possa sbloccare la situazione? Sinceramente credo che, nella stragrande maggioranza dei casi, la risposta sia no! Peraltro, a prescindere dal recente riconoscimento dei sindacati militari (per approfondire leggi qui!), il diritto militare prevede diversi strumenti che possono aiutarci a colloquiare direttamente con i nostri superiori come, ad esempio, la richiesta di rapporto gerarchico con qualche superiore più in “alto” (per approfondire leggi qui!), cosa che ho personalmente fatto durante la mia carriera e che … vi assicuro … mi ha dato molta soddisfazione, non solo professionale! Tanto vi dovevo, meditateci sopra …

A questo punto non mi resta che salutarvi, ricordandovi di porre sempre la massima attenzione nei rapporti con colleghi e superiori di grado e, soprattutto, che “… se pensate che rivolgersi a un Avvocato serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!”ad maiora!

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GLI AVVOCATI MILITARI ESISTONO VERAMENTE?

Spesso mi è stato chiesto come si diventi un Avvocato militare. Beh, la risposta è semplice: l’iter da seguire è infatti quello previsto per diventare (un comune) Avvocato … ovverosia laurearsi in giurisprudenza, compiere la pratica forense presso uno studio legale, superare l’esame di abilitazione eccetera … La vera domanda che bisogna porsi è però un’altra: il nostro ordinamento giuridico prevede tale figura professionale? Esistono cioè Avvocati militari propriamente detti? La risposta è no! Certo è che il Ministero della Difesa (e il Ministero dell’Economia e delle Finanze per quanto riguarda la Guardia di Finanza) si avvale di giuristi, consulenti giuridici o legal advisors (Legad come si dice comunemente nell’ambiente), normalmente militari, molto spesso abilitati all’esercizio della professione forense (come sono io per intenderci!), ma non esiste attualmente la figura professionale dell’Avvocato militare. Gli avvocati “in divisa”, previsti da alcuni ordinamenti giuridici stranieri come quello statunitense [1], rimangono per ora solo il soggetto di film e telefilm, quantomeno per il nostro Paese. In Italia, infatti, la rappresentanza e la difesa in giudizio dello Stato (e quindi del Ministero della Difesa per le Forze Armate o del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la Guardia di Finanza) è garantita per legge dall’Avvocatura dello Stato. Questo significa che sebbene esista la Magistratura militare, non è ancora stata istituita la figura professionale dell’Avvocato “militare”.

Passando al rovescio della medaglia … posso però dire, senza rischiare di essere smentito, che esistono Avvocati (ordinari) che si sono “specializzati” – da soli e anche molto molto bene – in diritto militare, nonostante non esista ancora alcuna formale specializzazione [2] in tal senso. Nel corso della mia carriera ho incontrato infatti eccellenti Avvocati che hanno maturato una profonda conoscenza del diritto militare e dei complicati meccanismi che regolano l’Organizzazione militare, a prescindere dal fatto di aver mai indossato l’uniforme: c’è infatti chi è diventato un vero esperto in diritto amministrativo militare o in pensioni militari, c’è chi ha concentrato le proprie energie sul diritto penale militare, chi tratta esclusivamente cause di riconoscimento dello status di vittima del dovere o del terrorismo … insomma, chi più ne ha più ne metta … basta solo trovare l’Avvocato (militare) che faccia al caso vostro! Prima di concludere, permettetemi una piccola divagazione sul tema … ponete sempre la massima attenzione agli Avvocati che si professano “cultori” del diritto militare, perché troppo spesso non lo sono affatto! Abbiate cura di scegliere bene il professionista a cui vi affidate, soprattutto perché è costantemente in crescita il numero di sedicenti Avvocati “militari” (a volte non hanno nemmeno superato l’esame di abilitazione!) che mettono letteralmente nei guai colleghi, soprattutto i più giovani e inesperti! Solo per farvi capire di cosa stiamo parlando e di quanto tutto sia “ingarbugliato, immaginate che se ad esempio vi fate male in servizio e volete chiamare in giudizio l’Amministrazione della Difesa, il vostro Avvocato dovrà farlo innanzi alla Corte dei Conti (se chiedete la pensione privilegiata), al Tribunale Amministrativo Regionale (se chiedete l’equo indennizzo), al Tribunale del Lavoro (se chiedete ad esempio il riconoscimento dei benefici di “vittima del dovere”), nuovamente al Tribunale Amministrativo Regionale se chiedete un classico risarcimento … ma questo solo se siete ancora in vita … altrimenti (sentitevi autorizzati a fare i dovuti scongiuri!!!) i vostri eredi dovranno rivolgersi (jure proprio) al Tribunale ordinario … e così via … si naviga a vista e bisogna quindi saper molto bene in che direzione andare!

Penso sia ora più semplice capire perchè prima di firmare una procura, un contratto di consulenza o qualsiasi altro documento, dovete informarvi bene su quale sia il reale ambito di attività del professionista da cui state per farvi assistere, chiedete a colleghi, conoscenti oppure informatevi su internet [3]. Siate sinceri, andreste mai da un cardiologo per farvi operare a un ginocchio? In fin dei conti sono entrambi medici, ma io credo comunque di no! Beh, in ambito legale funziona più o meno allo stesso modo, quindi la parola d’ordine è una sola: massima ATTENZIONE e mai abbassare la guardia! Ricordo un vecchio detto che fa più o meno così: “… se pensate che rivolgersi a un Avvocato serio costi troppi soldi, non avete idea di quanto potrebbe costarvi caro farvi assistere da quello sbagliato!” … pensateci sopra! Ad maiora!

TCGC

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[1]: il JAG, acronimo di Judge Advocate General’s Corps nonché titolo ad una nota serie TV statunitense, indica infatti la specifica branca giuridico-legale presente in tutte le Forze Armate USA cui è devoluta l’amministrazione della giustizia militare.

[2]: l’art. 9 della legge n.  247 del 2012 “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” ha infatti previsto l’istituzione del titolo di Avvocato “specialista”, indicando alcune aree di specializzazione tra le quali non figura quella del diritto militare, soprattutto in considerazione del carattere trasversale e multidisciplinare che caratterizza tale disciplina.

[3]: ricordate che è possibile acquisire informazioni su un Avvocato direttamente on line collegandosi al sito dell’Ordine degli Avvocati dove questi è iscritto (es. Roma, Milano, Torino, Latina eccetera) ovvero accedendo all’Albo telematico nazionale del Consiglio Nazionale Forense (clicca qui!). In tal modo potrete sapere se l’Avvocato da cui vorreste farvi assistere è effettivamente iscritto all’Ordine, se è un Cassazionista o meno, se si è abilitato in Italia eccetera.