Il particolare trattamento giuridico riservato ai militari è una evidenza vecchia quanto il mondo o, se non altro, da quando sono nati gli eserciti professionali. Nel corso dei secoli, infatti, si è tentato per diverse ragioni di “isolare” il cittadino in armi dal resto della società, formando dell’esercito una “casta” che potesse trarre la propria forza dallo spirito di corpo, in modo da poter garantire quell’efficienza cui deve naturalmente tendere lo strumento militare. Oggi come ieri, le Forze Armate sono quindi caratterizzate dal fatto di avere un proprio ordinamento giuridico che le regola dall’interno (definendo i rapporti tra i singoli militari, nonché tra questi e l’Amministrazione della Difesa), ne disciplina i rapporti con l’esterno (cioè con il mondo “civile”) e, ovviamente, qualifica e definisce il particolare status [1] posseduto dai suoi appartenenti [2]. Tale approccio, che oggi è espressione di una chiara presa di posizione del legislatore (cioè del Parlamento [3]), ha origini molto antiche che risalgono addirittura alla tradizione dell’esercito romano [4] [5]: l’esercito cittadino tipico della repubblica – o successivo del principatus – aveva infatti già elaborato buona parte di quel patrimonio etico-militare che, con tutte le differenze del caso, ha plasmato l’attuale realtà giuridica militare [6]. L’esercizio della professione militare rappresenta quindi, anche oggi, il presupposto per un regolamento giuridico “speciale” dell’interessi in gioco che, nel rispetto della Costituzione e del principio di legalità [7], trova giustificazione nel perseguimento del supremo interesse pubblico di difesa della Patria, attraverso la:
- rapidità di azione, che deve necessariamente contraddistinguere lo strumento militare;
- necessaria “snellezza” e “fluidità” che ne qualifica taluni specifici strumenti giuridici;
- connotazione gerarchica che ne caratterizza l’organizzazione [8].
Da quanto precede, appare evidente come la “specialità” militare non rappresenta un privilegio, quanto la diretta espressione di esigenze di carattere essenzialmente pratico e funzionale, direttamente connesse al perseguimento dei fini istituzionali. Il privilegio [9] infatti, è ben altra cosa, cioè una situazione di vantaggio che la legge assicura a uno (o a pochi soggetti), a prescindere dal perseguimento di fini ulteriori [10].
A partire dal 1948, con l’emanazione della Carta costituzionale, hanno poi iniziato a confluire nel diritto militare i principi e i valori di cui essa è portatrice. La Costituzione repubblicana ha cioè ha “avvicinato” la condizione del militare a quella del comune cittadino, definendo (grazie soprattutto ai numerosi interventi della Corte costituzionale) l’ambito entro il quale (e con quali modalità) i singoli diritti costituzionali possano essere esercitati anche da chi serve la Patria “in armi” [11]. Il diritto “speciale” dei militari non può infatti essere avulso dal sistema generale delineato dalla Costituzione, perché il militare è un cittadino e l’organizzazione militare, con tutte le particolarità del caso, è un’articolazione dello Stato, all’interno del quale deve pertanto trovare una giusta e armoniosa collocazione. Ciò nonostante, molti interpreti continuano a dimostrarsi propensi ad una visione “tradizionalista” e superata della questione, soprattutto perché inclini a prediligere canoni interpretativi di matrice prettamente penalistica e amministrativa (soprattutto disciplinare) che poco hanno a che vedere con l’attuale lettura “costituzionalistica” che deve necessariamente essere data all’ordinamento giuridico militare. Il fenomeno giuridico militare non significa oggi solo efficienza e coesione interna da perseguirsi con il rigore e la disciplina o, quantomeno, non può più significare in assoluto solo questo. L’articolo 52, comma 3, della Costituzione, stabilendo che “l’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, evidenzia chiaramente che ci sono altri elementi da prendere in considerazione. In caso contrario, si correrebbe seriamente il rischio di non prestare la dovuta attenzione a quegli strumenti giuridici che permettono di affrontare – con successo – le nuove sfide cui sono oggi chiamate le Forze Armate che vanno dalle missioni internazionali di pace o quelle a supporto delle Forze dell’ordine, ai più recenti scenari di guerra e pace cibernetica. Risulta evidente come si stia facendo riferimento a moderne realtà in cui si fondono i tradizionali concetti di difesa esterna e interna, rendendo molto fluido ed evanescente il confine tra le operazioni propriamente militari e quelle di mantenimento dell’ordine pubblico [12], in passato prerogativa delle sole Forze di polizia.
Quando parliamo di ordinamento giuridico militare, è intuitivo cogliere che questo sia un ordinamento di settore di cui fanno parte le norme che regolano il funzionamento e l’organizzazione delle Forze Armate. L’evanescenza, la frammentarietà e la disorganicità che lo contraddistinguono, rendono però molto complicato entrare nel merito delle singole questioni. Lo stesso Codice dell’ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010 – c.d. COM) o il Testo Unico regolamentare sull’ordinamento militare (decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 – c.d. TUOM), pur avendo efficacemente iniziato ad “ordinare” la materia, troppo spesso non brillano per chiarezza, coerenza ed omogeneità [13]. Ciò nonostante, parlare di status militare non significa fare riferimento a qualcosa di etereo o di astratto, in altre parole, a concetti che attengono solo all’etica o alla morale: pensateci bene, lo status militis, comporta infatti anche precise e concrete implicazioni giuridiche che assoggettano il cittadino-militare ad una peculiare condizione giuridica, dalle importanti conseguenze pratiche come il possibile sacrificio taluni diritti costituzionali, nell’ambito della quale concetti quali autorità, obbedienza, spirito di corpo e sacrificio assumono comunque significati spesso incomprensibili per il resto della società “civile”.
TCGC
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[1]: particolare posizione del soggetto nell’ambito della società e che rileva come presupposto di specifici diritti e doveri.
[2]: il diritto militare è tecnicamente un diritto singolare (jus singulare, per dirla in termini latini) poiché presenta caratteri di eccezione, in quanto finalizzato al perseguimento di scopi particolari, e che va considerato “a parte” rispetto a al diritto che generalmente viene applicato a tutti i consociati (il cosiddetto jus commune). Pensate che in epoca romana, i militari arrivarono ad essere destinatari di un particolarissimo trattamento “speciale”: in alcuni periodi venne infatti stabilito che a loro non si applicasse il noto principio ignorantia juris non excusat ovverosia “la legge non ammette ignoranza”; vuoi per la loro semplicità (= simplicitas, da intendersi come completa assenza di qualsivoglia formazione giuridica), vuoi per la durezza della vita di guarnigione (= severitas castrorum), per loro la legge ammetteva quindi ignoranza!
[3]: la Costituzione, all’articolo 52 utilizza volutamente il termine “Forze Armate” in modo generico. Così facendo, lascia al Parlamento il compito di individuare quali Istituzioni ne facciano parte e, per tanto, siano assoggettate all’ordinamento militare. Per quanto attiene alla Polizia di Stato (almeno dall’entrata in vigore della legge n. 121 del 1981 che ne ha decretato la smilitarizzazione), ad esempio, chiara è stata la scelta politica del Legislatore di escluderla dall’applicazione della legge militare, garantendo conseguentemente ai relativi appartenenti un più completo esercizio dei diritti che la Costituzione riconosce.
[4]: nell’ambito dell’esercito arcaico, infatti, era impensabile una qualsivoglia regolamentazione militare, atteso che la prestazione militare era spontaneamente effettuata da gruppi interni alla comunità (spesso più simili a bande che a formazioni regolari) e da tali gruppi regolata in relazione agli interessi di volta in volta in gioco. Ciò nonostante, anche se il servizio militare veniva svolto per una sola campagna di guerra, la separazione dal mondo “civile” era molto evidente: il semplice fatto che l’arruolamento avvenisse al Campo Marzio, area esterna alle antiche mura di Roma dedicata al dio Marte (più o meno dove oggi di trova il Pantheon), simboleggia egregiamente l’abbandono dello status di cives e l’acquisto di quello di miles.
[5]: la stessa spiritualità che permea oggi l’etica militare con il culto dei Santi protettori, trae spunto dalla stessa tradizione dell’esercito romano: pensate che, a prescindere di vari dei adorati, nel II secolo dopo Cristo lo stesso spirito della “disciplina militare” divenne oggetto di culto tra i legionari, sulla base delle parole e delle formule che, una volta arruolati, si pronunciavano solennemente in occasione del giuramento (il c.d. sacramentum).
[6]: alcuni commentatori hanno però evidenziato l’inconciliabilità di tale approccio con le moderne esperienze militari “di popolo” come, ad esempio, quella della rivoluzione francese o, per rimanere nell’esperienza italiana, dell’esercito di leva repubblicano. In tale contesto, è però innegabile che sia la disciplina di un esercito professionale, sia l’autodisciplina (c.d. disciplina consapevole) caratteristica di un esercito di popolo non possano comunque prescindere da una legislazione “speciale”.
[7]: principio fondamentale secondo il quale ogni articolazione dello Stato, e quindi anche le Forze Armate, devono agire nel rispetto della legge.
[8]: la situazione si complica se si considera poi che alcune disposizioni trovano applicazione in considerazione dello stato di belligeranza o meno, mentre altre prescindono invece dallo stato di pace o di guerra in cui si trova la Nazione.
[9]: tutto appare più chiaro se si considera l’etimologia della parola: privilegio deriva infatti dal latino privilegium, (composto di privus = solo, singolo e ligium che ha la stessa radice di lex, legis = legge) che significa legge fatta per il singolo, cioè disposizione che riguarda un singolo soggetto.
[10]: e che, come acutamente rilevato da alcuni commentatori, è generalmente priva dei caratteri di “generalità” e “astrattezza” che contraddistinguono invece le norme giuridiche che compongono l’ordinamento giuridico militare. Non dimentichiamo, infatti, che la generalità e l’astrattezza sono le caratteristiche fondamentali di ogni norma giuridica che, infatti, è:
- generale, poiché rivolta ad una serie indefinita di soggetti;
- astratta, in quanto non prende in considerazione un fatto concreto ma una serie ipotetica di fatti (astratti).
Per chiarire il concetto pensiamo a una sentenza (che non è né generale né, soprattutto, astratta) nella quale il giudice ha di fronte due soggetti e che gli hanno chiesto di regolare un conflitto tra loro. Come fa? Prende la norma da applicare al caso, gli toglie il requisito della generalità (la applica infatti a soggetti ben definiti, ovverosia alle parti del processo) e dell’astrattezza (prende in considerazione un fatto realmente accaduto, cioè concreto, e non astratto) e sentenzia chi ha ragione e chi torto.
[11]: non dimentichiamo che il principio di uguaglianza sancito l’articolo 3 della Costituzione ha come logico corollario il fatto che situazioni diverse debbano necessariamente essere disciplinate in modo diverso. Tale evidenza, per quanto attiene quantomeno alla condizione militare, deve essere però sempre trovare ragione nella tutela di un bene superiore qual è, ad esempio, l’interesse pubblico alla sicurezza dello Stato e della collettività.
[12]: chiara conseguenza di questa evoluzione delle attività militari risiede nel fatto che le Forze Armate utilizzano strumenti giuridici differenti in relazione alle missioni via via svolte. Mi spiego meglio, se nelle operazioni militari tradizionali esse possono legalmente utilizzare la propria forza fino ad arrivare al legittimo annientamento fisico del nemico (peraltro, senza grossi problemi), nelle operazioni diverse dalla guerra (ora diventate la normalità per i reparti operativi) l’uso della forza è minuziosamente predeterminato e limitato dalle cosiddette regole d’ingaggio, stabilite volta per volta in relazione al compito assegnato.
[13]: ricordiamoci che sia nel COM che nel TUOM sono confluite una miriade di fonti differenti, cioè leggi e regolamenti emanati negli anni da organi differenti, in diversi periodi storici, e quindi assolutamente non coordinati tra loro.