Iniziamo subito col dire che la risposta è si! La normativa sul cosiddetto whistleblowing si applica anche al personale militare, quantomeno dal 2017, ovverosia dall’entrata in vigore della legge n. 179 del 2017 che ha modificato l’articolo 54 bis del Decreto Legislativo n. 165 del 2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, rendendone i contenuti direttamente applicabili anche al personale in regime di diritto pubblico [1] e cioè – per quanto ci interessa direttamente – anche ai militari. Tanto detto, avete idea di quali tutele la legge offra oggi al dipendente che segnali condotte illecite di cui è venuto a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni? No? Credo allora che sia il caso che diate quantomeno una sbirciatina all’articolo 54 bis del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Ebbene sappiate che tale articolo prevede, tra l’altro, che:

  • il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza […] ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L’adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all’ANAC dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L’ANAC informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza”;
  • ai fini del presente articolo, per dipendente pubblico si intende il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all’articolo 3 [cioè, come abbiamo già evidenziato all’inizio del post, il dipendente pubblico in regime di diritto pubblico, ivi inclusi quindi i militari!], il dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico […]. La disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica”;
  • l’identità del segnalante non può essere rivelata. Nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale [per approfondire leggi qui!]. Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell’ambito del procedimento disciplinare l’identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità”;
  • la segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”;
  • è a carico dell’amministrazione pubblica o dell’ente di cui al comma 2 dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa”;
  • gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente sono nulli. 8. Il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione è reintegrato nel posto di lavoro […]”.

Ovviamente, prosegue l’articolo 54 bis del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, “le tutele di cui al presente articolo non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave”.

Una precisazione prima di concludere … per poter accedere alle tutele previste per il whistleblower è necessario che la segnalazione venga effettuata nel modo corretto! La segnalazione, infatti, deve quantomeno:

  • aver ad oggetto eventi o fatti di cui il dipendente sia venuto a conoscenza (anche casualmente) in occasione dello svolgimento delle proprie mansioni lavorative;
  • basarsi su elementi oggettivi e non su mere dicerie, voci o semplici sospetti come purtroppo spesso accade;
  • essere indirizzata a chi è competente a trattarla, normalmente il “Responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza”, figura presente in ogni Ministero e quindi anche presso il Ministero della Difesa. Per sapere chi svolge tale incarico consultate on line il “Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza” (RPCT) del Ministero della Difesa (ci troverete peraltro anche degli utili moduli di segnalazione!).

In passato è infatti accaduto più volte che alcuni giudici, preso atto del fatto che la segnalazione non fosse stata redatta nel modo giusto oppure inviata a chi non era competente a trattarla, non abbiano accordato al whistleblower le tutele previste dall’articolo 54 bis del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, soprattutto per quanto attiene la sottrazione all’accesso documentale, obbligando la Pubblica Amministrazione a esibire la segnalazione ricevuta e, quindi, a rendere conseguentemente noto il nominativo del whistleblower.

Ad maiora!

TCGC

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[1]: articolo 3 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – Personale in regime di diritto pubblico:“1. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché’ i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n.691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n.281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n.287. 1-bis. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 novembre 2000, n. 362, e il personale volontario di leva, è disciplinato in regime di diritto pubblico secondo autonome disposizioni ordinamentali. 1-ter. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è disciplinato dal rispettivo ordinamento. 2. Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato, resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n.168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei principi di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992. n. 421”.