Chiariamo subito che le mine antiuomo in Italia sono vietate, anzi vietatissime! … ivi incluse quelle anticarro con dispositivi “anti-manipolazione[1]. La legge n. 374 del 1997 “Norme per la messa al bando delle mine antipersona” è infatti molto chiara sull’argomento, statuendo inequivocabilmente che “è vietato l’uso a qualsiasi titolo di ogni tipo di mina antipersona [2], fatto salvo l’utilizzo a fini esclusivi di addestramento per operazioni di sminamento e di ricerca di nuove tecnologie a scopo di sminamento e di distruzione delle mine”.

Tanto premesso, come si è arrivati all’approvazione della legge n. 374 del 1997 Norme per la messa al bando delle mine antipersona”? Beh, tale legge non nasce ovviamente dal nulla ma rappresenta il punto di arrivo di una lenta e difficile evoluzione del diritto internazionale dovuta alla crescente consapevolezza che lo sviluppo delle modalità di condurre le operazioni belliche necessitasse del parallelo sviluppo delle norme che ne regolano la condotta: l’dea di fondo era quella di provare a limitare, se non addirittura vietare del tutto, la presenza sul campo di battaglia di dispositivi che, come le mine antiuomo, sono in grado di causare sofferenze inutili, indiscriminate e assolutamente sproporzionate sia alle forze militari combattenti sia, soprattutto, alla popolazione civile.

Tale presa di coscienza, che affonda le proprie radici all’inizio del secolo scorso, ha sicuramente ispirato le Convenzioni di Ginevra del 1949, i relativi Protocolli aggiuntivi del 1977, il II Protocollo “sul divieto o la limitazione dell’impiego di mine, trappole ed altri dispositivi” della “Convenzione delle Nazioni Unite su certe armi convenzionali” (Ginevra, 1980) e, soprattutto, la “Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione” (approvata nel 1997 ad Ottawa e alla quale l’Italia ha aderito nel successivo 1999).

Quest’ultima Convenzione, conosciuta anche come “Trattato di Ottawa”, è infatti intimamente permeata dai decenni di profonda riflessione umanitaria che l’hanno preceduta, soprattutto ad opera della “Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo”, la cui promotrice Jody Williams è stata addirittura insignita del premio Nobel per la pace nel 1997.

E con le mine antiuomo già presenti negli arsenali, come la mettiamo? Beh, anche in questo caso la legge è molto chiara: vanno distrutte, ad eccezione di una piccola quantità che può esser conservata per l’addestramento del personale addetto allo “sminamento”. L’articolo 22 del Decreto legislativo n. 66 del 2010Codice dell’ordinamento militare(cosiddetto COM) stabilisce infatti che il Ministero della Difesa deve distruggere:

  • l’arsenale di mine antipersona in dotazione o stoccaggio presso le Forze armate, fatta eccezione per una quantità limitata e comunque non superiore alle ottomila unità e rinnovabile tramite importazione fino a una quantità non superiore al numero sopra indicato, in deroga a quanto disposto dall’articolo 1, comma 2 della legge 29 ottobre 1997, n. 374, destinata esclusivamente all’addestramento in operazioni di sminamento e alla ricerca di nuove tecnologie a scopo di sminamento e di distruzione delle mine;
  • le mine antipersona consegnate dalle aziende produttrici e dagli altri detentori, ai sensi dell’articolo 3 della legge 29 ottobre 1997, n. 374”.

Ad maiora!

TCGC

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[1]: che, al contrario delle mine antipersona, non sono ancora vietate dai Trattati e dalle Convenzioni internazionali.

[2]: l’art. 2 della legge n. 374 del 1997 definisce la mina antipersona come “ogni dispositivo od ordigno dislocabile sopra, sotto, all’interno o accanto ad una qualsiasi superficie e congegnato o adattabile mediante specifiche predisposizioni in modo tale da esplodere, causare un’esplosione o rilasciare sostanze incapacitanti come conseguenza della presenza, della prossimità o del contatto di una persona”.