La domanda non è banale e merita un approfondimento, sopratutto alla luce dei numerosi dubbi interpretativi che ha sempre alimentato … Ebbene, l’articolo 98, comma 3, della Costituzione stabilisce che “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per magistrati, militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”. Il Parlamento non ha però mai legiferato in materia e, conseguentemente, allo stato attuale nessuna legge vieta l’iscrizione del militare ad un partito politico … e la legge è l’unico strumento individuato dalla Costituzione per regolare tale delicatissima materia (c.d. riserva di legge [1]). Il diritto di iscriversi ad un partito politico è quindi un diritto liberamente esercitabile da parte del singolo [2] militare e, in linea di principio, pienamente compatibile con i valori e i principi dell’ordinamento giuridico militare. Ciò che invece, nella pratica, di solito “stride” con il possesso dello status militare sono, come sempre, tutte quelle modalità di esercizio di libertà politiche che contrastano con i valori e i principi dell’ordinamento giuridico militare. Queste vengono ben riepilogate dal combinato disposto degli articoli 1483, comma 2, e 1350, comma 2, del codice dell’ordinamento militare ovvero “[…] partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative” (articolo 1483 del Codice dell’ordinamento militare – cosiddetto COM) da parte di “ […] militari che si trovino in una delle seguenti condizioni: a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l’uniforme; d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali […]” (articolo 1350 COM).
In definitiva, come peraltro recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, “il singolo militare può sì iscriversi ad un partito e, anche in tale qualità, esercitare il proprio diritto di elettorato passivo, ma non può mai assumere, nell’ambito di una formazione partitica, alcuna carica statutaria neppure di carattere onorario, a tutela indiretta ma necessaria del principio di neutralità “politica” delle Forze Armate: tale principio, infatti, sarebbe inevitabilmente leso ove un militare, lungi dal limitarsi ad aderire, mediante la propria iscrizione, alle coordinate valoriali di una formazione politica o dal rappresentare in prima persona i cittadini in assemblee elettive, contribuisse personalmente, direttamente e, per così dire, istituzionalmente, in forza di una formale qualifica statutaria, a plasmare ab interno la linea politica di formazioni di massa ed intrinsecamente di parte quali sono gli odierni partiti politici” (Consiglio di Stato, IV Sezione, sentenza 5845/2017).
TCGC
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[1]: le parole dell’articolo 98 della Costituzione “… si possono stabilire con legge …” stanno a significare proprio questo: le eventuali limitazioni al diritto di iscriversi ad un partito politico devono essere adottate con legge, che rimane una prerogativa del Parlamento.
[2]: il riferimento al singolo militare non è casuale: si sono infatti verificati casi in cui sono stati adottati provvedimenti disciplinari nei confronti di militari che si sono iscritti a partiti politici sulla base del fatto che “le Forze armate devono in ogni circostanza mantenersi al di fuori dalle competizioni politiche” (articolo 1483 del codice dell’ordinamento militare). La ricostruzione fornita dall’Amministrazione militare a supporto dell’asserita esistenza di un divieto per il militare di iscrizione ai partiti politici si incentrava su un’interpretazione che ravvisava del citato articolo 1483 COM “un generalizzato divieto anche per i singoli appartenenti alle Forze Armate di partecipare alle “competizioni politiche” e, dunque, di iscriversi a partiti”(Consiglio di Stato, IV Sezione, sentenza 5845/2017). Tale approccio è stato però sconfessato dal Consiglio di Stato “proprio in quanto la disposizione [l’art. 1483 COM] non menziona in alcun modo il singolo militare né, tanto meno, ne perimetra in senso riduttivo la libertà, costituzionalmente presidiata, di associazione a fini politici”. Quindi “la mera iscrizione di un appartenente alle Forze Armate ad un partito politico costituisce, allo stato attuale della legislazione, un comportamento ab imis lecito che in nessun caso può essere stigmatizzato dall’Amministrazione militare” (Consiglio di Stato, IV Sezione, sentenza 5845/2017).