Il militare è stato soggetto per secoli a pesanti limitazioni nella propria libertà di contrarre matrimonio. Già in epoca romana, infatti, gli era sostanzialmente vietato sposarsi, al punto che il servizio militare figurava addirittura tra le cause di non validità del vincolo [1]. Senza perdersi nell’approfondimento di come il matrimonio sia stato nei secoli pesantemente inciso dal possesso dello status militare, ritengo utile ricordare che il personale dell’esercito, dalla fondazione del Regio Esercito sino agli anni ’70 del secolo scorso, doveva ottenere un preventivo ed insindacabile assenso delle superiori autorità per potersi sposare [2]. Tale limite [3], che ha convissuto con la Costituzione repubblicana per quasi un quarto di secolo, venne finalmente abrogato solo con la legge n. 908 del 1971, titolata proprio “Abrogazione delle norme sull’assenso e sull’autorizzazione al matrimonio del personale delle forze armate e dei Corpi assimilati”. Ciò nonostante, permasero alcuni indiretti limiti alla libertà di sposarsi, soprattutto in fase di reclutamento: i bandi di concorso hanno infatti continuato per decenni a richiedere che il candidato all’arruolamento dovesse essere celibe, nubile, vedovo/a ovvero senza figli. La Corte costituzionale prese posizione sulla questione verso la fine del secolo scorso [4] in modo chiaro tanto che, con il decreto legislativo n. 236 del 2003, vennero finalmente abrogate tutta una serie di anacronistiche disposizioni che prevedevano ancora “lo stato di celibe o di vedovo quale requisito per il reclutamento ovvero il matrimonio quale causa di proscioglimento dal servizio del personale militare” (articolo 12). In altre parole, anche in ambito matrimoniale erano finalmente riusciti a filtrare nell’ordinamento giuridico militare i valori e i principi della Costituzione, con la conseguente eliminazione di tutti quei condizionamenti che, direttamente o indirettamente, avevano compresso e ridotto per secoli la libertà del cittadino-militare di sposarsi.

Tanto premesso, ci occuperemo ora brevemente di una particolare modalità per contrarre matrimonio che la legge ancora riserva ai militari in tempo di guerra: la procura alle nozze. Come ho già avuto modo di evidenziare in uno specifico post, le persone che si uniscono in matrimonio devono di norma esprimere personalmente il proprio consenso: la regola prevede quindi che ci si sposi di persona e non a mezzo di rappresentanti. Ebbene, l’articolo 111 del codice civile prevede però che: “I militari e le persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate possono, in tempo di guerra, celebrare il matrimonio per procura” e che questa debba essere fatta “nelle forme speciali ad essi consentite”, creando non poche incertezze su cosa si intenda esattamente per “forme speciali” [5]. In considerazione dell’eccezionalità della questione, tale procura ha una validità limitata nel tempo: l’articolo 111 del codice civile prevede infatti che “il matrimonio non può essere celebrato quando sono trascorsi centottanta giorni da quello in cui la procura è stata rilasciata”.

La procura alle nozze non è però un mero e inutile residuo del passato: infatti, essa presenta tutt’ora alcuni profili di attualità, rappresentando uno dei presupposti per l’erogazione della pensione di guerra, peraltro ancora prevista per “coloro che, a causa della guerra, abbiano subito menomazioni nell’integrità fisica o la perdita di un congiunto [6]”. In tal senso, l’articolo 37 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978, statuisce difatti che “ai soli effetti della pensione di guerra, è considerata come vedova la donna che non abbia potuto contrarre matrimonio per la morte del militare o del civile, avvenuta a causa della guerra entro tre mesi dalla data della procura da lui rilasciata per la celebrazione del matrimonio [7]”.

TCGC

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[1]: in alcuni periodi (quantomeno da Augusto a Settimio Severo e ad esclusione dei gradi più alti) al legionario era vietato sposarsi e, nel caso questi fosse già sposato da civile, con l’arruolamento si scioglieva il matrimonio. I romani erano estremamente pratici e ritenevano infatti che un soldato scapolo fosse più efficiente di uno ammogliato; inoltre, in caso di morte sul campo, lo Stato non doveva farsi carico della famiglia del defunto. Naturalmente la praticità romana riemergeva sempre: infatti, si tolleravano le unioni di fatto che davano origine a vere e proprie famiglie di fatto.

[2]: con stringenti limiti che differivano in base al grado ricoperto, gli anni di servizio prestati.

[3]: la normativa precedente, infatti prevedeva un’età minima o un determinato grado per contrarre matrimonio. Inoltre, l’Ufficiale che avesse voluto sposarsi avrebbe dovuto ottenere l’assenso addirittura del Presidente della Repubblica, mentre i Sottufficiali e i Militari di truppa un’autorizzazione, sulla base di presupposti che variavano in base alla Forza Armata, Arma o Corpo di appartenenza.

[4]: Corte costituzionale, sentenza n. 332 del 12 luglio 2000 (Pres. MIRABELLI – Rel. CONTRI);  Corte costituzionale, sentenza n. 445 del 24 ottobre 2002 (Pres. RUPERTO – Rel. ONIDA).

[5]:al punto che da più parti è stato espresso parere favorevole alla reviviscenza del regio decreto n. 1415 del 1938 “legge di guerra e belligeranza” che dedica:

  • all’esercizio delle funzioni di ufficiale di stato civile l’articolo 112:“Le funzioni di ufficiale di stato civile spettano: 1° nei comandi, corpi, reparti e servizi indicati nel primo comma dell’articolo 109, all’ufficiale di amministrazione o a chi ne fa le veci, e, qualora non vi siano ufficiali specialmente incaricati dell’amministrazione, al rispettivo comandante o a un ufficiale da questo delegato; 2° sulle navi da guerra, sulle navi-ospedale e sulle navi ospedaliere, al commissario di bordo o, se questi manchi o sia impedito, al comandante”;
  • alla procura a contrarre matrimonio civile l’articolo 120:“Gli appartenenti alle forze armate dello Stato e le persone al seguito di queste, che si trovano nella zona delle operazioni, i componenti l’equipaggio delle navi da guerra e i militari comunque imbarcati sulle navi stesse possono contrarre matrimonio civile per procura. La procura a contrarre matrimonio civile è ricevuta, in forma pubblica, da una delle persone investite delle funzioni di ufficiale di stato civile a norma dell’articolo 112 e soltanto per le persone, per le quali esse possono esercitare le funzioni stesse. La procura deve essere speciale, ed è redatta alla presenza di due testimoni aventi i requisiti preveduti dal secondo comma dell’articolo 113, con l’osservanza, per quanto è possibile, delle leggi sull’ordinamento del notariato e sugli archivi notarili. La procura deve, in ogni caso, contenere, oltre quanto è prescritto dal terzo comma dell’articolo 113, l’indicazione del nome e cognome, dell’età e del luogo di nascita di chi rilascia la procura, dell’altro sposo e del mandatario. L’atto di procura a contrarre matrimonio civile è trasmesso, per il tramite del ministero dal q uale dipende l’ufficiale che ha redatto la procura, all’ufficiale di stato civile, che deve celebrare il matrimonio. La nullità della procura per difetti formali di essa non può farsi valere decorsi i tre mesi da quando chi rilascia la procura non si trovi più nella zona delle operazioni, o sia sbarcato in un porto nazionale”.

[6]: articolo 1 del D.P.R. n. 915 del 1978 titolato “Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra”, tutt’ora vigente.

[7]: equiparazione già presente all’articolo 55 della legge n. 648 del 1950 “Riordinamento delle disposizioni sulle pensioni di guerra” e ribadita poi dall’articolo 12 della legge 1240 del 1961“Integrazioni e modificazioni della legislazione sulle pensioni di guerra”.