Ho notato dalle vostre e-mail che i termini ingiuria e diffamazione vengano troppo spesso scambiati … utilizzati cioè l’uno al posto dell’altro [1]. Credo quindi necessario un piccolo … quanto doveroso … ripassino sull’argomento. Iniziamo subito col dire che i reati militari di ingiuria e diffamazione sono sostanzialmente speculari ai corrispondenti reati previsti agli articoli 594 [2] e 595 [3] dal codice penale comune. Ovviamente, affinché ci sia ingiuria o diffamazione militare (e si applichi cioè il codice penale militare di pace) è necessario che sia il soggetto attivo del reato (chi offende per intenderci) che quello passivo del reato (cioè chi viene offeso) siano militari [4]. Il codice penale militare di pace (CPMP) disciplina tali reati come segue:
- ingiuria militare:“il militare, che offende l’onore o il decoro di altro militare presente, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a quattro mesi. Alla stessa pena soggiace il militare, che commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione militare fino a sei mesi, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato” (articolo 226 del CPMP);
- diffamazione militare:“il militare, che, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni. Se l’offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate” (articolo 227 del CPMP).
Tanto premesso, senza addentrarci nel significato da dare alle parole “onore”, “decoro” e “reputazione” che mi appaiono abbastanza chiare e intuitive da comprendere [5], balza subito agli occhi la fondamentale differenza che esiste tra ingiuria e diffamazione, ovverosia:
- la presenza della vittima nell’ingiuria;
- l’assenza della vittima nella diffamazione ma … badate bene … con la contestuale previsione che l’offesa venga fatta alla presenza di più persone (cioè almeno due!).
Senza appesantire troppo il discorso (potete infatti trovare on line una miriade di articoli sull’argomento estremamente dettagliati e che, sono sicuro, possono togliervi ogni possibile dubbio!), cercherò ora di dare una risposta alle domande più frequenti che mi vengono rivolte sull’argomento. Ebbene:
- considerato che l’oggetto di entrambi i reati è sostanzialmente un’offesa, perché ingiuria e diffamazione vengono punite in modo differente? Beh … a pensarci bene … non potrete che concordare con me sul fatto che l’assenza della vittima nella diffamazione renda tale reato più “insidioso” perché elimina alla radice ogni possibilità che la vittima possa ribattere e difendersi cioè da sola … ecco quindi che la diffamazione “aggredisce” la reputazione della vittima in modo maggiormente invasivo rispetto alla semplice ingiuria e da qui ne deriva il più severo regime sanzionatorio;
- non rileva la verità del fatto … tali reati cioè si realizzano anche se si attribuisce alla vittima un fatto vero. Anzi, a dirla tutta, attribuire alla vittima un “fatto determinato” [6] inasprisce addirittura il regime sanzionatorio! Mi spiego meglio, se un nostro collega è stato condannato per furto con una sentenza passata in giudicato (per approfondire leggi qui!) e tutti sanno di tale condanna, ciò non ci autorizza comunque a dargli del ladro e anzi, se lo facciamo, rispondiamo ovviamente di ciò che abbiamo detto, perché la verità dell’affermazione non esclude il reato!
- il codice penale militare di pace prevede dei “temperamenti”. L’articolo 228 del CPMP stabilisce infatti che “nei casi preveduti dall’articolo 226 [cioè in caso di ingiuria], se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 226 e 227 [cioè in caso di ingiuria e diffamazione] nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”;
- è effettivamente vero che, nonostante la “depenalizzazione” del reato ordinario di ingiuria (articolo 594 [7] del codice penale che è stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016), la Corte costituzionale abbia comunque mantenuto in vita il reato militare di ingiuria [8] [9] valorizzando quella “specialità” che è l’elemento caratterizzante di tutto l’ordinamento giuridico militare (per approfondire leggi qui!). Oggi funziona quindi grossomodo come segue: il comune cittadino che ingiuria rischia solo una mera sanzione pecuniaria da illecito civile, mentre il militare che ingiuria un altro militare continua invece a rischiare una sanzione penale detentiva che, nel massimo, può arrivare a diversi mesi di reclusione militare (per approfondire leggi qui!);
- l’ingiuria può realizzarsi non solo attraverso espressioni verbali ma anche attraverso azioni che ledano il decoro della vittima (mi riferisco qui alla cosiddetta ingiuria reale). Non sono difatti mancati casi in cui i Giudici militari hanno ritenuto che, ad esempio, fare gesti sconci, sputare, emettere suoni oltraggiosi o anche solo cospargere il corpo di un collega con del lucido da scarpe, ledendone quindi materialmente il decoro, possano integrare il reato militare di ingiuria. Occhio quindi a fare “scherzi da caserma”: le conseguenze potrebbero essere molto molto serie e sgradevoli!
Un paio di cose prima di concludere:
- essendo i reati militari di ingiuria (quantomeno nel primo e secondo comma dell’articolo 226 del CPMP) e di diffamazione (per l’ipotesi base prevista al primo comma dell’articolo 227 del CPMP) punibili con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, affinché ne possa scaturire un procedimento penale è necessaria la richiesta del Comandante di corpo (per approfondire leggi qui!);
- dato che la gran parte dei procedimenti penali militari per ingiuria o diffamazione hanno oggi a che fare con fatti occorsi su social network (facebook, instagram, twitter eccetera) o servizi di messaggistica istantanea (tipo whatsapp per intenderci), ho ritenuto utile trattare l’argomento in uno specifico post (per approfondire leggi qui!).
Detto ciò, non mi resta che salutarvi … ad maiora!
TCGC
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[1]: a dire il vero, spesso si abusa anche dei termini di “vilipendio” e “calunnia”. Dato che per il vilipendio troverete su www.avvocatomilitare.com uno specifico post a cui ad ogni buon conto vi rimando (per approfondire leggi qui!), mi concentrerò qui sulla “calunnia”. Ebbene, con tale termine il codice penale “ordinario” punisce la condotta di “chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo” (art. 368 c.p.). Abbiamo quindi a che fare con un reato molto grave che riguarda sostanzialmente chi denuncia una persona (alla Procura o alla Polizia Giudiziaria, come i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia di Stato o anche al Comandante di corpo/Ufficiale di Polizia Giudiziaria Militare – per approfondire leggi qui!) che sa essere innocente ovvero la “incastra” simulando a suo carico le tracce di un reato … ben diverso quindi dall’ingiuria e dalla diffamazione e del quale non vi è alcuna traccia nel codice penale militare di pace.
[2]: art. 594 c.p. – Ingiuria:“Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”. Tale articolo è stato però abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016 che lo ha depenalizzato. Ciò significa che l’ingiuria non è più un reato ma è diventato un mero illecito civile (detto altrimenti il colpevole non andrà più davanti a un giudice penale!) con sanzioni pecuniarie che vanno oggi dai 100 euro a salire.
[3]: art. 595 c.p.: Diffamazione:“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
[4]: a dire il vero, il reato militare di ingiuria viene comunemente integrato tra parigrado. Eccezionalmente, può essere integrato tra militari di grado diverso (quindi tra superiore e inferiore di grado) solo nel caso in cui, per cause estranee al servizio e alla disciplina (di cui all’articolo 199 CPMP), un determinato comportamento non possa essere sanzionabile a titolo di insubordinazione con ingiuria (articolo 189 CPMP – per approfondire leggi qui!) oppure di ingiuria a inferiore (articolo 196 CPMP– per approfondire leggi qui!) … ma preferisco sorvolare sulla questione dato che ci perderemmo in problemi troppo complessi avuto conto del taglio pratico che ho deciso di dare anche a questo post.
[5]: l’“onore”, il “decoro” e la “reputazione” vanno sostanzialmente intesi come valori sociali e morali della persona, propri della dignità dell’uomo (e a maggior ragione del militare!), avuto conto dell’ambiente sociale e del momento storico. Secondo la legge tali valori devono essere preservati da attacchi e aggressioni antisociali anche perché, per quanto di interesse, vanno a ledere (anche solo indirettamente) le esigenze di servizio e di disciplina che sono alla base dell’efficienza dello strumento militare.
[6]: l’art. 596 c.p. prevede al riguardo che “il colpevole del delitto previsto dall’articolo precedente [cioè la diffamazione «ordinaria»] non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa”. Peraltro, tale articolo prevede altresì che:“[…] quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:
- se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni;
- se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;
- se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito.
Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è [per esso] condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabile la disposizione dell’articolo 595, comma 1” del codice penale. Preciso che tale ultima previsione:
- è caduta in quasi totale disuso soprattutto con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (e, in particolare, dell’articolo 21 sulla libera manifestazione del pensiero) che ne ha praticamente eliminato ogni utile margine di operatività;
- secondo autorevole dottrina sarebbe comunque astrattamente applicabile anche al reato militare di diffamazione di cui all’art. 227 CPMP, sebbene la cosa non sia espressamente prevista per legge.
[7]: art. 594 c.p. – Ingiuria:“Chiunque offende l’onore o il decoro di una p ersona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”. Tale articolo è stato però abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016 che lo ha depenalizzato. Ciò significa che l’ingiuria non è più un reato ma è diventato un mero illecito civile (detto altrimenti il colpevole non andrà più davanti a un giudice penale!) con sanzioni pecuniarie che vanno oggi dai 100 euro a salire.
[8]: la ragione di tale presa di posizione della Corte costituzionale risiede nelle peculiarità proprie dell’Organizzazione militare. In tale contesto, i Giudici costituzionali hanno difatti giustificato la permanenza dell’ingiuria militare nell’area penalmente rilevante (anche se motivata da cause estranee al servizio e alla disciplina militare), in considerazione della necessità di coesione delle Unità militari che è il primo presupposto della funzionalità e dell’efficienza dello strumento militare.
[9]: Corte costituzionale, sentenza 215/2017 – Pres. GROSSI, Red. ZANON.