La disciplina (e quindi il diritto disciplinare) è connaturata all’esistenza stessa di ogni organizzazione gerarchica, poiché mira principalmente preservarne l’ordine interno, il rispetto dell’autorità e l’obbedienza ovverosia concetti che, in ambito militare, vengono elevati a veri e propri valori da tutelare e proteggere. La disciplina rappresenta infatti la “spina dorsale” di ogni unità combattente: solo con la disciplina è infatti possibile raggiungere quell’efficienza e quella rapidità di azione cui deve naturalmente tendere lo strumento militare. Fino agli anni ’60 del secolo scorso la materia veniva regolata da ogni Forza Armata in modo autonomo e, solo nel 1964, venne finalmente emanato [1] un regolamento disciplinare unico, cioè valido per tutti i militari. Tale primo esperimento “unitario”, che ha il pregio di aver dato inizio al processo di “democratizzazione” delle Forze Armate (nel senso di armonizzarne l’ordinamento con i principi della Costituzione repubblicana), venne comunque duramente criticato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza (cioè dagli studiosi del diritto e dai giudici), soprattutto per l’approccio romantico “ottocentesco” con cui era stata trattata la condizione e l’etica militare: si sosteneva infatti che tale approccio poco si adattasse alla società dell’epoca e ai nuovi valori di cui era portatrice [2]! Le successive tappe di questo percorso, quelle che – per intenderci – hanno sostanzialmente ricondotto il diritto disciplinare militare nell’alveo dei principi costituzionali, “disegnandolo” per come è sostanzialmente oggi, sono:

  • l’approvazione della legge n. 382 del 1978 “Norme di principio sulla disciplina militare” che ha dettato in modo chiaro i principi fondamentali della materia;
  • l’emanazione del discendente “Regolamento di disciplina militare”, adottato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986.

Tali norme hanno il pregio di aver segnato, quantomeno per ciò che attiene al diritto disciplinare, il definitivo passaggio ad una concezione dell’ordinamento giuridico militare che entrasse finalmente a far parte del generale assetto costituzionale della Repubblica e le cui peculiarità trovassero la propria ratio e giustificazione nel particolare status posseduto dai suoi appartenenti (nella sezione “diritto costituzionale” troverete alcuni post che vi chiariranno meglio questi concetti fondamentali – leggi qui). Nonostante qualche inevitabile “aggiustamento”, tali norme sono confluite sostanzialmente intatte nel Codice dell’ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010 – cosiddetto COM) e nel Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 – cosiddetto TUOM).

Tanto premesso, iniziamo col dire che, ai sensi dell’articolo 1346 del COM la disciplina del militareè l’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano. Essa è regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza. […] Per il conseguimento e il mantenimento della disciplina sono determinate le posizioni reciproche del superiore e dell’inferiore, le loro funzioni, i loro compiti e le loro responsabilità. Da ciò discendono il principio di gerarchia e quindi il rapporto di subordinazione e il dovere dell’obbedienza. […] Il militare osserva con senso di responsabilità e consapevole partecipazione tutte le norme attinenti alla disciplina e ai rapporti gerarchici. Nella disciplina tutti sono uguali di fronte al dovere e al pericolo”. Il successivo articolo 1352 definisce l’illecito disciplinare come “ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all’emanazione di un ordine” (articolo 1352 del COM) senza procedere ad alcuna “tipizzazione/standardizzazione” delle condotte censurabili, ad eccezione di quelle previste dall’articolo 751 del TUOM che, per intenderci, sono quelle condotte che possono essere punite con la consegna di rigore (sanzione disciplinare a cui ho dedicato uno specifico post leggi qui). Ed ecco la differenza con il reato: il codice penale descrive nel dettaglio il comportamento dell’autore, mentre le norme disciplinari danno solo indicazioni sommarie che dovranno essere di volta in volta adattate al caso dall’autorità militare competente; stessa cosa per le sanzioni (o pene) applicabili, specificamente predeterminate nel diritto penale, mentre solo elencate e descritte in linea generale nel diritto disciplinare. Conseguentemente, il Comandante che instaura un procedimento disciplinare ha, nella pratica, moltissima libertà nel rilevare e sanzionare disciplinarmente il comportamento del proprio dipendente e, di riflesso, che la nozione di “illecito disciplinare” è estremamente ampia e dai confini assai incerti. Come ogni altro potere, anche il potere disciplinare deve essere usato bene ed ecco che il codice ci da’ una mano in tale difficile compito: il superiore che vaglia “disciplinarmente” la condotta di un proprio subordinato, deve infatti tenere sempre ben presente che:

  • la condotta deve essersi sempre concretamente verificata. Deve oggettivarsi, ovverosia essersi necessariamente concretizzata in un comportamento materialmente percepibile;
  • l’articolo 1466 del COM prevede esplicitamente delle limitazioni all’applicabilità di sanzioni disciplinari. Tale articolo prevede infatti che “l’esercizio di un diritto ai sensi del presente codice [3] e del regolamento [4] esclude l’applicabilità di sanzioni disciplinari”; ciò che realmente conta sarà quindi la verifica delle effettive modalità con cui tali diritti sono stati di fatto esercitati dal militare (ho dedicato alla materia alcuni post nella sezione “diritto costituzionale” che vi consiglio di leggere! leggi qui);
  • ai sensi dell’articolo 1350 del COM “le disposizioni in materia di disciplina militare, si applicano [di solito] nei confronti dei militari che si trovino in una delle seguenti condizioni: a. svolgono attività di servizio; b. sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c. indossano l’uniforme; si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”;
  • l’applicazione della sanzione deve essere effettuata con gradualità. Ciò significa che, in ossequio a quanto previsto dal successivo articolo 1355 del COM, le sanzioni vanno “commisurate al tipo di mancanza commessa e alla gravità della stessa” e che nel determinarne la specie e, eventualmente, la durata, “sono inoltre considerati i precedenti di servizio disciplinari, il grado, l’età, e l’anzianità di servizio del militare che ha mancato”. Conseguentemente, “vanno punite con maggior rigore le infrazioni: a. intenzionali; b. commesse in presenza di altri militari; c. commesse in concorso con altri militari; d. ricorrenti con carattere di recidività”. Inoltre, il citato articolo 1355 del COM disciplina altresì di concorso e di continuazione nell’infrazione disciplinare, infatti, precisa che: 1. “nel caso di concorso di più militari nella stessa infrazione disciplinare è inflitta una sanzione più severa al più elevato in grado o, a parità di grado, al più anziano”; 2. qualora dovesse “essere adottato un provvedimento disciplinare riguardante più trasgressioni commesse da un militare, anche in tempi diversi, è inflitta un’unica punizione in relazione alla più grave delle trasgressioni e al comportamento contrario alla disciplina rivelato complessivamente dalla condotta del militare stesso”;
  • il medesimo militare non può essere sanzionato più volte per la stessa mancanza [5] [6]: nel momento in cui il superiore sanziona disciplinarmente il proprio subordinato consuma il proprio potere disciplinare; non può cioè più usarlo per lo stesso motivo sullo stesso militare perché non lo ha più!

Assolutamente tassativa [7] è, invece, la tipologia di sanzioni disciplinari irrogabili che, ai sensi dell’articolo 1352 del COM, possono essere solo “sanzioni disciplinari di stato o sanzioni disciplinari di corpo”. I due tipi di sanzioni sono alternative e, quindi, una medesima mancanza non può essere contemporaneamente sanzionata con una sanzione di stato e una di corpo: o si applica una sanzione di stato o si applica una sanzione di corpo perché l’una esclude l’altra.

  • Le sanzioni disciplinari di stato sono quelle sanzioni volte a censurare gli illeciti disciplinari più gravi (commessi sia dal personale in servizio che da quello in congedo) ovvero quelli che vanno a pregiudicare interessi generali dello Stato o dell’amministrazione militare (ledendone, ad esempio, l’immagine e il prestigio) e, per tanto, vanno a pregiudicare il vincolo di fiducia che intercorre tra organizzazione militare e singolo militare. Tali sanzioni vanno conseguentemente a gravare direttamente sul rapporto d’impiego o di servizio del militare, incidendone lo status giuridico fino ad arrivare, nei casi più gravi, addirittura al provvedimento espulsivo della perdita del grado per rimozione che comporta l’iscrizione d’ufficio nei ruoli dei militari di truppa (senza alcun grado – articolo 861 del COM) e la cessazione del rapporto di impiego (articolo 923 del COM) … detto altrimenti il congedo con il grado di Soldato”! Ai sensi dell’articolo 1357 del COM, le sanzioni disciplinari di stato sono:“a. la sospensione disciplinare dall’impiego per un periodo da uno a dodici mesi [per il solo personale in servizio permanente effettivo]; b. la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado per un periodo da uno a dodici mesi [per il solo personale in congedo]; c. la cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare; d. la perdita del grado per rimozione [per tutto il personale, sia in servizio che in congedo]”.
  • Le sanzioni disciplinari di corpo sono, invece, quelle sanzioni previste per punire, in un ottica meramente educativa e correttiva, gli illeciti disciplinari meno gravi i cui effetti rimangono confinati all’interno dell’organizzazione militare (nel corpo”, appunto, da intendersi come aggregazione militare … ecco perchè, al contrario delle sanzioni disciplinari di stato, sono irrogabili esclsivamente al personale in servizio!) e che, ai sensi del successivo articolo 1358 del COM, “consistono nel richiamo, nel rimprovero, nella consegna e nella consegna di rigore”.

TCGC

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[1]: emanato il 31 ottobre 1964 con decreto del Presidente della Repubblica. Si precisa che tale articolato e le relative modalità di emanazione (il decreto del Presidente della Repubblica, appunto) rappresentavano emanazione diretta di quanto previsto sull’argomento dall’articolo 38 del codice penale militare di pace (CPMP): “Le violazioni dei doveri del servizio e della disciplina militare, non costituenti reato, sono prevedute dalla legge ovvero dai regolamenti militari approvati con decreto del Presidente della Repubblica, e sono punite con le sanzioni in essi stabilite”.

[2]: ricordiamoci che proprio durante gli anni sessanta, in piena guerra fredda, con la guerra del Vietnam in corso e la crisi mediorientale al culmine, si preparò culturalmente quel fermento di rinnovamento che portò alla diretta contestazione dell’Autorità di ogni genere (politica, militare e anche familiare), della società borghese con le aspre lotte studentesche, gli scioperi e le contestazioni pacifiste che, in Italia, si colorarono anche di terrorismo.

[3]: cioè il decreto legislativo n. 66 del 2010, codice dell’ordinamento militare.

[4]: ovvero il decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare.

[5]:art. 1371 del COM – Divieto di sostituzione delle sanzioni disciplinari: “fatto salvo quanto previsto dagli articoli 1365 e 1366 [ovvero in caso di ricorsi amministrativi], un medesimo fatto non può essere punito più di una volta con sanzioni di differente specie”.

[6]: il cosiddetto ne bis in idem disciplinare, chiara espressione di quello penale previsto all’articolo 649 del codice di procedura penale.

[7]: l’articolo 1353 del COM stabilisce infatti che “non possono essere inflitte sanzioni disciplinari diverse da quelle previste”.