CHI È CHE REALMENTE DECIDE LA GUERRA IN ITALIA?

Mi è arrivata proprio oggi, 31 dicembre 2021, la bellissima e-mail di un collega che mi ha posto, tra l’altro, una domanda che può ad occhio apparire banale, ma che però vi assicuro banale non è affatto: in Italia chi è che realmente decide la guerra? Se girate tale domanda ad un qualsiasi studente del primo anno di giurisprudenza, sono convinto che otterrete una risposta secca che non lascia alcun dubbio: la guerra la decide il Parlamento che conferisce al Governo i poteri necessari (articolo 76 [1] della Costituzione). Spetterà poi al Presidente della Repubblica il compito di dichiarare lo stato di guerra deliberato dal Parlamento (articolo 87 [2] della Costituzione). È ovvio che il nostro giovane studente risponderebbe in tal senso, con la sicurezza di chi ha studiato … e bene direi! Nel disegno costituzionale non permangono difatti ampi margini di manovra per il Governo, perché la decisione finale è … o meglio, “dovrebbe” essere … nelle mani del Parlamento, punto e basta! L’Assemblea costituente fece difatti una chiara scelta in tal senso anche per riequilibrare, in materia di guerra, i rapporti di forza tra potere legislativo e potere esecutivo, soprattutto perché nel passato erano stati fortemente sbilanciati a favore di quest’ultimo ed avevano “agevolato” l’ingresso dell’Italia sia nella prima che nella seconda guerra mondiale (senza considerare poi la guerra di Spagna e quella d’Etiopia) [3]. Ecco perché la vera domanda a cui dovremmo trovare una risposta è: oggi funziona veramente così? Non dimentichiamo infatti che l’Italia è una Repubblica la cui Carta costituzionale prevede, tra i principi fondamentali (cioè negli articoli iniziali, quelli più importanti per intenderci!), proprio il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (articolo 11 [4] della Costituzione – per approfondire leggi qui!) cosa che, secondo molti studiosi, implica il divieto di prender parte a missioni militari internazionali che non siano giustificate da chiare esigenze di difesa.

Ebbene, anche se non sono un costituzionalista, credo proprio che la realtà giuridica che emerge dalla lettura della Carta costituzionale non corrisponda alla realtà delle cose per come sono oggi … detto altrimenti credo che le Camere (cioè Senato e Camera dei Deputati), almeno in materia di decisioni sulla guerra, non svolgano appieno la funzione assegnatagli dalla Costituzione … funzione che peraltro appare oggi profondamente “svuotata” di sostanza e di significato, quasi che il Parlamento sia diventato un notaio che si limita a ratificare decisioni prese altrove. Senza entrare in complessi discorsi sulla crisi della Repubblica parlamentare o sulla differenza tra costituzione formale e costituzione materiale, è fuori discussione il fatto che gli interventi militari che si sono succeduti negli ultimi anni hanno trovato giustificazione e copertura più nelle risoluzioni e/o decisioni prese nell’ambito di Organismi internazionali [5] che non in esigenze di difesa, come invece dovrebbe essere secondo la Costituzione. Quanto precede anche in considerazione del fatto che, dal punto di vista strettamente militare, le nostre Forze Armate sono state chiamate negli anni ad intervenire in Teatri operativi ad “alta intensità”, dove cioè molte delle operazioni militari condotte si sono rivelate delle vere e proprie operazioni di guerra, nel senso tradizionale del termine.

Non ci resta quindi che prendere atto del fatto che, contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione, in materia di guerra:

  • il centro di gravità si è di fatto spostato dalle Camere (cioè dal Parlamento) all’Esecutivo (cioè al Governo) che ha quindi guadagnato un ruolo di primissimo piano [6];
  • il Parlamento oggi svolge … a cose fatte … una mera attività di indirizzo, esercitata non di rado a distanza di considerevole tempo dall’insorgere dei conflitti, limitandosi spesso solo a convertire i decreti-legge predisposti dal Governo con i quali autorizza lo svolgimento delle missioni militari all’estero e, soprattutto, delibera in merito allo stanziamento delle risorse economiche necessarie allo scopo.

Se siete arrivati a leggere fino a qui, significa che ho sollecitato la vostra curiosità e questa è una cosa più che positiva! Certo, c’è molto altro da dire ma, in considerazione del taglio dato pratico ai post presenti su www.avvocatomilitare.com, credo che sia meglio non appesantire ulteriormente il discorso … non mi resta quindi che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: art. 78 della Costituzione:“Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.

[2]: art. 87 della Costituzione:“Il Presidente della repubblica […] ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”.

[3]: lo Statuto Albertino, ovverosia la Carta costituzionale esistente in Italia sino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (01.01.1948), non prevedeva difatti alcun articolo anche solo lontanamente assimilabile all’art. 78 della Costituzione.

[4]: art. 11 della Costituzione:“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

[5]: a dire il vero nel 1999, in Kosovo, i bombardamenti della NATO (durati più di due mesi!) furono condotti addirittura in assenza di alcuna risoluzione dell’ONU.

[6]: Anche il Codice dell’Ordinamento Militare (Decreto Legislativo n. 66 del 2010 – c.d. COM) sembra confermare l’attuale equilibrio dei poteri. All’art. 10 stabilisce infatti che il Ministro della Difesa “attua le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte all’esame del Consiglio supremo di difesa e approvate dal Parlamento”.

LE INCHIESTE MILITARI PER EVENTI DI PARTICOLARE GRAVITÀ O RISONANZA: L’INCHIESTA SOMMARIA E L’INCHIESTA FORMALE

Con le inchieste sommarie e le inchieste formali vengono accertate le cause che hanno determinato eventi di particolare gravità o risonanza in modo che l’Amministrazione possa adottare le contromisure idonee ad evitare il ripetersi di tali accadimenti e sanzionare gli eventuali responsabili. In tal senso, l’articolo 530 del Decreto legislativo n. 66 del 2010 “Codice dell’ordinamento militare” (cosiddetto COM) che prevede infatti che “il Ministero della difesa dispone le inchieste sommarie e formali volte ad accertare le cause soggettive e oggettive che hanno determinato eventi di particolare gravità o risonanza nell’ambito dell’Amministrazione della difesa, allo scopo di valutare l’opportunità di adottare le misure correttive di carattere organizzativo o tecnico necessarie a evitare il ripetersi degli eventi dannosi e di dare l’avvio ai procedimenti rivolti a individuare eventuali responsabilità penali, disciplinari, amministrative, in merito alla causazione dell’evento”.

Tanto premesso, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare(cosiddetto TUOM) chiarisce alcuni aspetti fondamentali della questione e, in particolare:

1. la differenza tra inchiesta sommaria e inchiesta formale, rilevando che “si intendono per:

  • inchieste sommarie quelle disposte nell’immediatezza dell’evento e condotte secondo modalità semplificate, anche allo scopo di evitare la dispersione degli elementi utili per gli eventuali ulteriori accertamenti [1];
  • inchieste formali quelle disposte quando la gravità dell’evento richiede nell’immediato un approfondito esame, ovvero sia necessario, sulla base dei risultati dell’inchiesta sommaria, esperire indagini più articolate e complesse, al fine di accertare le cause dell’evento” (articolo 552 TUOM);

2. la nozione di evento di particolare gravità o risonanza, chiarendo che tali sono da considerarsi:

  • gli avvenimenti dannosi che interessano personale, mezzi o beni del Ministero della difesa, quali, a titolo esemplificativo, incidenti e infortuni rilevanti connessi all’impiego operativo, all’attività addestrativa e comunque al servizio, furti, smarrimenti o danneggiamenti di materiali e apparati particolarmente delicati e importanti, come a esempio armi e munizionamenti, ed eventi relativi alla situazione sanitaria nei reparti;
  • gli accadimenti che potrebbero avere riflessi negativi sull’opinione pubblica per la loro delicatezza o per il numero di persone coinvolte;
  • i sinistri marittimi, intesi come qualsiasi evento dannoso accaduto, in navigazione o in porto, a unità navali appartenenti all’Amministrazione della difesa o a persone o beni a bordo (articolo 553 TUOM) [2] ”.

A) L’INCHIESTA SOMMARIA

Ai sensi dell’articolo 557 del TUOM, l’Autorità competente ad ordinare l’inchiesta sommaria [3]nomina, entro quindici giorni dal ricevimento della notizia dell’evento, un ufficiale inquirente per l’esecuzione dell’inchiesta”. Il successivo articolo 559 del TUOM ci chiarisce poi a cosa consista tale inchiesta, ovverosia:“a) nell’acquisizione della relazione del comandante di corpo, ovvero del titolare del comando, ente, unità o ufficio interessati all’evento; b) nella raccolta di tutte le notizie relative all’evento quali: località, data, ora, circostanze, generalità del personale coinvolto, beni della difesa interessati dall’evento, dinamica e probabili cause, provvedimenti adottati, eventuali interventi dell’autorità giudiziaria, documenti o altri mezzi di prova, nonché ogni altro elemento di informazione utile; c) nella raccolta di dichiarazioni testimoniali di personale militare e civile della Difesa, nonché di persone estranee all’Amministrazione della difesa in grado di fornire notizie utili ai fini dell’inchiesta, le cui attestazioni sono verbalizzate a cura dell’ufficiale inquirente e sottoscritte dal dichiarante; d) nella compilazione di un rapporto riassuntivo dell’evento, recante i risultati delle indagini e le considerazioni sulle cause dell’evento”. Tale “rapporto riassuntivo dell’evento” deve essere inviato, entro 90 giorni, all’Autorità che ha ordinato l’esecuzione dell’inchiesta sommaria che a sua volta lo trasmetterà nei successivi 30 giorni, corredato di un proprio motivato parere e l’indicazione degli eventuali provvedimenti adottati, allo Stato Maggiore della Difesa, al Segretariato Generale della Difesa, allo Stato Maggiore di Forza Armata ovvero al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri a seconda dell’area di appartenenza dell’Ente coinvolto nell’evento negativo (articolo 560 [4] TUOM).

B) L’INCHIESTA FORMALE

Ai sensi dell’articolo 561 del TUOM, successivamente all’inchiesta sommaria (ovvero a volte anche a prescindere da questa), può essere disposta una inchiesta formale qualora [5]:

  • dall’inchiesta sommaria non siano emerse le cause dell’evento;
  • si sia verificato un evento grave o gravissimo che abbia determinato la morte, lesioni gravi o gravissime a persone ovvero la perdita o il grave danneggiamento di beni di rilevante valore o particolare importanza [6] ;
  • venga ritenuto opportuno procedere ad una inchiesta formale in ragione della rilevanza degli eventi (e questo, quindi, anche in assenza di una preventiva inchiesta sommaria!).

A differenza di quanto avviene per le inchieste sommarie, l’inchiesta formale non viene eseguita da un singolo Ufficiale inquirente, bensì da una Commissione d’inchiesta formale che, ai sensi dell’articolo 563 del TUOM:

  • è costituita da “a) un presidente di grado superiore o, se pari grado, più anziano del comandante di corpo o titolare del comando, ente, unità o ufficio presso cui si è verificato l’evento; b) due o quattro membri di grado superiore o, se pari grado, più anziani del comandante di corpo o del titolare del comando, ente, unità o ufficio presso cui si è verificato l’evento, di cui uno con funzioni di segretario”;
  • ha facoltà di avvalersi, qualora ritenuto utile ai fini dell’inchiesta, di personale appartenente all’Amministrazione della difesa, ovvero di consulenti tecnici esterni […]”;
  • procede: a) all’esame degli atti dell’inchiesta sommaria, ove precedentemente effettuata; b) all’esecuzione di accertamenti, rilievi e sopralluoghi, qualora necessari anche esterni rispetto all’ente o al reparto presso cui si è verificato l’evento; c) all’acquisizione di eventuali ulteriori documenti e dichiarazioni testimoniali di personale militare e civile della Difesa, nonché di persone estranee all’Amministrazione della difesa; d) all’esame delle relazioni dei consulenti, qualora nominati; e) all’effettuazione di ogni altra attività ritenuta utile ai fini dell’inchiesta”;
  • conclude i propri lavori con “con un rapporto finale, corredato di tutta la documentazione acquisita agli atti, contenente: a) una circostanziata ricostruzione dell’evento; b) deduzioni, considerazioni di ordine giuridico e tecnico; motivazioni; c) il parere chiaro ed esplicito sulle cause che hanno provocato l’evento; d) data e sottoscrizione di tutti i componenti della commissione”.

Infine, ai sensi del successivo articolo 564 [7] del TUOM, entro 120 giorni la Commissione “rimette all’autorità che ha ordinato l’inchiesta gli atti conclusivi dell’inchiesta formale, la quale adotta, entro 180 giorni (badate bene … decorrenti dal momento in cui l’inchiesta formale è stata disposta), “con decisione motivata, i provvedimenti ritenuti necessari”.

Se siete arrivati a leggere fino a questo punto, credo che abbiate inquadrato l’argomento in modo sufficientemente chiaro … non mi resta quindi che salutarvi, ad maiora!

TCGC

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[1]: per quanto attiene specificamente alle inchieste sommarie, l’articolo 555 TUOM stabilisce inoltre che, nell’immediatezza dell’evento, “i comandanti di corpo, i titolari di comandi, enti, unità o uffici nel cui ambito si è verificato l’evento di particolare gravità o risonanza, provvedono a:

a) impedire la dispersione o alterazione di cose, documenti e in genere di tutti gli elementi utili per i successivi adempimenti;

b) dare tempestiva comunicazione dell’evento, attraverso la linea gerarchica, all’autorità competente a disporre l’inchiesta sommaria, ai sensi dell’articolo 556, comma 1, nonché allo Stato maggiore della difesa, per gli eventi occorsi nell’area tecnico-operativa, o al Segretariato generale della difesa, per gli eventi verificatisi nell’area tecnico-amministrativa e tecnico-industriale;

c) redigere una relazione tecnica, recante l’indicazione delle circostanze in cui si è verificato l’evento, della dinamica di svolgimento dei fatti, dei provvedimenti adottati, nonché le eventuali valutazioni, trasmettendola, entro cinque giorni, all’autorità competente a disporre l’inchiesta sommaria, di cui alla lettera b), per la medesima via gerarchica, ovvero entro dieci giorni per gli eventi verificatisi nel corso di operazioni all’estero;

d) inoltrare, se l’evento si è verificato nell’ambito di operazioni o esercitazioni internazionali, multinazionali o NATO a carattere interforze, la comunicazione di cui alla lettera b) anche allo Stato maggiore della Forza armata o al Comando generale dell’Arma di carabinieri a cui appartengono il personale, i beni o i mezzi coinvolti”.

[2]: non sono considerati eventi di particolare gravità e risonanzagli incidenti automobilistici, nei quali sono rimasti coinvolti automezzi isolati e che non hanno comportato gravi lesioni fisiche o perdite di vite umane” (art. 530, comma 3, del COM).

[3]: ai sensi dell’articolo 556 del TUOM, sono competenti ad ordinare l’inchiesta sommaria:

a) il Capo di stato maggiore della difesa quando: 1) gli eventi sono avvenuti nell’ambito di enti e organismi, in Italia o all’estero, dipendenti direttamente dalla predetta autorità o dal Sottocapo di stato maggiore della difesa o dal Comandante del Comando operativo di vertice interforze; 2) gli eventi sono avvenuti nell’ambito di operazioni, missioni o esercitazioni per le quali tale autorità esercita o ha delegato le funzioni di comando e controllo;

b) il Segretario generale della difesa, quando gli eventi sono avvenuti nell’ambito del Segretariato generale;

c) i superiori gerarchici del comando, ente, unità e ufficio coinvolti nell’evento, il cui livello ordinativo è individuato, in via generale, con decreto del Ministro della difesa, in base all’assetto organizzativo delle aree tecnico-operativa, tecnico-amministrativa e tecnico-industriale del Ministero della difesa, nonché alla capacità ad acquisire, con la necessaria tempestività, gli elementi necessari per valutare l’opportunità di disporre l’inchiesta sommaria e ad adottare o proporre le misure correttive, sulla base dei risultati dell’indagine, fermo restando quanto disposto dal codice della navigazione in materia di sinistri marittimi […]” (art. 556 del TUOM).

[4]: art. 560 del TUOM – Invio degli atti dell’inchiesta sommaria:

1. Gli atti dell’inchiesta sommaria sono inviati, al più presto e comunque entro novanta giorni dalla data in cui è stata disposta, all’autorità che ne ha ordinato l’esecuzione e da questa trasmessi, nei successivi trenta giorni, con motivato parere e con l’indicazione degli eventuali provvedimenti adottati, allo Stato maggiore della difesa, al Segretariato generale della difesa, agli Stati maggiori di Forza armata, ovvero al Comando generale dell’Arma dei carabinieri, in relazione all’area di appartenenza del Comando, ente, unità o ufficio presso i quali si è verificato l’evento.

2. Lo Stato maggiore della difesa, il Segretariato generale, gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri, ricevuti gli atti dell’inchiesta sommaria, procedono al loro esame da concludersi, con decisione motivata dell’autorità di vertice dei predetti organismi, entro centocinquanta giorni dalla data in cui essa è stata disposta. Tale autorità di vertice può ordinare, se ritenuto necessario, l’esecuzione di ulteriori indagini, i cui risultati sono valutati entro i successivi trenta giorni.

3. Una sintetica scheda informativa sugli esiti dell’inchiesta sommaria è inviata, senza ritardo, a cura dei citati Stati maggiori o del Segretariato generale o del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, al Ministro della difesa. Gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri informano, altresì, degli esiti dell’inchiesta lo Stato maggiore della difesa”.

[5]: art. 561 del TUOM – Autorità competenti a ordinare l’inchiesta formale:

1. Sulla base delle risultanze dell’inchiesta sommaria, il Capo di stato maggiore della difesa, il Segretario generale della difesa, i Capi di stato maggiore di Forza armata e, per l’Arma dei carabinieri, il Comandante generale, se lo ritengono necessario ai fini dell’accertamento delle cause dell’evento, dispongono con provvedimento motivato la nomina della commissione d’inchiesta formale.

2. L’inchiesta formale è sempre disposta nel caso di evento grave che abbia comportato la perdita di vite umane o lesioni gravi o gravissime a una o più persone, ovvero perdite o grave danneggiamento di beni di rilevante valore o di particolare importanza, salvo il caso in cui appaia evidente, dall’esito dell’inchiesta sommaria, che l’evento si è verificato in conseguenza di caso fortuito o di forza maggiore, ovvero che l’autorità competente a ordinare l’inchiesta formale abbia verificato che l’inchiesta sommaria svolta ha compiutamente esaurito ogni possibile accertamento.

3. L’inchiesta formale può essere disposta anche in mancanza di una precedente inchiesta sommaria, se le autorità di cui al comma 1, valutano opportuno, in relazione alla natura e alla gravità dei fatti da accertare, avvalersi della commissione di inchiesta formale. Tale facoltà può essere esercitata esclusivamente dal Capo di stato maggiore della difesa quando gli eventi sono avvenuti nell’ambito di operazioni, missioni o esercitazioni per le quali esercita o ha delegato le funzioni di comando e controllo.

4. L’autorità che dispone l’inchiesta fissa il termine, non superiore a centoventi giorni, per la conclusione dei lavori della commissione. Il termine di conclusione dell’inchiesta formale è di centottanta giorni, a decorrere dalla data in cui è disposta”.

[6]: tranne ovviamente nel caso in cui, a seguito dell’inchiesta sommaria, non risulti possibile esperire alcun ulteriore accertamento/verifica ovvero sia stato dimostrato che l’evento si è verificato per caso fortuito o forza maggiore.

[7]: art. 564 del TUOM – Invio degli atti dell’inchiesta formale:

1. Nei termini di cui all’articolo 561, comma 4, la commissione rimette all’autorità che ha ordinato l’inchiesta gli atti conclusivi dell’inchiesta formale, la quale adotta, con decisione motivata, i provvedimenti ritenuti necessari.

2. Una dettagliata scheda informativa sugli esiti dell’inchiesta formale è inviata, senza ritardo, a cura degli Stati maggiori o del Segretariato generale o del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, al Ministro della difesa. Gli Stati maggiori di Forza armata e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri informano, altresì, degli esiti dell’inchiesta lo Stato maggiore della difesa”.

LE MINE ANTIUOMO SONO VIETATE IN ITALIA?

Chiariamo subito che le mine antiuomo in Italia sono vietate, anzi vietatissime! … ivi incluse quelle anticarro con dispositivi “anti-manipolazione[1]. La legge n. 374 del 1997 “Norme per la messa al bando delle mine antipersona” è infatti molto chiara sull’argomento, statuendo inequivocabilmente che “è vietato l’uso a qualsiasi titolo di ogni tipo di mina antipersona [2], fatto salvo l’utilizzo a fini esclusivi di addestramento per operazioni di sminamento e di ricerca di nuove tecnologie a scopo di sminamento e di distruzione delle mine”.

Tanto premesso, come si è arrivati all’approvazione della legge n. 374 del 1997 Norme per la messa al bando delle mine antipersona”? Beh, tale legge non nasce ovviamente dal nulla ma rappresenta il punto di arrivo di una lenta e difficile evoluzione del diritto internazionale dovuta alla crescente consapevolezza che lo sviluppo delle modalità di condurre le operazioni belliche necessitasse del parallelo sviluppo delle norme che ne regolano la condotta: l’dea di fondo era quella di provare a limitare, se non addirittura vietare del tutto, la presenza sul campo di battaglia di dispositivi che, come le mine antiuomo, sono in grado di causare sofferenze inutili, indiscriminate e assolutamente sproporzionate sia alle forze militari combattenti sia, soprattutto, alla popolazione civile.

Tale presa di coscienza, che affonda le proprie radici all’inizio del secolo scorso, ha sicuramente ispirato le Convenzioni di Ginevra del 1949, i relativi Protocolli aggiuntivi del 1977, il II Protocollo “sul divieto o la limitazione dell’impiego di mine, trappole ed altri dispositivi” della “Convenzione delle Nazioni Unite su certe armi convenzionali” (Ginevra, 1980) e, soprattutto, la “Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione” (approvata nel 1997 ad Ottawa e alla quale l’Italia ha aderito nel successivo 1999).

Quest’ultima Convenzione, conosciuta anche come “Trattato di Ottawa”, è infatti intimamente permeata dai decenni di profonda riflessione umanitaria che l’hanno preceduta, soprattutto ad opera della “Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo”, la cui promotrice Jody Williams è stata addirittura insignita del premio Nobel per la pace nel 1997.

E con le mine antiuomo già presenti negli arsenali, come la mettiamo? Beh, anche in questo caso la legge è molto chiara: vanno distrutte, ad eccezione di una piccola quantità che può esser conservata per l’addestramento del personale addetto allo “sminamento”. L’articolo 22 del Decreto legislativo n. 66 del 2010Codice dell’ordinamento militare(cosiddetto COM) stabilisce infatti che il Ministero della Difesa deve distruggere:

  • l’arsenale di mine antipersona in dotazione o stoccaggio presso le Forze armate, fatta eccezione per una quantità limitata e comunque non superiore alle ottomila unità e rinnovabile tramite importazione fino a una quantità non superiore al numero sopra indicato, in deroga a quanto disposto dall’articolo 1, comma 2 della legge 29 ottobre 1997, n. 374, destinata esclusivamente all’addestramento in operazioni di sminamento e alla ricerca di nuove tecnologie a scopo di sminamento e di distruzione delle mine;
  • le mine antipersona consegnate dalle aziende produttrici e dagli altri detentori, ai sensi dell’articolo 3 della legge 29 ottobre 1997, n. 374”.

Ad maiora!

TCGC

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[1]: che, al contrario delle mine antipersona, non sono ancora vietate dai Trattati e dalle Convenzioni internazionali.

[2]: l’art. 2 della legge n. 374 del 1997 definisce la mina antipersona come “ogni dispositivo od ordigno dislocabile sopra, sotto, all’interno o accanto ad una qualsiasi superficie e congegnato o adattabile mediante specifiche predisposizioni in modo tale da esplodere, causare un’esplosione o rilasciare sostanze incapacitanti come conseguenza della presenza, della prossimità o del contatto di una persona”.

I GRADI NATO

State consultando i requisiti per una posizione a status internazionale che vi piace e non capite se potete concorrere o meno? Trovate delle sigle strane come che il posto che vi interessa è, ad esempio, destinato ad un OF-5? Beh, OF-5 in ambito NATO significa Colonnello (e gradi corrispondenti tipo Capitano di Vascello per la Marina Militare) quindi, a meno che non siate un Colonnello, non potete proprio fare domanda, altrimenti vi verrà ovviamente rigettata! Vediamo a grosse linee come funziona … beh, sappiate che i gradi NATO vengono individuati, a prescindere dalla Forza Armata di appartenenza, come:

  • OF (cioè Officer) da 1 a 10 con Ufficiali inferiori, superiori (da OF-1 a OF-5) e generali (da OF-6 a OF-10) … quindi OF-1 significa Tenente/Sottotenente (e gradi corrispondenti), OF-2 Capitano e così via;
  • OR (cioè Other rank = altri gradi) da 1 a 9 con Graduati, Militari di Truppa (da OR-1 a OR-4) e Sottufficiali (da OR-5 a OR-9). Quindi, per intenderci e partendo sempre dal basso, OR-1 sarà il Soldato semplice, OR-5 il Sergente, OR-7 il Maresciallo e così via …

Una piccola precisazione prima di chiudere: molti utilizzano impropriamente anche la sigla WO, cioè Warrant Officer, categoria presente praticamente nelle sole Forze Armate USA [1] e che si colloca a metà strada tra gli Ufficiali e i Sottufficiali … cosa che, ovviamente, non trova alcuna corrispondenza in Italia.

Ora sapete abbastanza per andare al vostro Ufficio personale senza fare brutte figure … non mi resta quindi che augurarvi in bocca al lupo e ad maiora!

TCGC

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[1]: nell’esercito britannico e in quelli di ispirazione anglosassone, infatti, non sono una categoria ad hoc ma rappresentano il grado apicale della categoria Sottufficiali, OR-9 insomma!

IL RIPUDIO DELLA GUERRA

Gli articoli 10 e 11 della Costituzione rappresentano una chiara presa di posizione del costituente sul tema della guerra. In particolare:

  • l’articolo 10, comma 1, secondo cui: “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” esprime la volontà di apertura alla comunità internazionale, nel senso di prendere l’impegno di conformarsi alle norme – sia scritte sia non scritte – ivi operanti (che, per quanto attiene al problema dei conflitti armati, ha una lunga tradizione di sforzi e tentativi volti a limitarne l’assolutezza);
  • l’articolo 11, nella parte in cui afferma che: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali […]” elimina la guerra dal nostro ordinamento giuridico, ad eccezione di quelle cosiddette difensive.

Dall’esame delle norme suesposte, risulta evidente come la Costituzione non dia alcuno spazio alla guerra, salvo che in casi eccezionali e secondo le modalità “riconosciute” dalla comunità internazionale. Senza addentrarci nella disamina delle diverse concezioni dottrinali che sono arrivate, negli anni, addirittura a negare ogni pratica valenza giuridica alle disposizioni costituzionali di cui sopra, sono molti i motivi per ritenere che il ripudio della guerra rappresenti invece uno dei cardini dell’ordinamento giuridico costituzionale, in quanto integrante un principio di civiltà da cui non si può assolutamente prescindere. I costituenti, infatti, proprio in virtù della sensibilità dimostrata per un fenomeno loro molto vicino (ricordiamoci che la Costituzione venne emanata nel 1948 e, quindi, a pochi anni dalla fine del fascismo e della seconda guerra mondiale), hanno voluto distintamente evidenziare la rottura con le precedenti esperienze politiche che hanno portato l’Italia a prender parte a diverse esperienze militari tra le quali, a prescindere dalla seconda guerra mondiale, degne di menzione sono senza alcun dubbio la guerra d’Etiopia o la guerra di Spagna. Con tale approccio deve quindi essere interpretato l’articolo 11 della Costituzione, soprattutto per quanto attiene:

  • l’utilizzo del termine “ripudiare”, inserito proprio per sottolineare la volontà di prender le distanze dal passato: può essere infatti ripudiato solo ciò che una volta si accettava, si considerava valido o si condivideva;
  • l’esplicito riferimento all’“Italia”, quasi a voler ribadire che il conseguente dovere giuridico è posto a carico di tutto il popolo italiano, di tutta la comunità e non solo di determinate Istituzioni quali, ad esempio, il Parlamento, il Governo o le Forze Armate.

Tanto premesso, ritengo doveroso chiarire subito che la Costituzione non ripudia la guerra in quanto tale, bensì solo allorquando tale fenomeno presenti determinate caratteristiche: chiaro è il riferimento alle guerre internazionali, ovvero quelle che hanno ad oggetto conflitti armati con altri Stati. Restano escluse invece le guerre cosiddette “interne” e, in tale ambito, quelle difensive in quanto condotte per fronteggiare attacchi e aggressioni. Tale circostanza trova conferma nell’articolo 52 della Costituzione che arriva infatti a definire “sacro” il dovere di ogni cittadino di difendere la Patria nonché, a livello internazionale, nell’articolo 51 [1] dello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite [2] che riconosce il diritto naturale degli Stati alla legittima difesa.

TCGC

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[1]: articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite: “nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.

[2]: firmato a San Francisco il 26 giugno 1945 e ratificato dall’Italia con la legge n. 848 del 1957.

IL PRINCIPIO DI NECESSITÀ MILITARE

La necessità militare (o bellica) è quella causa di giustificazione che rende sostanzialmente lecita una condotta altrimenti vietata dal diritto internazionale come possono essere, ad esempio, le requisizioni indiscriminate, la distruzione di proprietà privata, l’internamento o il soggiorno obbligato di civili eccetera.

Troppo spesso, in passato, si è ricorsi proprio al concetto di necessità militare per giustificare e dare quindi una sorta di “copertura legale” a condotte militari “disdicevoli” se non integranti vere e proprie violazioni della legge o degli usi di guerra. Ma con la necessità militare è possibile giustificare ogni nefandezza compiuta nella condotta delle operazioni militari oppure è anch’essa sottoposta a dei limiti? Beh … la risposta è semplice essendo infatti ormai pienamente assodato che non possa più invocarsi alcuna necessità militare per giustificare crimini di guerra ma, soprattutto, che il principio di necessità militare sia addivenuto ad essere il:

  • naturale presupposto per il legittimo uso della forza militare, da esercitarsi nel pieno rispetto del diritto internazionale;
  • limite ad un uso incontrollato della violenza armata, legittimandola solo in quanto e nella misura in cui risulti strumentale al perseguimento di una precisa finalità o vantaggio di tipo militare.

Per quanto attiene alla legislazione nazionale in materia, ritengo sia utile sapere che il codice penale militare:

  • di pace (CPMP), dedica alla necessità militare l’articolo 44 che esclude la punibilità per l’appartenente alle Forze Armate che commette “un fatto costituente reato [sia militare che ordinario], per esservi stato costretto dalla necessità di impedire l’ammutinamento, la rivolta, il saccheggio, la devastazione, o comunque fatti tali da compromettere la sicurezza del posto, della nave o dell’aeromobile” (leggi qui);
  • di guerra (CPMG) individua nella necessità militare una precisa causa di giustificazione per molteplici comportamenti contrari alle leggi e agli usi della guerra come, ad esempio, agli articoli 172 CPMG (Atti ostili contro uno Stato neutrale o alleato), 178 CPMG (Comandante che omette il preavviso in caso di bombardamento), 187 CPMG (Incendio, distruzione o grave danneggiamento in paese nemico), 188 CPMG (Busca) o 224 CPMG (Requisizioni, prestazioni o contribuzioni arbitrarie o eccessive).

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LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE PREVISTE DAL CODICE PENALE MILITARE DI PACE

In analogia a quanto abbiamo visto per il codice penale “ordinario” (per approfondire clicca qui), anche il codice penale militare di pace tratta delle cause di giustificazione dell’“uso legittimo delle armi [1]” e della “difesa legittima [2]” fornendoci, però, alcune informazioni ulteriori che ritengo utile riportarvi. Infatti:

  • esplicita la nozione di violenza comprendendovi “l’omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti, e qualsiasi tentativo di offendere con armi” (articolo 43 c.p.m.p.);
  • introduce il concetto di necessità militare (per approfondire il principio di necessità militare nelle operazioni militari  leggi qui) stabilendo che “non è punibile il militare, che ha commesso un fatto costituente reato, per esservi stato costretto dalla necessità di impedire l’ammutinamento, la rivolta, il saccheggio, la devastazione, o comunque fatti tali da compromettere la sicurezza del posto, della nave o dell’aeromobile” (articolo 44 c.p.m.p.).

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[1]: Articolo 41 del codice penale militare di pace – Uso legittimo delle armi: “Non è punibile il militare, che, a fine di adempiere un suo dovere di servizio, fa uso, ovvero ordina di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza. La legge determina gli altri casi, nei quali il militare è autorizzato a usare le armi o altro mezzo di coazione fisica”.

[2]: Articolo 42 del codice penale militare di pace – Difesa legittima:“ Per i reati militari, in luogo dell’articolo 52 del codice penale, si applicano le disposizioni dei commi seguenti. Non è punibile chi ha commesso un fatto costituente reato militare, per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Non è punibile il militare, che ha commesso alcuno dei fatti preveduti dai capi terzo e quarto del titolo terzo, libro secondo, per esservi stato costretto dalla necessità: 1° di difendere i propri beni contro gli autori di rapina, estorsione, o sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, ovvero dal saccheggio; 2° di respingere gli autori di scalata, rottura o incendio alla casa o ad altro edificio di abitazione o alle loro appartenenze, se ciò avviene di notte; ovvero se la casa o l’edificio di abitazione, o le loro appartenenze, sono in luogo isolato, e vi è fondato timore per la sicurezza personale di chi vi si trovi. Se il fatto è commesso nell’atto di respingere gli autori di scalata, rottura o incendio alla casa o ad altro edificio di abitazione, o alle loro appartenenze, e non ricorrono le condizioni prevedute dal numero 2° del comma precedente, alla pena di morte con degradazione è sostituita la reclusione non inferiore a dieci anni; alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da sei a venti anni; e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà”.

CYBER OPERATIONS E DIRITTO INTERNAZIONALE: IL MANUALE DI TALLINN

È sotto gli occhi di tutti il fatto che le operazioni militari interessino ormai il cyberspace: le potenzialità distruttive delle cyber-operations sono evidenti al punto che i nuovi strumenti cibernetici hanno ormai fatto ingresso a pieno titolo negli arsenali degli Stati … si è quindi aperto un nuovo fronte nelle operazioni militari: quello cyber! Un massiccio cyber-attack, infatti, può oggi destabilizzare un Paese mettendone fuori gioco le infrastrutture “critiche”, causando non solo delle perdite informative (sottraendo/distruggendo informazioni oppure inibendo il regolare funzionamento dei networks), ma anche veri e propri danni fisici al pari di un attacco convenzionale nel senso tradizionale del termine.

A questo punto vi pongo le principali questioni che stanno oggigiorno alimentando molteplici dibattiti (e per le quali sappiate da subito che non ho risposte!) … è possibile applicare il diritto internazionale e il diritto bellico alle operazioni cibernetiche? Detto altrimenti … un attacco cibernetico può giustificare una risposta in “legittima” difesa dello Stato attaccato? … e in caso affermativo, in che termini? … esclusivamente nel cyber-spazio oppure anche nello spazio reale con una risposta di tipo convenzionale? Come si fa ad “attribuire” inequivocabilmente un cyber-attacco a uno Stato estero? Ebbene, tralasciando gli enormi problemi tecnici e giuridici che pone tale ultimo aspetto (la cosiddetta cyber attribution), iniziamo col dire che dal punto di vista cyber, a prescindere dalle grandi potenze mondiali (USA, Russia, Cina eccetera), il Paese oggi all’avanguardia è l’Estonia … si, proprio la Repubblica di Estonia! Senza considerare l’innata predisposizione che tale piccolo Stato ha sempre dimostrato per la tecnologia e l’informatica, l’Estonia è in prima linea perché è stato il primo Paese che, nel 2007, ha vissuto sulla propria pelle quello che con ogni probabilità è stato il primo massiccio cyber-attacco dell’era cibernetica! A seguito di ciò, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), in cui l’Estonia è entrata a far parte nel 2004, ha creato proprio a Tallinn il NATO Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence (CCDCOE – clicca qui) un centro di eccellenza NATO per la collaborazione nella difesa cibernetica che ha il merito di aver “stimolato” la creazione di quella che è la prima codificazione sulla cyber-warfare: il Manuale di Tallinn [1]. La caratteristica di tale opera, frutto della collaborazione di esperti, accademici e autori indipendenti, è sostanzialmente quella di aver effettuato un parallelismo tra mondo fisico e mondo cibernetico, applicando al secondo le norme di diritto internazionale nate nell’ambito del primo, arrivando addirittura a giustificare, in alcuni casi, l’uso legittimo della forza militare in risposta agli attacchi cibernetici.

Spero di avervi offerto qualche spunto per approfondire la materia … ad maiora!

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[1]: la prima versione del Manuale di Tallinn è stata pubblicata nel 2013 come “Tallinn Manual on the International Law Applicable to Cyber Warfare”. Nel 2017, è stato poi aggiornato nel “Tallinn Manual 2.0 on the International Law Applicable to Cyber Operations”, con un evidente spostamento di focus dal concetto di cyber-warfare a quello più duttile e generico di cyber-operations.

ADEMPIMENTO DI UN DOVERE, USO LEGITTIMO DELLE ARMI E STATO DI NECESSITÀ (ARTT. 51, 53 E 54 C.P.)

Dopo aver compreso quanto prevede l’articolo 52 del codice penale in materia di “legittima difesa” (clicca qui per approfondire), ritengo necessario che diate una rapidissima sbirciata agli articoli 51, 53 e 54 del codice penale che trattano rispettivamente le cause di giustificazione dell’“esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”, dell’“uso legittimo delle armi” e dello “stato di necessità”. Sapere di cosa trattano questi articoli potrebbe infatti risultarvi molto utile quando, ad esempio, siete impiegati “sul campo” in operazioni di controllo del territorio a diretto contatto con personale civile. Ebbene, senza entrare nelle annose questioni interpretative di cui tali articoli sono portatori, mi basta che sappiate che, ai sensi dell’:

  • articolo 51 del codice penale, l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”;
  • articolo 53 del codice penale, “[…] non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza. La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica”. Per quanto attiene all’uso legittimo delle armi disciplinato dal codice penale militare di pace (articolo 41 c.p.m.p.) vi rimando a un breve post scritto sull’argomento (clicca qui);
  • articolo 54 del codice penale, “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo”.

A parole sembra semplice, vero? Nella pratica però è estremamente complicato riuscire a bilanciare tutto … ci vuole molta esperienza, una buona dose di freddezza e tanto buon senso! Non mi resta che augurarvi un buon lavoro!

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LA LEGITTIMA DIFESA (ART. 52 C.P.)

Affrontiamo ora il tema evergreen della legittima difesa che, insieme alle altre cause di giustificazione previste dal codice penale (“esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”, dell’“uso legittimo delle armi” e dello “stato di necessità” previste dagli articoli 51, 53 e 54 c.p. – per approfondire clicca qui), potrebbe risultarvi molto utile quando, ad esempio, siete impiegati “sul campo” in operazioni di controllo del territorio a diretto contatto con personale civile. Ebbene, secondo l’articolo 52 del codice penale “non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa […]”. Ciò significa sostanzialmente che quando stiamo subendo un’aggressione ingiusta, la nostra (necessaria) reazione non è punibile dal punto di vista penale (questo anche se commettiamo dei veri e propri reati come le percosse, le lesioni se non addirittura l’omicidio) se c’è stata proporzione tra offesa e difesa … facciamo un piccolo esempio: immaginate di essere a contatto con dei dimostranti che vi lanciano delle pietre … beh, è facile intuire che la mia difesa non sarà “legittima” se rispondo al lancio di pietre usando la mia arma in dotazione! A parole sembra semplice, ma nella pratica le cose non sono mai altrettanto chiare, vero? Gli antichi dicevano infatti che “vim vi repellere licet” (cioè che è lecito respingere la violenza con la violenza) ma nella pratica è diventato oggi molto complicato riuscire a bilanciare tutto … ci vuole molta esperienza, una buona dose di freddezza e tanto buon senso, anche perché il grosso dei problemi applicativi della legittima difesa derivano proprio dal requisito della proporzionalità tra offesa e difesa … argomento sul quale sono stati scritti fiumi di inchiostro, credetemi!

Tanto premesso, sono doverose alcune precisazioni:

  • come abbiamo visto l’articolo 52 del codice penale si apre dicendo che non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere […]” … evidenziando cioè che il soggetto che si difende è costretto a farlo perché non ha alternative! Beh, tenete bene in considerazione che la giurisprudenza ha interpretato la questione escludendo la legittima difesa nei casi in cui lo scontro con l’aggressore poteva essere evitato! Inoltre, il riferimento al “pericolo attuale di un’offesa ingiusta” implica che la nostra difesa debba essere contestuale all’offesa … non c’è quindi alcuno spazio per reazioni “a freddo” o possibili vendette;
  • si parla di eccesso colposo di legittima difesa in tutti i quei casi in cui, per colpa, la nostra reazione difensiva “eccede” l’offesa ricevuta, rompendo di fatto quell’equilibrio che che rappresenta il presupposto della proporzione tra offesa e difesa a cui ho fatto riferimento poco sopra. Ma cosa succede in caso eccesso colposo di legittima difesa? Beh, sostanzialmente la “giustificazione” offertaci dalla legittima difesa non opera e si è quindi responsabili penalmente per quanto fatto … l’articolo 55 del codice penale è chiaro al riguardo stabilendo sostanzialmente che allorquando “[…] si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”;
  • quando opera la giustificazione della legittima difesa si è protetti anche dalle conseguenze “civili” del fatto, viene cioè esclusa anche la nostra responsabilità civile! L’articolo 2044 del codice civile stabilisce infatti che:“non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri. Nei casi di cui all’articolo 52, commi secondo, terzo e quarto, del codice penale, la responsabilità di chi ha compiuto il fatto è esclusa. Nel caso di cui all’articolo 55, secondo comma, del codice penale, [cioè in caso di eccesso colposo di legittima difesa], al danneggiato è dovuta una indennità la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice, tenuto altresì conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato”.

Sperando di aver stimolato in voi la voglia di approfondire ulteriormente l’argomento, sono sicuro che quanto precede sia comunque sufficiente per affrontare coscientemente gran parte delle difficoltà lavorative che poteste incontrare operando “sul campo”.

Per completezza di informazione non posso però concludere senza postarvi la parte rimanente  dell’articolo 52 del codice penale che tratta sostanzia della cosiddetta legittima difesa “domiciliare” … ovverosia della legittima difesa che avviene sostanzialmente a seguito della violazione di domicilio:

[…] Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma [cioè in caso di violazione di domicilio], sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità: b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”.

Per quanto attiene alla legittima difesa disciplinata dal codice penale militare di pace (articolo 42 c.p.m.p.) vi rimando a un breve post proprio sull’argomento (clicca qui).

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